I nuovi progetti di Fis, leader italiano (600 milioni) nella manifattura farmaceutica per conto terzi

di Marco de' Francesco ♦︎ Fis è la maggiore azienda nel settore industriale farmaceutico del Cdmo, Contract Development and Manufacturing Organization, (2,7 mld di valore, leadership italiana in Europa). Flow Chemistry: trasformazioni chimiche a flusso continuo, più sicure e controllabili. La sperimentazioni con i processi biocatalitici, per abbattere costi e consumi. L'investimento di 83 mln per lo stabilimento di Termoli. Ce ne parla l'ad Michele Gavino

Intero dello stabilimento di Fis

C’è un settore industriale in cui l’Italia primeggia in Europa, ma non tutti lo sanno. È il CdmoContract Development and Manufacturing Organization: è composto da un insieme di aziende che producono principi attivi e intermedi chimici per conto terzi, e cioè per quello dei grandi gruppi farmaceutici. È un comparto in forte crescita, perché questi ultimi stanno esternalizzando sempre più la produzione di queste sostanze. Il fatturato italiano di settore è pari a fatturato pari a 2,7 miliardi di euro, equivalenti al 22,8% del totale in Europa (11,8). Di queste revenue, una parte consistente – oltre 600 milioni – è realizzata da una sola azienda, la Fis – Fabbrica Italiana Sintetici di Montecchio Maggiore (Vicenza), azienda di 2mila dipendenti che, guidata dall’amministratore delegato Michele Gavino, appartiene al Nine Trees Group della famiglia Ferrari (gruppo che possiede anche Anemocyte, Delmar, Fis North America, Chf e China Office). Ora Fis conta di crescere ancora con un cagr del 7%, grazie ad una strategia di ricerca e sviluppo che incontra i più importanti trend del settore.

Si punta anzitutto sul Flow Chemistry: invece di utilizzare una serie di reattori, la trasformazione chimica avviene spostando fluidi lungo tubi; lì dove si incontrano, avviene la reazione, che è a flusso continuo, e quindi più sicura, più controllabile e a gradiente di temperatura più elevato. E poi, si sperimentano i processi biocatalitici: si utilizzano, cioè, enzimi al posto di platino e rodio, con enormi vantaggi economici e ambientali.







Fis, a parte la sede-stabilimento di Montecchio Maggiore, ha due impianti produttivi: uno a Lonigo (Vicenza), e l’altro a Termoli (Campobasso). Quanto a quest’ultimo, è in corso un investimento pari a 83 milioni di euro, e con una grande valenza occupazionale.

Di tutto ciò abbiamo parlato con Gavino.

D: Una descrizione dell’azienda. I rapporti con Nine Trees Group

Michele Gavino, ad di Fis

R: Anzitutto, Fis è un’azienda italiana: ci teniamo a sottolinearlo. È nata nel 1957 con la famiglia Ferrari, che è ancora proprietaria attraverso la holding Nine Trees Group, che detiene l’intero pacchetto azionario della società. Ma la storia dell’azienda, in termini operativi, nasce insieme a quella di un’altra famiglia, la Zambon: come spin-off della Zambon, un’importante impresa che dal 1906 opera in campo farmaceutico, e che ora ha sede a Bresso in provincia di Milano (conta 2.400 collaboratori in tutto il mondo, è presente in 23 paesi tra Europa, America e Asia; Ndr). Si trattava di realizzare intermedi e principi attivi. Il successo di Fis è legato anche ad un trend che caratterizza l’industria farmaceutica: questo genere di produzione è sempre più esternalizzato – e quindi noi rispondiamo ad una domanda crescente. Importante, però, è sottolineare questo: noi non facciamo ricerca e sviluppo per scoprire nuove molecole – a quello ci pensano le aziende grandi e piccole della farmaceutica. Scoperta una nuova molecola, e spesso prodotta in via sperimentale ed iniziale in pochi grammi e anche meno, noi dobbiamo fare in modo che di questa sostanza poi siano realizzate tonnellate. Insomma, noi ci occupiamo dello sviluppo del processo e della conseguente industrializzazione. Ma il nostro è un mondo molto particolare: si tratta di definire i giusti processi, e dalla molecola partendo da pochi chilogrammi sino alle decine o centinaia di quintali la qualità deve essere sempre la stessa. È tutt’altro che facile, in un mondo dominato dalle normative e dai controlli degli enti regolatori delle varie nazioni. Va peraltro sottolineato che, sotto questo profilo, l’approccio è abbastanza simile tra Aifa (Italia), Ema (Europa) e Fda (Usa) con poi qualche specificità per gli enti regolatori di altre nazioni.

