Eni grande industria dell’Upstream. Una rincorsa che non è ancora finita

Concessione Eni|Eni Green Data Center. Foto concessione Eni|Eni Green Data Center. Foto concessione Eni
La Goliat di Eni. Foto concessione Eni

di Gianluca Zapponini ♦︎ L’esplorazione per la ricerca di idrocarburi è ormai il centro di gravità del Gruppo fondato da Enrico Mattei. Scoperta dopo scoperta, il Cane a sei zampe ha spostato il suo baricentro, diventando leader mondiale nella caccia a gas e petrolio, perno dell’impresa Upstream globale. E ora arriva anche l’Intelligenza Artificiale

Claudio Descalzi, ceo di Eni, lo aveva detto a marzo di due anni fa. L’esplorazione e la ricerca di idrocarburi saranno “il baricentro della nostra crescita”. Detto, fatto. Gli ultimi anni hanno visto il gruppo fondato da Enrico Mattei nel lontano 1953 diventare un autentico segugio nell’individuazione di grossi giacimenti e gas e petrolio. Un gruppo che nel tempo ha cambiato pelle, tramutandosi nella maggiore società industriale italiana. Tanto è vero che oggi l’Upstream, ovvero l’attività di ricerca e produzione di idrocarburi, rappresenta la spina dorsale del business Eni. Industria italiana ha deciso di raccontare questa crescita esponenziale di un cacciatore di idrocarburi.







DeScalzi_Eni
L’ ad Eni Claudio Descalzi

A tutto Upstream

Un dato più di tutti deve far riflettere. Da qui al 2022 l’Upstream assorbirà il 77% degli investimenti complessivi (33 miliardi) messi in cantiere da Eni, per un totale di 6,5 miliardi di euro all’anno. Di questi il 57% riguarderà lo sviluppo di nuovi progetti, mentre circa il 32% interesserà il mantenimento degli asset esistenti. Solo per la perforazione la spesa di Eni si aggirerà nei prossimi tre anni intorno ai 900 milioni di euro, grazie ai quali verranno trivellati una quarantina di pozzi all’anno.

In termini di produzione tale sforzo garantirà una crescita delle attività Upstream del 3,5% l’anno nell’arco di piano grazie al mix tra ramp-up e avvio di nuovi progetti che dovrebbero contribuire per circa 660mila barili al giorno entro il 2022, mentre l’espansione di campi esistenti apporterà circa 290mila barili di olio equivalente al giorno entro il medesimo termine.

Il modello Upstream di Eni

Un 2018 da record

Voltandosi per un attimo indietro, alle spalle di Eni c’è una crescita costante nell’esplorazione. Nel febbraio 2018 sono stati firmati con la Repubblica del Libano due contratti di esplorazione e produzione per i Blocchi 4 e 9, situati nelle acque profonde dell’offshore del Paese. Su questo fronte Eni partecipa con una quota del 40% in entrambi i blocchi. Ancora, sempre lo scorso anno, in Oman, è stato firmato con il governo del Sultanato e la società di stato Oocep l’Exploration and Production Sharing Agreement per il Blocco 52 situato nell’offshore del Paese.

Contestualmente il Cane a sei zampe e la Qatar Petroleum hanno firmato un accordo di assegnazione di una quota del blocco. Non finisce qui. In Kazakistan, è stato siglato l’accordo con il ministero dell’Energia per il trasferimento ad Eni del 50% dei diritti per la ricerca e la produzione di idrocarburi del blocco Isatay, situato nel Mar Caspio.

Il blocco sarà operato da una joint operating company paritetica tra Eni e Kmg. L’azienda guidata da Descalzi potrà fare leva sulle sue tecnologie proprietarie, la sua leadership nell’esplorazione e la consolidata esperienza in aree sfidanti dal punto di vista tecnico e ambientale come quella del bacino del Caspio. Un po’ più indietro, è stato finalizzato nel marzo 2017 un farm-in agreement per l’acquisto del 50% del Blocco 11, operato da Total, nell’offshore di Cipro.

