Finalmente le industrie italiane investono in data strategy e Ict! Il cambiamento epocale commentato con Alessandro De Bartolo, Lenovo

di Laura Magna ♦︎ Dalla ricerca "Data for Humanity" commissionata da Lenovo a Ft Longitude emerge che per la prima volta in Italia l'andamento dell'Ict è superiore a quello del pil. Il 90% investe almeno un milione di euro. E il 15% è da considerare "data leader". Il comparto più richiesto è la cybersecurity (63%), seguito (55%) da archiviazione e automazione dei dati. Che cosa significa tutto questo? Porterà veramente a creare valore? A quali condizioni?

«Dal 2020, per la prima volta nella storia economica italiana, l’andamento degli investimenti in Ict in Italia è stato superiore a quello del Pil. Un dato veramente epocale dal quale si può costruire, utilizzando anche la motivazione degli investimenti del Pnrr». A dirlo a Industria Italiana è Alessandro de Bartolo, country general manager e amministratore delegato Infrastructure Solutions Group, la divisione di Lenovo focalizzata su server, storage e altri prodotti per data center. La multinazionale di origine cinese da 70 miliardi di dollari di fatturato può oggi contare su tre motori di business: oltre all’Infrastructure Solutions Group, l’Intelligent Devices Group (computer, tablet, smartphone e altri dispositivi) e il Solutions and Services Group (software e servizi aziendali). Con de Bartolo abbiamo ricostruito il data journey delle aziende italiane a partire da alcuni numeri contenuti nell’analisi Data for Humanity commissionata da Lenovo a Ft Longitude e condotta su 600 dirigenti appartenenti alla C-suite (o che riportano direttamente alla C-suite) in cinque Paesi (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti).

Analisi da cui si evincono alcune buone notizie: le aziende italiane si dichiarano più propense della media globale ad attuare strategie mirate alla valorizzazione dei dati (e intendono investire in media un milione di dollari nei prossimi 12 mesi). E tra le italiane che riescono a trasformare in valore le informazioni tratte dalle linee produttive ci sono alcune pmi, a testimonianza del fatto che la piccola dimensione non è necessariamente un ostacolo alla digitalizzazione avanzata. «Il maggior ostacolo – continua de Bartolo – è invece la mancanza di consapevolezza e di competenze: solo un terzo delle aziende italiane le possiede. E il 30% ha sperimentato problemi di sicurezza a causa di una cattiva gestione dei dati».







I numeri della ricerca: i data leader in Italia sono solo il 15%

Solo il 15% delle imprese italiane possono essere definite Data Leader, contro il 20% di quelle francesi. Fa peggio il Regno Unito, con appena l’11%

I numeri mostrano alcune contraddizioni: le aziende sembrano conoscere il potenziale dello sfruttamento dei dati (che si trasforma in maggior fatturato e redditività), dall’altro quelle che sono passate dalla consapevolezza all’azione sono ancora una sparuta minoranza. In particolare, globalmente, le aziende prevedono che dagli investimenti in tecnologie deriverà un incremento medio dei ricavi di quasi il 50% nei prossimi cinque anni. Ovvero un fatturato aggiuntivo di 8,5 miliardi di dollari e di 370 milioni di dollari solo in Italia. Non solo: le organizzazioni con i più alti livelli di competenza in materia di dati (che Lenovo definisce Data Leader) registrano prestazioni di business migliori e implementano politiche di Esg più avanzate. Nonostante queste evidenze, i data leader sono una minoranza: il 16%. E la percentuale italiana (15%) non si discosta dal dato generale né da quello relativo a Usa e Germania (17%).

Mancano competenze e strategie: ma il 90% delle imprese italiane intende spendere almeno un milione nei prossimi 12 mesi

 

Focalizzando lo sguardo sull’Italia, perché ancora oggi ben l’85% delle aziende non ha sviluppato una strategia sui dati? «La difficoltà di reperire le competenze è la ragione principale – dice de Bartolo – oltre la metà delle aziende italiane dichiara di non possedere le competenze informatiche e, più in particolare, le competenze necessarie per condividere i dati con partner/organizzazioni esterne. Inoltre, solo il 21% può contare su dipartimenti IT in grado di fornire regolarmente consulenza alla C-suite su iniziative strategiche basate sui dati, il dato più basso di tutti i paesi presi in esame». A causa di queste lacune, più della metà delle aziende, non ha attuato alcuna strategia per la condivisione dei dati e solo il 26% pensa di riuscire a darvi seguito nei prossimi 12 mesi.

Per fortuna, il 52% delle aziende sa che per sbloccare il valore dei propri dati dovrà reclutare talenti e oltre il 90% prevede di investire almeno 1 milione di dollari in tecnologie e iniziative data driven solo nei prossimi 12 mesi.

L’85% delle imprese italiane non ha ancora sviluppato una strategia sui dati. La causa non è tanto la mancanza di budget, quanto la carenza di competenze. , solo il 21% può contare su dipartimenti IT in grado di fornire regolarmente consulenza alla C-suite su iniziative strategiche basate sui dati

Dove saranno investite queste risorse? Nei prossimi cinque anni, il 55% prevede di aumentare la spesa per gli strumenti di archiviazione e automazione dei dati. Ma l’investimento tecnologico più richiesto dalle aziende italiane è quello in strumenti di cybersecurity (63%). Questo potrebbe essere una conseguenza della cattiva gestione dei dati: il 29% ha sperimentato intrusioni nella rete informatica a causa della propria incapacità di gestire e analizzare i dati.

D: Allora, dottor de Bartolo, abbiamo detto che solo una sparuta minoranza di aziende italiane è nella schiera dei data leader, ovvero è oggi capace di trarre valore dei dati. Come si fa ad accelerare questo processo che è cruciale per la competitività dell’industria, ma anche del Paese? Quale strategia devono seguire le aziende?

C’è ampio margine per migliorare in Italia, come nel mondo. Le aziende che sono indietro nel percorso devono guardare alle caratteristiche di coloro che già eccellono e provare a seguirne le orme. La ricerca mostra che il vantaggio principale dei data leader sta nella tecnologia: l’83% dei data leader a livello globale afferma che le proprie soluzioni per i dati sono altamente automatizzate, rispetto al 57% della media generale. L’81% utilizza piattaforme in grado di condividere facilmente i dati con i partner, rispetto al 54% della media; il 78% archivia la maggior parte dei propri dati nel cloud, rispetto al 52% e il 79% è convinto che i propri dati siano al sicuro, rispetto al 51%.

Il 78% dei data leader archivia la maggior parte delle informazioni sul cloud, contro il 47% dei follower. Avere un’efficace strategia sui dati garantisce una maggior sicurezza: il 79% dei leader ritiene che i propri dati siano al sicuro, contro il 47% del follower

D: Però abbiamo visto che oltre la metà delle aziende intervistate prevedono che gli investimenti in tecnologie e iniziative basate sui dati consentiranno un incremento medio dei propri ricavi di quasi il 50% nei prossimi cinque anni. E hanno l’intenzione di investire in queste tecnologie. Perché allora così poche sono a un livello avanzato nella gestione e nello sfruttamento dei dati? Cosa manca ancora?

La consapevolezza a vari livelli. Ecco che cosa manca in realtà! Consapevolezza dell’importanza dei dati e della necessità di avere in azienda persone che sappiano estrarvi valore economico. Ma non bisogna disperare, perché comunque tra le pmi ci sono esempi virtuosi di data leader. Col tempo saranno sempre di più.

D: La piccola dimensione media delle imprese italiane non è dunque un ostacolo a suo avviso?

Alessandro de Bartolo, country general manager e Ad della divisione Infrastructure Solutions Group di Lenovo

La piccola dimensione diventa un ostacolo se non si sviluppa la consapevolezza. Capita che ci sia un ingrediente e manchi un altro: a volte c’è la competenza, ma manca un processo digitalizzato per raccogliere i dati e analizzarli. Questa disconnessione rende difficile andare oltre quel 15% di data leader.

Ci sono aziende piccole o medie che hanno lungimiranza e attenzione e riescono a fare investimenti magari ridotti ma mirati ed efficaci, senza che la dimensione le ostacoli. È più un tema di come si utilizzano le risorse che di disponibilità delle stesse. In generale, poi, c’è da dire che negli ultimi tre anni il tasso di aumento degli investimenti in tecnologia è stato più veloce che negli ultimi 30-40 anni e superiore a quello del Pil. L’auspicio è che si parta da questa base per accelerare ulteriormente.

D: Per il nostro Paese, da sempre follower sul fronte degli investimenti in Ict si tratta di un cambiamento epocale…

Lo è, senza dubbio! È un dato che dà il là a un nuovo paradigma. In cui potremo smettere di essere il Paese dell’Ocse con il livello inferiore di produttività del lavoro, dato che dipende da sempre da limitati investimenti in tecnologia. Ed è un dato su cui si può costruire, utilizzando anche la motivazione degli investimenti del Pnrr. In ogni caso un fatto ormai è acquisito: le aziende sono passate dal vivere la digitalizzazione come obbligo a considerarlo uno strumento che abilita una trasformazione e un miglioramento del business.

D: Ci sono settori più avanti di altri? Come affronta la questione la manifattura? Quanto industria 4.0 ha migliorato le cose?

 

La manifattura è un grande terreno di data leadership: dalla manifattura sono partiti progetti e sperimentazioni che hanno permesso di accrescere il know-how, anche quello di fornitori come noi. Ma non solo di industria vive il dato, ça va sans dire. Un altro campo importante è la grande distribuzione, per esempio, dove c’è la ampia disponibilità di dati resa possibile dal contatto diretto col consumatore.

 

D: Sostenete che i dati contribuiscono ad affrontare le sfide globali e a migliorare il business. Quanto ne sono consapevoli le aziende italiane?

Sanno che la gestione dei dati le può supportare nell’affrontare la crisi energetica e quella climatica. E si aspettano un impatto significativo sulle performance aziendali: il 67%, per esempio, crede che utilizzando i dati aumenterà la capacità di rispondere alle nuove opportunità di mercato. Una percentuale analoga si aspetta di poter tagliare i costi e migliorare l’esperienza dei clienti.

I data follower non sono tendono ad avere ricavi inferiori ai data leader: hanno anche una limitata capacità di innovare, a fare previsioni corrette sulla domanda, a identificare nuove opportunità di business

D: Ma si tratta di una pura dichiarazione di intenti, o queste aziende stanno effettivamente ed efficacemente usando i dati per raggiungere questi obiettivi?

Direi che non è una semplice dichiarazioni di intenti: al momento le imprese italiane sono più propense della media globale a utilizzare i dati per migliorare parametri relativi al business. E quasi il 63% afferma che i dati hanno già contribuito alla creazione di ambienti di lavoro intelligenti, mentre circa il 60% dichiara che i dati hanno migliorato la previsione dei risultati aziendali, l’esperienza clienti e i progressi verso gli obiettivi Esg. Di più: non si limitano agli effetti sulla propria azienda. Ma guardano a quello che la condivisione dei dati può fare per la comunità: sanno che sistemi di raccolta e analisi dei dati possono migliorare i trasporti e la sicurezza e dunque dare una spinta allo sviluppo delle smart city. Quasi due terzi (64%) si aspettano miglioramenti anche nell’assistenza sanitaria. E in questa evoluzione vogliono fare la propria parte.

D: Questi ultimi numeri mostrano anche un’attenzione alla sostenibilità, in senso anche lato. In qualche modo sono una conferma del fatto che digitalizzazione e sostenibilità sono la stessa cosa, o meglio due facce della stessa medaglia. Che ne pensa?

Generalmente la digitalizzazione di processi e prodotti ha come conseguenza una maggior attenzione agli obiettivi di sostenibilità. Ma nel caso della pmi italiana, l’attenzione ai criteri Esg è in una fase molto iniziale: gli esempi virtuosi, molto avanzati, sono relativi più a filiali di aziende internazionali. In questi casi abbiamo curato progetti in cui uno dei criteri per impiegare il budget nel digitale era, per esempio, che l’investimento consentisse di neutralizzare l’impronta ambientale. A livello di sentiment, certo, ci sono elementi che dimostrano che il trend è avviato e non si arresterà.

Cosa serve per affrontare le crisi globali secondo i leader italiani? La risposta di Alessandro de Bartolo

D: Resta da capire un dato, l’ultimo ma non il meno importante: quali sono i passi da fare e le priorità da seguire per diventare data leader?

La risposta è facile: aumentare l’alfabetizzazione informatica a tutti i livelli aziendali, aggiornare tecnologicamente le linee produttive che non nascono digitali. E proteggere il patrimonio informativo con la cybersecurity. Facile a dirsi, più complesso a farsi. Perché nonostante Industria 4.0, molte aziende italiane sono in forte ritardo nel percorso di trasformazione digitale perché mancano le competenze: allora è necessario attivare programmi di formazione sui dati estesi a tutto il personale.

Le linee produttive, con i ritmi a cui sta progredendo la tecnologia, hanno un grado di obsolescenza molto rapido: la gran parte non è ancora dotata di sensori, che sono necessari per raccogliere i dati. E poi per gestirli e condividerli con organizzazioni esterne: cosa che oggi riesce a fare solo il 38% delle aziende italiane. Infine, una volta che l’infrastruttura viene digitalizzata, è giocoforza attuare una strategia di sicurezza, attivando una cybersecurity complessiva che impedisca di rompere i sistemi aziendali. Oggi solo la metà delle aziende italiane ritiene che i propri dati siano al sicuro. Insomma, la strada è lunga, anche se è segnata e non si può tornare indietro.














Articolo precedenteLa crisi energetica? Spingerà la transizione green! Enel e il World Energy Outlook
Articolo successivoTim Enterprise cambia assetto operativo per supportare la digitalizzazione del paese






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui