Enel: l’economia circolare italiana potrebbe valere il 4% del Pil

di Roberto Rossi ♦ Per il colosso energetico guidato da Francesco Starace la transizione a fonti rinnovabili e gli altri elementi della sostenibilità sono un pilastro strategico. Tanto che la controllata Enel X, guidata da Francesco Venturini, si posiziona come acceleratore della circolarità, all’interno del suo ecosistema di fornitori, partners, installatori e clienti. Il recente successo del titolo si spiega anche con questo. Lo studio realizzato da Fondazione Enel e Ambrosetti dimostra come - se ci fosse un impegno pari a quello dei Paesi europei più avanzati, il valore dell'economia circolare italiana potrebbe raddoppiare e dare lavoro a 400 mila persone.

Francesco Starace, ceo di Enel

In natura, diceva il chimico francese Antoine-Laurent de Lavoisier, nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma. Questo, a livello molecolare. Nel mondo della produzione industriale, invece, per secoli è andata diversamente. Le cose sono state create per essere buttate. Ora, però, c’è la grande occasione di cambiare strada: gradualmente, si sta affermando l’economia circolare, un sistema volto ad eliminare gli sprechi e il consumo continuo delle risorse. L’idea è che i “rifiuti” di un processo diventino “alimenti” per un altro. In questo modo, una materia trasformata in prodotto trova una seconda vita come sottoprodotto. Inoltre, con la riparazione e il ricondizionamento dei beni si mira ad allungarne la vita operativa.

In Italia, però, occorre un colpo di reni. Da noi l’economia circolare vale 29 miliardi, tra il 2% e il 3% del Pil e occupa quasi a 200mila persone. Ma nel quinquennio 2014-2018, mentre altri Paesi europei hanno premuto sull’acceleratore, l’Italia ha un po’ arrancato. Non siamo più al passo. «Occorrono politiche incentivanti, misure fiscali e finanziarie per le imprese italiane», ha affermato qualche ora fa il Ceo di Enel  Francesco Starace.  Anche, ad esempio, utilizzando risorse del Recovery Fund. E servono leggi, non mere dichiarazioni di intenti da parte degli esecutivi. Con uno scatto in avanti, in Italia l’economia circolare potrebbe valere il doppio: il 4% del Pil e occupare sino a 400mila lavoratori.







È emerso a Cernobbio, nel corso di una tavola rotonda virtuale a margine della presentazione dello studio “Circular Europe” e nel contesto del Forum Ambrosetti. Lo studio, realizzato (con report allegato) da Fondazione Enel e Ambrosetti, fa il punto sull’economia circolare nel Vecchio Continente, con un focus su tre Paesi – Italia, Spagna e Romania. Con uno strumento particolare, il Circular Economy Scoreboard, misura il grado di maturità dei singoli Stati sul tema. È stato poi definito un modello che valutare i possibili impatti della transizione, che sono enormi, sia dal punto di vista economico che ambientale.

Al di là del contributo allo studio, l’impegno di Enel nell’economia circolare risale al 2014, con la decisione dei vertici della multinazionale di concentrare i nuovi investimenti sulle rinnovabili. L’obiettivo è quello di raggiungere la completa decarbonizzazione del mix produttivo entro il 2050 investendo in tecnologie, digitalizzazione, reti intelligenti e fonti rinnovabili. Si pensi al  progetto Futur-e,  un programma di riconversione dei siti di 23 impianti e di un’area mineraria. Quanto a Enel X, per questa società del gruppo l’economia circolare è parte del Dna: è quella che fornisce prodotti e servizi innovativi per la trasformazione energetica a livello domestico, cittadino e industriale – in un’ottica di sviluppo sostenibile. Enel X peraltro realizza particolari report per le imprese di filiera. Lo scopo è quello di misurare il livello di circolarità, di realizzare una roadmap specifica per le imprese e di verificare, dopo l’adozione concreta di misure di economia circolare, i benefici delle azioni. Sono stati realizzati 100 report, con una metodologia certificata da enti terzi; entro tre anni si vuole arrivare a quota 4mila.

A parte Starace, hanno partecipato il Ceo di Enel X Francesco Venturini e quello di The European House Ambrosetti Valerio De Molli; ed è intervenuto anche il presidente di Enel Michele Crisostomo.

Rapporto tra sviluppo dell’economia circolare e dimensioni dell’economia dei Paesi

Un quadro di controllo per valutare lo stato dell’arte dell’economia circolare nel Vecchio Continente

Dal momento che si trattava di valutare quali fossero le dimensioni rilevanti per l’introduzione dei modelli circolari, occorreva definire le metriche quantitative di questi ultimi a livello continentale. Insomma, si trattava di trovare gli strumenti per misurarli, anche per capire come fossero posizionati i diversi Paesi su questo fronte. Così, è nato il Circular Economy Scoreboard. Così, sono stati selezionati 23 indicatori di performance (di cui 10 “principali” e 13 secondari) lungo quattro pilastri: gli input sostenibili, e cioè l’uso di energie da fonti rinnovabili e di materiali rinnovabili, riciclabili, riciclati e biodegradabili per produrre beni e fornire servizi in cicli di vita consecutivi; l’end of life, e quindi i modi per recuperare il valore di fine vita di beni, prodotti e materiali attraverso il riutilizzo, la rigenerazione e il riciclo; l’estensione della vita utile, e cioè la capacità di incrementarla rispetto a quella tipica di un prodotto o dei suoi componenti; e infine l’aumento dell’intensità di utilizzo del bene, misurando anche i benefici che si ottengono agendo in questo modo.

La posizione dell’Italia

In realtà, in termini di sviluppo di sistema, l’Italia non è fra gli ultimi, anzi: per esempio, è tra i migliori in Europa per quanto riguarda il fine vita, ed è in una posizione di tutto rispetto per quanto concerne il tema degli input sostenibili e quello dell’estensione della vita utile. Il lato debole è il quarto pillar, quello relativo all’aumento di intensità di utilizzo del bene. Qui si può fare molto di più. Il problema è la velocità del cambiamento. Mentre molti Paesi dal 2014 al 2018 hanno cambiato marcia, l’Italia avanza, sì, ma non con lo stesso passo dei migliori. Rispetto agli altri, mentre ha fatto riscontrare, nel periodo indicato, indubbi progressi in fatto di input sostenibili e fine vita, quanto agli ultimi due pillar descritti poc’anzi è addirittura arretrata. Quanto agli altri due Paesi presi in particolare considerazione dallo studio, la Romania e la Spagna, il primo è ad un livello di sviluppo arretrato, il secondo ad una quota medio alta.  In termini dinamici, e cioè di sviluppo nel citato quinquennio, entrambi questi Paesi hanno fatto registrare progressi più considerevoli del Belpaese.

Posizione dell’Italia nello Scoreboard

Per i leader industriali europei, la circular economy è un’occasione irripetibile

La quasi totalità (95%) dei 300 business leader continentali intervistati ha compreso appieno l’importanza della transizione: considera il passaggio da modelli lineari a modelli circolari come una scelta strategica per la propria società. La goodnews è che lo pensa il 90% delle Pmi, che tradizionalmente sono considerate più “conservatrici” rispetto alle grandi aziende. Le imprese, grandi e piccole, hanno capito che l’economia circolare è uno strumento per conquistare un vantaggio competitivo, sia perché consente una maggiore diversificazione, che perché permette una riduzione importante dei costi e un ampliamento del mercato. «E l’86% delle aziende intende incrementare i propri investimenti in materia, che oggi valgono attorno al 3% del fatturato» – ha affermato De Moli. Quanto alle aziende italiane in particolare, per loro c’è un problema in più: il 62% di loro  pensa che il Paese non sia pronto per la transizione. L’idea è che non si sia fatto abbastanza per creare le competenze, e così la creazione del valore resta in un’area di incertezza. Secondo Starace, colpisce che il 4,5% delle imprese pensi che l’economia circolare sia un mero costo. Significa, dice, che c’è ancora tanto da lavorare in termini di consapevolezza. Ma c’è un altro punto che secondo Starace è essenziale: l’innovazione è la benzina dell’economia circolare: senza la prima, la seconda non può esistere e avanzare. E, per mettere insieme le cose, occorre considerare che in genere le risposte più semplici alla domanda di economia circolare sono le più efficaci, sia in termini industriali che in termini di sistema generale. Per il Ceo di Enel l’Europa è il continente che presenta un vantaggio più incisivo in questo campo: è il caso di accelerare, per consolidare la posizione e imporsi a livello globale.  Per Venturini, si tratta poi di mettere a terra le analisi, di passare dal micro al macro, di tradurre in realtà le teorie. È, secondo il Ceo di Enel X, quello che sta facendo la sua azienda. Che realizza dei report per le imprese di filiera. Lo scopo è quello di misurare il livello di circolarità, di realizzare una roadmap specifica per le imprese e di verificare, dopo l’adozione concreta di misure volte alla circular economy, i benefici delle azioni. Sono stati realizzati 100 report, con una metodologia certificata da enti terzi; entro tre anni si vuole arrivare a quota 4mila.

Il ceo di Enel X Francesco Venturini

Un nuovo modello di valutazione per valutare gli impatti economici, sociali e ambientali dell’economia circolare nell’Unione europea a 27 più il Regno Unito e in Italia, Romania e Spagna in particolare

In un certo senso, come si è detto, lo Scoreboard è uno strumento di calcolo, di misura della situazione dei singoli Paesi in fatto di economia circolare. Occorreva un modello per valutare i possibili impatti della transizione. Per cui si è integrato lo Scoreboard con una serie di variabili collegate alla struttura macroeconomica dei singoli Paesi. Secondo lo studio, si prendono in considerazione sia le esternalità positive (e quindi le dimensioni economiche, industriali e sociali), che la riduzione delle esternalità negative (e cioè l’impatto sull’ambiente). Secondo Crisostomo, lo studio assume quindi un rilievo fondamentale, perché consente di «identificare i contenuti attorno ai quali si deve fondare una nuova Europa. Cose concrete da fare».

Michele Crisostomo presidente Enel

Quanto vale e quanto potrebbe valere l’economia circolare in Italia e in Europa

In Europa a 27, nel 2018 l’economia circolare valeva tra i 296 e i 376 miliardi di euro, dal 2% al 3% e occupava quasi 2,5 milioni di lavoratori. In Italia valeva tra i 27 e i 29 miliardi di euro e occupava 200mila persone. Nel 2018, gli investimenti dedicati erano pari a 90-110 miliardi nel Vecchio Continente e a 8,9 miliardi in Italia. Il modello evidenzia che l’Economia Circolare è associata a miglioramenti del Prodotto Interno Lordo pro-capite: in Italia, nel 2018, per circa 460 Euro pro-capite, 570 Euro in Romania e 650 nell’Unione Europea. Per l’Italia si prevede che, se ci fossero progressi in termini di economia circolare, questa potrebbe valere tra il 4% e il 5% del Pil.

Il Ceo di The European House Ambrosetti Valerio De Molli

Benefici ambientali

Sono molteplici. Ad esempio, secondo lo studio, in Unione Europea un aumento di 10 punti percentuali nell’uso di materiali circolari per i 4 materiali considerati nell’analisi (ferro, alluminio, zinco e piombo) potrebbe portare a una riduzione delle emissioni di GHG relative alla loro produzione del 15,6% per  l’alluminio, del 14,1% per il ferro, del 16,7% per il piombo e del 13,7% per lo zinco.

Riduzione di gas serra con l’economia circolare di alcuni metalli

Policy per gestire la transizione dal mondo lineare a quello circolare

Lo studio evidenzia 10 aree di intervento dove attuare specifiche azioni di policy. Si parte dalla costatazione che alcuni temi restano aperti: infatti, allo stato,  mancano adeguati strumenti per monitorare l’economia circolare e non si riscontra neppure a livello continentale una strategia generale declinabile in operazioni trasversali a tutti i settori produttivi. Inoltre, se da una parte non tutti sono consapevoli del rilievo della circular economy, dall’altra non sempre i lavoratori dispongono delle competenze necessarie per affrontare la transizione in corso. Perciò, la prima azione di policy è quella della definizione, da parte degli Stati Nazionali, di strategie e roadmap chiare e ambiziose, traducibili in obiettivi misurabili e raggiungibili in orizzonti temporali precisi. La seconda è l’istituzione di una governance precisa, efficace, per evitare inutili e dannose sovrapposizioni. In terzo luogo, occorrono nuove leggi. Quelle che ci sono, e non ci sono in tutti i Paesi, non bastano a promuovere adeguati modelli di business. Ancora, occorre lanciare strumenti finanziari adeguati a spingere gli investimenti in aziende che adottano modelli di Economia Circolare e promuovere un approccio circolare negli appalti pubblici che potrebbe anche accelerare l’innovazione.  La sesta area è quella della definizione di metriche chiare e omogenee a livello nazionale e internazionale per misurare l’Economia Circolare a livello macro e micro, adottando, per esempio, il citato Circular Economy Scoreboard. La settima è quella del cambiamento di quei modelli di business che sono orientati a generare rifiuti: serve incentivare, dal punto di vista finanziario, la riparabilità dei beni in caso di rottura.  Inoltre, si tratta di   sostenere la creazione di distretti e cluster per ottimizzare le sinergie a livello locale, nazionale ed europeo, creare un ecosistema per l’innovazione individuando alcuni settori strategici (per es. batterie, moda, alimentazione, mobilità elettrica, energie rinnovabili – con particolare attenzione al solare fotovoltaico e all’eolico – e smart grid). Ancora, secondo lo studio si deve ripensare le città e gli spazi urbani per promuovere la cooperazione tra i diversi stakeholder e coordinando i differenti contributi verso la creazione di un territorio più circolare. La decima area, infine, è quella della consapevolezza: è bene sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere la comunicazione tra i consumatori sui vantaggi offerti dalla transizione.














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