Alberto Clò: la crisi energetica? È frutto dell’ambientalismo fanatizzante della Commissione Europea! L’industria si ridimensionerà

di Marco De' Francesco ♦︎ Il Green Deal ha affossato la ricerca di gas e idrocarburi da parte dei colossi energetici continentali, generando una carenza globale di queste risorse. Il patrimonio industriale italiano sarà ridimensionato: le aziende con alti costi di produzione non saranno competitive nel contesto globale. Gli acquisti di gas da Algeria o Azerbaijan, o l’incremento della quota green, non copriranno la perdita del metano russo. Servirà il razionamento!

Non cambierà stagione: il lungo inverno della crisi energetica è destinato a durare da un lustro ad un decennio. In questo periodo, il patrimonio industriale italiano sarà ridimensionato, perché perderemo per strada tutte quelle aziende i cui costi di produzione (sospinti da quelli energetici) le renderanno non competitive nel contesto globale. Quanto alle soluzioni, come gli acquisti di gas da Paesi come l’Algeria o l’Azerbaijan, o come l’incremento della quota green, non sono destinati a coprire la perdita del metano russo.  Servirà il razionamento, che toccherà i consumi domestici, dal momento che le aziende stanno già pagando per questa situazione: il governo si presenti in Tv e dica agli italiani che il momento è cupo, e che sono chiamati a fare la propria parte. Tutto questo lo pensa Alberto Clò, economista, accademico, e già ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato ai tempi del governo tecnico di Lamberto Dini (1995-96). Negli Anni Ottanta è stato membro del Cda di società quotate come Eni, Finmeccanica, Snam e Italcementi, e ha diretto la rivista Energia, fondata insieme a Romano Prodi.

Ma perché non cambierà stagione? Perché l’attuale stato delle cose non dipende da vicende contingenti, come il conflitto Russo-Ucraino. È frutto dell’ambientalismo fanatizzante della Commissione Europea, che con il Green Deal e altre iniziative precedenti ha affossato per anni la ricerca di gas e idrocarburi da parte dei colossi energetici continentali, generando una carenza globale di queste risorse. Quando il mondo si è accorto che la domanda non sarebbe stata soddisfatta, i prezzi sono esplosi. E ora, dal momento che per riattivare la ricerca mineraria occorrono finanziamenti, progetti e infrastrutture, è evidente che i tempi per risolvere la questione saranno lunghi.







Su questi argomenti abbiamo intervistato Clò.

 

D: Qual è la sua previsione sulla durata della crisi? Come la vede?

Alberto Clò

R: Come la vedo? Presto detto: questa situazione durerà dai cinque ai dieci anni. Tempi lunghi, dunque, durante i quali tante aziende italiane, e non solo quelle energivore, chiuderanno i battenti, lasciando per strada i lavoratori. Questo perché il costo dell’energia sarà sempre molto alto, i prezzi generali aumenteranno e diverse tra le nostre imprese non saranno in grado di reggere la concorrenza con quelle dei Paesi che hanno spese minori. Non è un quadro rassicurante, ma la mia previsione è questa.

 

D: Dunque non è vero ciò che ambienti europei hanno fatto trapelare, e cioè che la crisi energetica troverà una soluzione a breve o medio termine, ad esempio modificando il mix delle fonti.

R: No, non è vero. Non lo è per niente.  Ci sono due buoni motivi per pensarla diversamente.

 

D: Qual è il primo motivo per una previsione a lungo termine della crisi?

The gas valve that says in Russian “do Not open”.

R: Bisogna essere chiari su un punto: la guerra e le sanzioni alla Russia hanno portato ad un aggravamento della crisi, acutizzando le preoccupazioni sull’offerta delle materie prime. Ma non ne sono la causa. La fase crescente dei prezzi del gas e dell’energia è iniziata a giugno di un anno fa, quando il conflitto non era ancora scoppiato. La colpa è piuttosto dell’isteria ecologista, fomentata dall’Unione Europea e subito adottata come modello dai governi e dalle società energetiche. La retorica della transizione energetica ha un peso, ahimè, non solo per quello che fa, ma soprattutto per ciò che impedisce di fare. La trappola in cui siamo finiti non è solo di una narrazione errata di quel che andava accadendo, ma anche causa dei mancati investimenti delle società energetiche nella ricerca di petrolio e gas. Nel 2014 si investivano 800 miliardi nella mineraria, nel 2021 attorno a 250 miliardi. C’è una grande differenza: meno “buchi” meno scoperte, meno offerta di barili o metri cubi. Insomma, la crisi è iniziata perché ci si è resi conto che la capacità produttiva (di gas) a livello globale era – ed è – insufficiente. È questo che ha innescato la miccia.

 

D: E qual è il secondo motivo?

R: Che questi errori non si riparano così facilmente. Non è che se si smette di bucare il terreno per anni, poi si riprende e in un mese torna tutto a posto. Ci sono di mezzo investimenti, progettazione, infrastrutture e altro. Non sempre, peraltro, le prospezioni vanno a buon fine. Insomma, ci vuole del tempo.

 

D: Poniamo che la Russia chiuda del tutto i rubinetti del gas: ci sono altri Paesi produttori. Draghi, di recente, è andato in Algeria.

Regasification plant al port di Sagunto, Spagna

R: Dall’Algeria, al di là dei flussi già concordati, arriveranno altri quattro miliardi metri cubi di gas. Questo Paese nordafricano già contribuiva al 21% del consumo italiano di gas, tramite il gasdotto di Mazara del Vallo. Si parla poi di possibili accordi con altri Paesi, come il Congo, il Mozambico, Israele, l’Egitto, il Qatar e l’Azerbaijan. Mar dalla Russia arrivavano in Italia dai 25 ai 30 miliardi di metri cubi, e se una simile quantità di gas fosse disponibile, a livello globale, i produttori si sarebbero già fatti vivi. Il problema è che non c’è. E poi, in molti Paesi mancano le infrastrutture per l’estrazione e il trasporto, e non è che si realizzano da un giorno all’altro.

 

D: L’Italia ha per l’anno in corso un traguardo di stoccaggio del gas pari all’80%.

R: È la Snam che si sta occupando di riempire i siti di stoccaggio strategici. Comunque sia, in caso di stop del gas russo, il target dell’80% non potrà essere raggiunto; sarà anzi difficile superare quota 65%-70%.

 

D: Sempre a proposito di gas, il premier Draghi, già dall’inizio del conflitto Russo-Ucraino, ha affermato che a livello europeo è necessario mettere un tetto al prezzo. All’inizio, sembrava che l’idea avesse trovato l’appoggio del presidente francese Emmanuelle Macron. Per ora l’accordo è saltato, e nel contesto Ue l’idea sembra un po’ in declino. Si farà, il “price cap”?

Il premier Mario Draghi

R: Secondo me no. E sinceramente non si capisce neppure come un’idea del genere possa essere tradotta in realtà. Con quali meccanismi? Poniamo che a livello europeo si decida che il gas non possa costare più del valore attuale, ma anzi non possa superare una soglia del 20% o del 30% in meno: perché i produttori dovrebbero sentirsi costretti a vendere lo stesso? Perché dovrebbero aderire ad un simile progetto, in un mondo in cui la domanda di energia è alta e non riguarda solo il Vecchio Continente? Sinceramente, “trovate” di questo genere sembrano meri diversivi, argomenti gettati nel calderone delle notizie per far vedere che i governi sono impegnati in una questione che incide sull’andamento dell’industria e sulle tasche dei consumatori finali. Forse è un modo per ribaltare la prospettiva: in questo momento non siamo in una posizione di controllo; ma anzi siamo ostaggi delle decisioni di Mosca, e ciò forse non deve apparire.

 

D: Proprio in questi giorni sono emerse indiscrezioni sulla bozza del Piano Europeo da attivare nel caso in cui la Russia chiuda definitivamente Nord Stream 1, il gasdotto che trasporta il gas dalla Russia in Occidente, attraverso il Mar Baltico e la Germania. Si tratterebbe di bloccare i condizionatori degli edifici pubblici a 19 gradi d’inverno e a 25 gradi d’estate. Funzionerebbe?

R: Nell’attuale stato delle cose, senza le forniture russe non possediamo, in Europa e in Italia, scorte sufficienti a soddisfare la domanda, per cui il razionamento si renderà necessario. È di per sé una cosa di buon senso. Quanto all’Italia, all’università di Bologna abbiamo realizzato delle proiezioni sulla domanda-offerta di gas. È risultato che la domanda dell’industria, già calata del 10% a causa del sostanziale fermo delle imprese energivore (cartiere, acciaierie) continuerà a diminuire; dunque si punta a ridurre quella dei privati cittadini. Ora: il razionamento è politicamente impopolare; ma per ottenere qualche risultato non ci si può concentrare solo sulla diminuzione della temperatura dei ministeri, delle scuole e delle caserme della polizia. Bisogna agire su larga scala, sui consumi domestici. Ma, come dicevo, non è semplice per nessun governo.

 

D: Come bisognerebbe fare per coinvolgere i cittadini, i privati?

Tenova (società del Gruppo Techint specializzata in soluzioni di ingegneria per l’industria metallurgica e mineraria)

R: Si potrebbe cominciare con il raccontare la verità. Il governo dovrebbe presentarsi in Tv e dire: non è vero che le cose andranno bene, o che saremo in grado di risolvere la questione a breve. Qui ognuno deve fare la propria parte, contribuendo al calo della domanda. L’industria già lo fa, suo malgrado. Ora tocca ai cittadini.

 

D: Ma poi, è sicuro che i russi bloccheranno Nord Stream 1? Tecnicamente, è in manutenzione. Un’operazione iniziata l’11 luglio e che dovrebbe terminare il 21 dello stesso mese.  Eppure, la Commissione Europea ha molti dubbi sul ripristino dell’attività dell’infrastruttura.

R: Condivido questi dubbi. La Russia ha capito che la dipendenza dal gas è il tallone d’Achille d’Europa, e gioca un po’ al gatto con il topo. In Italia abbiamo avuto inizialmente una riduzione di un terzo del flusso, che è poi diventata la metà; successivamente, Gazprom (multinazionale russa, controllata dal governo e attiva nel settore energetico-minerario; Ndr) ha annunciato un ulteriore calo di un terzo, reso necessario, secondo i Russi, dalla manutenzione di Nord Stream 1. In realtà i Russi stanno già dicendo che serve altro tempo per risolvere il problema tecnico che ha riguardato la turbina dell’infrastruttura. Insomma, la Russia ha capito come strangolarci, e non c’è da fidarsi.

 

D: Ma se anche la Russia chiudesse i rubinetti, noi potremmo contare sulle rinnovabili, giusto?  

Regione di Leningrado / Russia. Lavori di costruzione di un tunnel sotto il canale Saimaa per il gasdotto Nord Stream. Tubi con il logo di Gazprom, predisposti per il trascinamento e la posa

R: Non stiamo per niente rispettando la tabella di marcia. Si fanno pochi investimenti, in Italia, sulle rinnovabili – la cui crescita è assolutamente insufficiente a coprire un’eventuale carenza del gas russo. Ad esempio, un obiettivo del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030 (Pniec, lo strumento fondamentale per cambiare la politica energetica e ambientale del Paese verso la decarbonizzazione) è una potenza installata da fotovoltaico di 52mila Mw; non siamo neanche alla metà. Comunque si è già trovata una scusa nazionale: c’è chi se la prende con le Soprintendenze. Inoltre, le rinnovabili sono fonti intermittenti. L’offerta di energia deve incontrare la domanda ogni istante, e se non tira il vento o non c’è sole occorre il metano. Infine, non bisogna dimenticare che l’energia prodotta dalle rinnovabili costa.

 

D: Ma come? Le rinnovabili non sono una soluzione a buon prezzo?

R: Di per sé lo sarebbero; ma se anche l’energia così generata costa di meno rispetto ad altre fonti, viene venduta quasi allo stesso prezzo. Insomma, i produttori fanno extra-profitti.














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