D: I prodotti: intermedi e principi attivi. Come si realizzano; qual è il processo?

R: Non esiste, e non può esistere un percorso ed un processo tipo. Le reazioni di sintesi chimica dipendono dalla molecola che si vuole realizzare, e che sarà sempre diversa dalle altre. Ognuna di loro ha una storia a parte. Insomma, gli step di produzione e gli impianti sono differenti, come d’altra parte i controlli di processo richiesti di volta in volta. In comune ci sono certi tipi di reattore o sequenze di reattori e le fasi di cristallizzazione. Noi stessi abbiamo pochi impianti o linee dove si dà vita alla stessa molecola. Piuttosto, oggi si tende a realizzare impianti multi-purpose, e cioè quelli in grado di adattarsi a specifiche esigenze: nel nostro settore, c’è un gran bisogno di flessibilità.

D: Nel vostro caso, si parla di produzione per conto terzi.

R: Sì, siamo contrattualizzati per conto terzi, sia per lo sviluppo che per la realizzazione di principi attini e di intermedi farmaceutici. Si parla di Cdmo, e cioè di “contract development manufacturing organization”.  È un settore in grand crescita, a valle dello sviluppo clinico del farmaco e prima della produzione. Peraltro, talvolta le industrie farmaceutiche ci chiedono qualche chilo di principio attivo, per utilizzarlo nella fase clinica; quando le prime constatano che funziona e che può essere commercializzato, noi a quel punto facciamo lo scale-up per realizzare i volumi richiesti dal cliente, che differiscono in genere in base alla patologia che si intende curare: ci sono delle malattie diffusissime e quelle rare, che riguardano una percentuale esigua della popolazione. A quel punto noi implementiamo e qualifichiamo gli impianti, definiamo i tempi della produzione, e quando siamo pronti consegniamo la quantità richiesta di principio attivo all’azienda, perché produca il farmaco vero e proprio.

D: Quanto conta il principio attivo nella realizzazione del farmaco?

R: Tantissimo. Il principio attivo è sempre riportato nel “bugiardino”, perché è la sostanza che interviene dal punto di vista biologico; quella che, ad esempio nel caso del diabete, scatena una certa reazione nel sangue del paziente.

D: La vostra ricerca riguarda l’industrializzazione?

R: No, la nostra ricerca non si ferma all’industrializzazione; ci sono altre attività di formulazione e controllo di qualità delle materie prime, altre che riguardano, ad esempio, il cleaning degli impianti. Queste ultime possono sembrare poco rilevanti, a chi non si occupa della questione. In realtà, lì dove passa una molecola non ne può passare un’altra. Non ci deve essere traccia della produzione precedente. Come si fa? Appunto la ricerca permette di definire la giusta attività di cleaning – cui segue una fase di verifica. Ma soprattutto per noi la ricerca ha uno scopo principale.

D: Qual è lo scopo principale della vostra ricerca?

Il team R&D di Fis

R: Il punto focale è quello di trovare delle alternative ai processi di sintesi “classici”, quelli più diffusi, quelli “canonici”, per così dire. Ce ne sono due, sulle quali stiamo investendo in modo rilevante: invece di realizzare il processo con un utilizzo successivo di reattori, la reazione chimica viene eseguita in un flusso continuo; in altre parole, delle pompe spostano i fluidi lungo dei tubi, e dove questi si uniscono tra loro, i fluidi entrano in contatto. Si chiama Flow Chemistry, e presenta diversi vantaggi. La miscelazione può essere ottenuta in pochi secondi alle scale più piccole utilizzate nella chimica di flusso. Il trasferimento di calore è intensificato. Principalmente, perché il rapporto tra area e volume è ampio. Di conseguenza, le reazioni endotermiche ed esotermiche possono essere termostatate in modo semplice e coerente. Il gradiente di temperatura può essere ripido, consentendo un controllo efficiente del tempo di reazione. La sicurezza aumenta. E poi, ci sono i processi biocatalitici. I catalizzatori naturali, come gli enzimi, effettuano trasformazioni chimiche. La biotecnologia ha reso possibile la produzione di enzimi modificati o non naturali, in grado di catalizzare nuove reazioni di piccole molecole – operazioni difficili o impossibili utilizzando la chimica organica sintetica classica. Con i processi biocatalitici, potremmo abbandonare l’uso di metalli pesanti e preziosi, con un grande impatto economico e ambientale. Infatti, non è semplice estrarre e trattare metalli come il platino e il rodio; noi riusciamo a riciclarli all’85%, ma questo problema non esisterebbe con i processi biocatalitici.

D: Qual è la dimensione del vostro investimento in ricerca?

R: Circa 20 milioni di euro l’anno.

D: Strumenti per il controllo di processo

R: Ovviamente c’è tantissima automazione nel Cdmo. Si è fatta tanta strada nell’utilizzo delle tecnologie digitali. Quello che manca, in questo momento, è una piattaforma che centralizzi tutto il controllo, ma anche la gestione della storicità del dato nonché il monitoraggio in continuo dei parametri di produzione e qualità. È esattamente quello che stiamo facendo; ma sulla scorta di un progetto che presumibilmente si concluderà tra il 2026 e 2027. Questo è uno dei progetti inseriti nello stream di digitalizzazione ed automazione che abbiamo previsto nel Progetto di Accordo di Sviluppo presentato ad InvItalia nell’ambito dei finanziamenti previsti dal Pnrr.

D: Qual è il fatturato e quali sono gli obiettivi di revenue?

Stabilimento Fis a Montecchio Maggiore (Vicenza)

R: Non avendo ancora svolto la Investor Call i dati di bilancio 2022 non sono ancora pubblicabili, Posso solo dire che il fatturato nel corso degli ultimi anni è costantemente aumentato, superando 600 milioni nel corso del 2022. L’incremento è dovuto in parte alla spianta inflazionistica e all’aumento dei costi energetici e delle materie prime e di conseguenza dei nostri prezzi; ma per un buon 50%, è legato alla crescita organica, al fatto che abbiamo acquisito nuovi progetti, e che molti prodotti sono passati in “fase adulta”, se ne producono a tonnellate incidendo così sulle revenue. L’obiettivo al 2027 è di mantenere un incremento con un Cagr tra il 5% e il 7% nel periodo; quindi: noi, dunque, cresciamo più del mercato di riferimento, il farmaceutico – e questo perché quest’ultimo, come si è detto, sta esternalizzando molte attività. E il futuro è roseo: un tempo medicina e farmacia erano un elemento presente solo nel mondo occidentale; ora stanno arrivando dappertutto – con forza in Asia, ma anche in tenti Paesi che non sono più parte del cosiddetto Terzo Mondo.

D: Pillar della strategia di crescita

R: La nostra crescita organica si basa sulla nostra capacità di acquisire i progetti e di farli diventare importanti. I driver? Anzitutto gli investimenti per aumentare la capacità produttiva. Ora, dopo un importante intervento sul sito di Termoli stiamo ampliando lo stabilimento di Lonigo. Poi c’è la sostenibilità: le aziende clienti sono sempre più sensibili ai nostri livelli Esg; in particolare, alla realizzazione di processi che producono il minor livello possibile di emissioni. E poi c’è il reshoring. Con la disruption delle filiere internazionali, dovuta al Covid, alla guerra Rosso-Ucraina e ad altri fattori geopolitici, la reperibilità dei composti necessari alla realizzazione di principi attivi si è fatta sempre più complicata. Di qui la nostra idea di produrli in casa, partendo dalle materie prime.  Lo stiamo facendo, con l’ampliamento degli impianti.

D: Avete partecipato alla “Dcat Week” di New York. Cos’è?

R: È uno dei più importanti eventi annuali internazionali promosso da Dcat (Drug, Chemical & Associated Technologies Association) con le aziende impegnate nella catena di valore della produzione biofarmaceutica. All’evento hanno preso parte circa 10mila professionisti del settore, il 25% dei quali C-Suite Executives, appartenenti a più di 700 aziende di oltre 50 paesi nel mondo. Noi siamo andati perché il mercato americano rappresenta non solo il riferimento per il nostro business, ma anche un punto di osservazione privilegiato per capire e intercettare i principali trend del settore.














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