In questo caso il blocco esplorativo di 2.215 chilometri quadrati è prossimo alla scoperta di Zohr, il maxi-giacimento egiziano di cui parleremo più in là. Infine è stata completata con successo la campagna esplorativa dell’Area 1, nell’offshore del Messico. I successi esplorativi e la revisione dei modelli di reservoir hanno consentito di incrementare le risorse complessive del blocco a 2 miliardi di boe in posto, dei quali circa il 90% a olio.

I conti di Eni

Parentesi d’ordinanza, sui conti del 2018. Tutti in crescita, oltre le previsioni degli analisti. Il gruppo e principale industria italiana ha chiuso il 2018 con un utile netto pari a 4,2 miliardi di euro, in rialzo del 25% rispetto all’anno precedente e un utile netto adjusted di 4,6 miliardi, praticamente raddoppiato (+93%).

Principali dati economici di Eni

Dal Ghana al Messico

Arrivando a quest’anno, non si può certo dire che il 2019 sia stato povero di sorprese per il Cane a sei zampe. Pochi giorni fa Eni ha effettuato la quinta scoperta a olio nell’arco di un anno nel Blocco 15 / 06, nel deep offshore angolano, in Africa. Il pozzo è stato perforato sul prospetto esplorativo di Agidigbo. La nuova scoperta è stimata contenere tra i 300 e i 400 milioni di olio in posto, con ulteriore potenziale. Lo scorso 3 luglio Eni (70%) in partnership con Vitol (30%) si è invece aggiudicata i diritti per il blocco WB03, situato nelle acque medio profonde del prolifico bacino del Tano, nell’offshore del Ghana.

Risultato che permette ad Eni di consolidare ulteriormente la propria presenza nel Paese. Eni svolgerà il ruolo di operatore e la joint venture comprenderà, oltre a Vitol, la società di stato Gnpc (Ghana national petroleum corporation) e una società di diritto locale che sarà identificata durante la fase di finalizzazione del contratto. L’assegnazione del contratto sarà soggetta alla approvazione delle autorità.

Non è finita. Pochi giorni fa il gruppo guidato da Descalzi ha avviato la fase di produzione anticipata dal campo di Miztón, nell’Area 1, situata nella baia di Campeche, nell’offshore del Messico. Questo è il primo passo nello sviluppo dell’Area 1, stimata contenere un totale di 2,1 miliardi di barili di petrolio equivalente in posto (90% olio) nei giacimenti di Amoca, Miztón e Tecoalli.

Fattore Zohr

Ma il fiore all’occhiello della rincorsa di Eni all’Upstream è senza dubbio il maxi-giacimento (è il più grande del Mediterraneo) di Zohr, nell’offshore egiziano.  Scoperto nel 2015 ed entrato in produzione in tempo record, a dicembre 2017, Zohr ha raggiunto una produzione giornaliera di 2,1 miliardi di mentri cubi e dovrebbe raggiungere il suo picco entro la fine del 2019. Lo stesso governo del Cairo sta lavorando per accelerare e portare la produzione di Zohr al massimo di oltre 3 miliardi di metri cubi nel corso del 2019. L’attuale livello di produzione del giacimento, il cui 50% è detenuto da Eni, è stato ottenuto grazie all’avvio della quinta unità produttiva (T4) dell’impianto a terra, 8 pozzi in produzione e un nuovo gasdotto sottomarino da 30 pollici di diametro e 218 chilometri di lunghezza commissionato lo scorso mese.

Piattaforma in produzione. Giacimento Zohr Eni. Foto concessione Eni

Tecnologia&Energia

Naturalmente tutto questo non sarebbe stato possibile senza un’adeguata tecnologia. Per esplorare il sottosuolo servono sistemi all’avanguardia e Eni, grazie alla collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology (Mit), ha potuto sviluppare studi e applicazioni utili. Grazie alle carote di fondo è possibile per esempio studiare la storia dei giacimenti per prevedere la produzione di idrocarburi nel tempo e con la tecnologia Sand-box investigare le strutture geologiche delle rocce analizzandone la geometria e l’evoluzione geologica per la ricerca di idrocarburi. Altri progetti di ricerca, come Gas Systems, permettono di simulare il sistema petrolifero per individuare le aree più interessanti per la presenza di accumuli e i fattori che concorrono al rischio esplorativo.

Ancora, grazie alla tecnologia Dva (Depth Velocity Analysis) si ottiene un’immagine 3D del sottosuolo, il più simile possibile alla realtà, utile alla scoperta di nuovi giacimenti. Tra gli strumenti aziendali chiave per ottenere risultati di successo c’è la modellistica fluidodinamica di giacimento avanzata. Fa leva sulle capacità di calcolo del Green Data Center di Ferrera Erbognone (Pavia), che ospita i sistemi informatici centrali di elaborazione di Eni. L’utilizzo di algoritmi sofisticati proprietari di imaging sismico consente di ottenere modelli del sottosuolo sempre più accurati, riducendo il rischio sia nella fase esplorativa, sia in quella di sviluppo. All’interno dell’infrastruttura è presente Hpc4, il supercomputer che viene usato da Eni principalmente per lo studio dei dati provenienti dal sottosuolo. Il nuovo supercalcolatore quadruplica il prestigio del Green Data Center, rendendolo il più potente al mondo a livello industriale.

Eni Green Data Center. Foto concessione Eni

Tra upstream e Intelligenza Artificiale

Ma senza dimenticare mai il recentissimo accordo con Ibm, in chiave Ai. Insieme allo storico produttore americano, Eni ha lanciato la piattaforma Cognitive Discovery, che ha l’obiettivo di supportare il processo decisionale nelle fasi iniziali dell’esplorazione riducendo in modo significativo il rischio esplorativo legato alla complessità geologica. La Cognitive Discovery consente una rappresentazione più realistica e puntuale del modello geologico del sottosuolo, attraverso l’identificazione e la verifica di scenari alternativi plausibili. Questa enorme base di conoscenza è assimilata dal sistema per creare il Knowledge Graph di Eni, capace di contestualizzare le varie componenti dell’informazione geologica, geofisica e geochimica allo scopo di interpretare i dati osservati, supportando gli esploratori nel loro lavoro quotidiano e migliorare il loro processo decisionale.

 

Il supercalcolatore

Il tema Big data, business sviluppato anche grazie all’ottimo andamento delle attività Upstream, non si esaurisce qui. Nel gennaio del 2018 Eni ha infatti avviato in collaborazione con Hp presso la propria infrastruttura di supercalcolo, situata nel Green Data Center di Ferrera Erbognone, il nuovo supercalcolatore denominato Hpc4, quadruplicando la potenza dell’intera infrastruttura e rendendola la più potente al mondo a livello industriale. Hpc4 ha infatti una performance di picco pari a 18,6 Petaflop che, associata a quella del sistema di supercalcolo già operativo (Hpc3), porta l’intera infrastruttura a raggiungere una disponibilità di potenza di picco pari 22,4 Petaflop, vale a dire 22,4 milioni di miliardi di operazioni matematiche svolte in un secondo.

Se si prendono a riferimento i valori riportati nella classifica Top500 dei supercomputer più potenti al mondo pubblicata a novembre dello scorso anno (la prossima verrà pubblicata a giugno 2018), il sistema di supercalcolo di Eni si collocherebbe tra i primi dieci al mondo, primo tra i sistemi non-governativi e non-istituzionali. Il Green Data Center di Eni è stato concepito come un’unica infrastruttura IT per ospitare tutta l’architettura Hpc e tutte le altre applicazioni gestionali. I supercalcolatori del Green Data Center (l’Hpc3 e il nuovo Hpc4) forniscono un supporto strategico al processo di trasformazione digitale di Eni lungo tutta la sua catena del valore, dalle fasi di esplorazione e sviluppo dei giacimenti oil & gas, alla gestione dei ‘big data’ generati in fase di operation da tutti gli asset produttivi (upstream, refining e chimici).

Eni Green Data Center. Foto concessione Eni













Articolo precedenteAnra nel progetto DeRisk-Co della Fondazione Eni Enrico Mattei
Articolo successivoDa automazione industriale ad automazione cognitiva






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui