Delaini: così immagino la Fanuc del futuro

di Marco Scotti ♦︎ A tu per tu con il nuovo managing director della filiale italiana del colosso giapponese della robotica industriale. Una sfida complessa che deve tenere conto di molti fattori: incremento delle materie prime, costo della logistica, aumento della domanda, nuove industry. Ma anche di un "nanismo" delle imprese italiane che è il loro primo ostacolo per la ripresa

Marco Delaini è diventato ufficialmente il nuovo managing director di Fanuc Italia lo scorso 1° novembre

«I prezzi per i container sono decuplicati: a gennaio per spedire dall’Asia all’Europa un “40 piedi” si spendevano circa 1.000 dollari, oggi siamo intorno ai 10.000. E stiamo parlando di un viaggio che richiede tra i 20 e i 25 giorni». Marco Delaini è diventato ufficialmente il nuovo managing director di Fanuc Italia lo scorso 1° novembre, ma già dalla fine di settembre aveva iniziato a lavorare alla successione di Marco Ghirardello, che è ora nella branch europea della multinazionale giapponese. Delaini è un uomo che conosce Fanuc fin dagli albori dell’esperienza dell’azienda in Italia. Quella a Industria Italiana è la prima intervista ufficiale nel suo nuovo ruolo. Il mercato italiano ha saputo reagire in maniera brillante alle nuove esigenze, ma si è scontrato con la sua atavica struttura poco robusta, incapace di reagire alle crescenti richieste del post-pandemia. Inoltre, per venire incontro alle nuove esigenze della clientela, Fanuc ha da poco lanciato uno European Development Center in Germania, dove vengono sviluppate soluzioni ad hoc per il Vecchio Continente. Partendo dall’assunto che i robot industriali sono profondamente diversi da com’erano prima e che il peso delle diverse industry è progressivamente cambiato: non più supremazia dell’automotive ma un ribilanciamento anche con altre manifatture.

D. Delaini, com’è arrivato al timone di Fanuc Italia

R. Ho iniziato nel 1992 e, all’epoca – eravamo agli albori della robotica – ci dedicavamo soprattutto all’automotive. Erano gli anni degli impianti Fiat di Termini Imerese e di Melfi, che era appena stato aperto. All’epoca l’automotive valeva circa l’80% del volume di vendita. Quando sono arrivato, come responsabile finanziario, l’azienda si chiamava ancora Gm Fanuc Robotics Italia ed eravamo in 16. Nel 2007, poi, la casa madre ha deciso di avviare un’espansione nell’Est Europa: mi sono detto disponibile e dal gennaio 2008 sono stato nominato presidente di Fanuc Russia. Abbiamo creato un mercato dal nulla nelle zone dell’ex-Unione Sovietica. 







Il roboto M-1000 iA creato per gestire i carichi pesanti

D. Un incarico di rilievo: e poi?

R. Da lì, nel 2014, sono diventato vice president di Fanuc Europe, con la responsabilità di tutto l’Est Europa, con base a Budapest. Nel 2020 abbiamo iniziato a parlare di avvicendamento qui in Italia, al posto di Marco Ghirardello. Sono tornato in un’azienda molto diversa: nel 2014 erano 80 persone e oggi sono oltre 150.

D. Che tipo di mercato è quello italiano?

R. Abbiamo una “doppia faccia”. Da una parte siamo apprezzati in giro per il mondo come punto di riferimento, come innovatori, grazie alla nostra flessibilità. Siamo molto più rapidi dei nostri competitor tedeschi, ad esempio, che sono invece più lenti nel processo decisionale. Noi abbiamo realtà più piccole che si evolvono in maniera più rapida, siamo quelli del “tailor made” e questo è un vantaggio competitivo enorme, perché ci ha consentito di adattarci rapidamente alle nuove esigenze del mercato.

D. Quale sarebbe allora la faccia “cattiva”?

R. Che abbiamo dei grandi limiti dimensionali. È vero che noi italiani possiamo reagire in maniera veloce, ma arrivati a un certo punto non riusciamo più a rispondere alle esigenze della clientela perché siamo strutturalmente piccoli. Molti nostri clienti sono arrivati rapidamente a saturare i livelli di produzione e oltre quel tetto non riescono ad andare. Riusciamo a soddisfare la domanda ma fino a un certo punto. Nelle scorse settimane, a Emo, abbiamo parlato con i nostri partner che ci hanno confermato di aver raggiunto il picco massimo. Hanno anche cercato di aumentare la forza lavoro, ma servono ulteriori investimenti che però potrebbero dare i frutti solo in un lasso di tempo di uno o due anni. 

La sede di Fanuc Italia a Lainate

D. Il problema principale è rappresentato dalla scarsità di componenti?

R. Per rispondere a questa domanda bisogna partire da una premessa: normalmente i cicli tra automotive e quello che noi chiamiamo general industry si sono sempre intersecati, per cui al calare dell’uno si registrava un incremento dell’altro. Ora però ci ritroviamo con picchi di richiesta sia da parte dell’automobile, che deve per forza di cose cambiare strada per l’avvento delle macchine elettriche, sia dagli altri comparti. Siamo di fronte a un’esplosione della domanda, ma abbiamo tre criticità da affrontare: scarsità di componenti, prezzi delle materie prime alle stelle e problemi con la logistica. Noi, come altri, dobbiamo combattere quotidianamente.

D. L’aumento dei prezzi è innegabile: sta riguardando anche voi? State scaricando sulla filiera l’incremento dei costi?

R. No, siamo riusciti ad assorbire tutti i prezzi e non li abbiamo aumentati ai clienti. E stiamo parlando di costi che sono anche decuplicati. Prendiamo i container: a gennaio un 40 piedi costava circa 1.000 dollari per un viaggio dall’Asia all’Europa. Oggi siamo a circa 10.000 per una tratta che dura tra i 20 e i 25 giorni. 

D. Che cosa state facendo per fronteggiare questo momento complesso?

R. Abbiamo sempre investito in automazione, siamo stati una delle prime aziende al mondo ad avere la fabbrica completamente automatizzata. Potevamo aumentare la produzione in base alle richieste, ma oggi dobbiamo fronteggiare la questione della scarsità di componenti. È vero, noi potremmo produrre di più, ma non possiamo spingerci oltre. 

D. È un problema destinato a rientrare nel 2022?

R. Fortunatamente, da quello che ci dicono i nostri fornitori è opinione diffusa che la situazione possa tornare a normalizzarsi già nel primo trimestre del prossimo anno. Certo, al momento siamo ancora al livello delle promesse: ci saranno più container, la logistica migliorerà e via dicendo. Ma credo che effettivamente ci sia una sorta di bilancia a livello mondiale che sta impedendo che il prezzo delle materie prime decolli definitivamente.

Cobot di Fanuc

D. Prima ci diceva che il mercato di Fanuc era composto all’80% dall’automotive e solo per il 20% da altri comparti. Oggi com’è?

R. Direi che siamo arrivati a un equilibrio totale. La general industry ha ormai un peso complementare rispetto a quella dell’auto. Quest’ultima ha iniziato a richiedere molti più robot, passando da un’automazione rigida a una più flessibile. Così, mentre l’automotive ha sempre mantenuto lo stesso numero di robot, nel mondo dell’industria non automobilistica c’è maggiore attenzione alla produttività e alla sicurezza, con un incremento della presenza di robot.

D. Che ruolo ha in mente per la “sua” Fanuc?

R. Vogliamo essere fornitori di tecnologia, portatori di innovazione, partner per i nostri clienti. Non siamo più soltanto dei fornitori di soluzioni di automazione. D’altronde, è quello che chiede il mercato: per differenziarsi serve avere prodotti di nicchia diversi dalla concorrenza. Il mandato di Fanuc è quindi lavorare con tutti questi clienti per sviluppare le tecnologie del futuro: cambia completamente la prospettiva: noi oggi dobbiamo rispondere rapidamente alle nuove esigenze dei nostri partner, avendo ben chiaro quale sia il progetto e l’investimento tecnologico che vuole profondere.

D. Avete modificato qualcosa anche dal punto di vista della vostra ricerca e sviluppo?

R. Sì: oggi abbiamo a disposizione, in Germania, uno European Development Center. Fino a qualche anno fa la ricerca e lo sviluppo venivano svolti esclusivamente in Giappone. Ma per ascoltare il cliente e produrre ciò di cui ha bisogno serve essere localizzati. Da qui l’esigenza di avere un “baluardo” in Europa, producendo soluzioni sulla scorta delle richieste dei nostri partner. La tecnologia evolve con una rapidità impressionante e dobbiamo avere prodotti customizzati. Siamo però anche una società di robotica che investe nel capitale umano: e non è un controsenso, soprattutto se si guarda alla qualità. E poi vogliamo lavorare molto più vicino a università e Its. Per questo non mi capacito di come la robotica non sia ancora materia di studio.

Cobot di Fanuc durante le operazioni di apprendimento

D. Veniamo ai trend del settore: robotica collaborativa e “as a service”. Che cosa può dirci in proposito?

R. La robotica collaborativa è il tassello che mancava nel robot industriale. Perché si mette a disposizione degli utenti un dispositivo flessibile in grado di fare operazioni che prima non venivano proprio svolte dalla robotica. Un tempo l’automa veniva isolato in un ambiente chiuso, protetto e sicuro. Nelle operazioni collaborative spesso si lasciava tutto in mano all’umano, di fatto creando dei silos. Oggi invece abbiamo il robot collaborativo che è in grado di integrarsi con l’uomo e di aumentare i possibili impieghi.

D. Per quanto riguarda l’as a service?

R. In Fanuc lo chiamiamo pay-per-use ma cambia poco. Si tratta di un trend molto interessante, pensiamo che rappresenti il futuro del nostro mercato e del nostro settore. Ci sono già aziende che lo propongono. Ma non è molto usato per un motivo: ci sono agevolazioni fiscali solo sull’acquisto del robot come asset fisico e di proprietà. Le installazioni da questo punto di vista sono quindi abbastanza rare oppure ci sono in quei mercati in cui questa agevolazione fiscale non c’è. L’Europa occidentale, infatti, è focalizzata su sgravi per il possesso del macchinario. In Russia, invece, si sta iniziando a incentivare questo tipo di modello. Va notato, oltretutto, che l’automazione industriale è molto specialistica: un impianto di saldatura non può essere usato in un’altra azienda, ma richiede delle modifiche. Non è così facile creare degli impianti che possano essere adatti a rispondere alle esigenze di imprese differenti. 

D. Che cosa prevede la vostra offerta commerciale e quali servizi garantite alla clientela oltre alla vendita?

R. Seguiamo il cliente per tutto il ciclo di vita del bene che vendiamo. Siamo gli unici sul mercato a offrire la manutenzione e i pezzi di ricambio per oltre 25 anni e il supporto al cliente. Altri competitor si limitano magari ai primi dieci anni di vita del prodotto. Questo è un tema su cui insistiamo molto perché ha delle importanti ricadute anche dal punto di vista della sostenibilità. Garantendo la manutenzione “per sempre” riduciamo anche la necessità di cambiare i macchinari, abbattiamo le emissioni di anidride carbonica e ragioniamo in un’ottica di economia circolare. C’è anche un ulteriore servizio che garantiamo ai clienti: il retrofit, che consente di rendere tecnologicamente al passo con i tempi un macchinario magari un po’ datato. Garantiamo i nostri servizi alla clientela grazie a 264 filiali dirette nel mondo. E anche questa è una differenziazione dagli altri player del settore, perché non diamo in appalto il service a società esterne, ma garantiamo il prodotto e l’assistenza Fanuc. 

Panorama del quartier generale di Fanuc con vista sul Monte Fuji

D. In conclusione, prima ci parlava della necessità di incrementare la conoscenza del mondo della robotica: che cosa state facendo?

R. Abbiamo avviato una Academy che ci consente di portare la conoscenza del mondo dei robot anche nelle scuole. Grazie ai collaborativi, infatti, che sono più flessibili e decisamente meno ingombranti dei macchinari tradizionali, possiamo far vedere alle nuove generazioni di ingegneri o di professionisti del comparto quali sono le peculiarità del settore, studiando direttamente il prodotto. Oggi programmare un robot è diventato veramente facile, è un prodotto della quotidianità che può essere assimilato a uno smartphone o a un tablet. Certo, per fare l’ultimo passo servono legislazioni specifiche per garantire sempre la massima sicurezza.














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