Weart (e-Novia): la mano virtuale entra in fabbrica! Tutte le possibilità per l’industria

di Marco de' Francesco ♦︎ TouchDiver è un guanto tattile indossabile che traccia i movimenti della mano dell'utente: applica forze, trame e segnali termici, per un'interazione naturale e realistica con oggetti e superfici virtuali. L’utilità per la manifattura: validazione, formazione, marketing. E il dispositivo può muoversi nell’impianto virtualizzato... Industria Italiana l’ha provata nel corso dell’evento annuale 3DExperience World, che riunisce l’ecosistema che ruota attorno a Dassault Systèmes: ecco com’è andata. Con Fabio Pizzato

Industria Italiana prova Touchdiver

Oggi le aziende manifatturiere, grazie a potenti simulatori, possono virtualizzare un intero impianto. Sì, ma cosa possono fare per accertarsi che le macchine siano disposte correttamente, e cioè che gli operai e i tecnici possano svolgere la loro attività in maniera agevole e ergonomica? Una soluzione è “entrare” nel contesto digitalizzato con una mano virtuale, e provare a svolgere le operazioni che il personale dovrà eseguire nella realtà. Lo sa bene Weart, start-up che ha dato vita a TouchDiver, un guanto tattile indossabile che traccia i movimenti della mano dell’utente e applica forze, trame e segnali termici, consentendogli un’interazione naturale e realistica con oggetti e superfici virtuali.

Weart è stata fondata da Guido Gioioso e Giovanni Spagnoletti, ma fa parte di e-Novia, la «fabbrica di imprese» guidata da Vincenzo Russi. L’innovazione in e-Novia nasce dalla collaborazione tra gli ingegneri dell’azienda milanese e i centri di ricerca universitari specializzati in meccatronica, sistemi di controllo e tecnologie industriali. Si estrae e si valorizza la “materia prima”, la proprietà intellettuale. Si dà vita ad una start-up, che nasce come per gemmazione da e-Novia ed è costantemente seguita da quest’ultima su tutti i fronti, in modo che possegga fin dall’inizio tutte le funzioni tipiche di un’azienda, dalla finanza al marketing. Infatti lo Chief of Entrepreneurs at e-Novia Fabio Pizzato è diventato Managing Director di Weart.







Tornando a TouchDiver, la sua utilità nella manifattura non è solo in fase di validazione; se ne prevede un utilizzo nella formazione degli operatori e nel marketing. Peraltro, la soluzione è stata presentata giorni fa a Nashville (Tennesse), nel corso dell’evento annuale 3DExperience World, che riunisce l’ecosistema che ruota attorno alla software house transalpina Dassault Systèmes; ed è stata sperimentata da Industria Italiana. Che nell’occasione ha intervistato Pizzato.

  

D: Qual è il rapporto tra e-Novia e Weart?

Fabio Pizzato, Managing Director di Weart

R: e-novia è uno dei co-fondatori di Weart. È parte del nostro modello di business, quella di creare aziende grazie a nuovi talenti. Noi li chiamiamo “talenti politecnici”, perché dispongono di competenze in discipline diverse, e attualmente sono 200. Costituiamo imprese, che sono affiancate da e-Novia nel proprio processo di crescita, mediante l’erogazione di servizi di consulenza ingegneristica e di business, nonché di assistenza allo svolgimento quotidiano delle attività (finanza, amministrazione, organizzazione e attività legal).

D: Perché avete scelto di sostenere lo sviluppo di Weart?

R: Perché quello di Weart è un progetto estremamente interessante; infatti, si inserisce con forza in un mercato che oggi è nascente, agli albori: quello della realtà virtuale, che va intesa come capacità di riprodurre in modo digitale processi e prodotti. È un passaggio di grande rilievo: la digitalizzazione non riguarda più solo le informazioni, ma anche le realtà fisiche. In questo contesto, però, è importante fornire anche la capacità di interagire virtualmente con i beni, così come facciamo nel mondo reale. E noi pensiamo che la soluzione realizzata da Weart abbia un grande futuro davanti a sé.

D: Di qui, TouchDiver

R: Proprio così. TouchDiver è una soluzione hardware e software che consente di percepire le sensazioni tipiche della presa umana: forze, temperatura, vibrazioni, rugosità. Il contesto è quello dell’interazione tra un oggetto virtuale e una mano virtuale. I segnali vengono combinati per raggiungere un livello di realismo mai sperimentato prima con nessuna tecnologia aptica (e cioè, legata al tatto), come riconosciuto da chiunque abbia provato di persona i nostri dispositivi. In pratica, si indossa un particolare guanto, con un comune visore per VR, e si ha veramente l’esperienza di manipolare questo o quello.     

D: Per realizzare un guanto tattile indossabile, però, occorre un modello digitale della mano.

Weart è la start-up che ha dato vita a TouchDiver, un guanto tattile indossabile che traccia i movimenti della mano dell’utente e applica forze, trame e segnali termici, consentendogli un’interazione naturale e realistica con oggetti e superfici virtuali

R: Certamente. Il “tracciamento” delle dita dell’utente è ottenuto grazie ad una nostra tecnologia integrata nel dispositivo – che peraltro è in attesa di brevetto. Questa viene abbinata a un modello digitale della mano umana, incluso nel nostro kit di sviluppo software. Oltre al movimento delle dita, poi c’è la questione del tracciamento della posizione del polso nello spazio. Sotto questo profilo, il TouchDiver viene fornito con un adattatore universale ospitato sull’unità di controllo: può essere utilizzato per collegarsi con la maggior parte dei controller disponibili in commercio (Htc Vive Tracker, controller Oculus e altro; Ndr). Peraltro, l’adattatore può essere facilmente rimosso per l’inserimento di particolari marcatori in grado di conseguire un livello più elevato di accuratezza in ambienti strutturati dotati di sistemi di tracciamento ottico.

D: Questo quanto all’hardware; e quanto al software?

R: La nostra architettura software è modulare e multistrato. Il suo cuore si chiama “Weart Middleware”, ed è un processo in background (modalità di esecuzione tipica di alcuni programmi che non richiedono la presenza o l’intervento dell’utente, e che può essere concorrente all’esecuzione di altri programmi; Ndr), responsabile della comunicazione con il dispositivo. Un secondo livello, invece, include il kit di sviluppo del software, quello che consente l’integrazione dei dispositivi nelle applicazioni del cliente.

D: Questo software è compatibile con quali sistemi?

R: Il nostro kit di sviluppo software è compatibile attraverso un plug-in con modalità drag&drop con le piattaforme di realtà aumentata e virtuale più usate: ad esempio, con Unity e Unreal Engine su piattaforma Wmr. Peraltro include una interfaccia di programmazione (Api) low level (la modalità più dettagliata, che consente al programmatore di manipolare le funzioni all’interno di un modulo software o dell’hardware in maniera molto granulare; Ndr) accessibile da qualsiasi applicazione del cliente, e che mostra una semplice funzione per accedere ai dati di tracciamento e controllare i segnali tattili. Inoltre, molto si è fatto per consentire agli sviluppatori di dar vita a nuove esperienze.

D: Cosa si è fatto per favorire gli sviluppatori?

R: I nostri dispositivi sono nativamente integrati con Unity e Unreal Engine, due motori grafici di ultima generazione, che consentono di potenziare le esperienze di realtà virtuale e aumentata. L’integrazione con i visori è nativa con Oculus e Pico, mentre attraverso SteamVR garantiamo la compatibilità con tutti gli altri dispositivi. Il TouchDiver può anche essere usato per arricchire contenuti proiettati su un normale schermo.

D: Quali sono le implicazioni di tutto ciò nel mondo industriale? Che cosa si può fare con ciò nel mondo della manifattura?

TouchDiver è una soluzione hardware e software che consente di percepire le sensazioni tipiche della presa umana: forze, temperatura, vibrazioni, rugosità

R: Nel mondo dell’industria c’è anzitutto un trend legato alla cosiddetta “visualizzazione immersiva”, che è un modo nuovo e diverso di esplorare i luoghi. La base è la virtualizzazione di un contesto, che può essere un oggetto, un prodotto, una macchina o un processo industriale. Ecco: se si ha la possibilità di interagire con la versione digitale di questi contesti con le proprie mani (anch’esse virtualizzate) e senza l’utilizzo di controller (che danno vita ad una relazione non naturale) in realtà si possono ottimizzare i processi di validazione (quelli che per l’Eu comportano la produzione di prove documentate, in grado di garantire con un elevato livello di certezza che determinati procedimenti, attrezzature o ambienti diano luogo a un prodotto conforme alle specifiche e alle caratteristiche qualitative prestabilite; Ndr) del bene prima di realizzarlo fisicamente. In questo modo si abbattono i costi, i tempi e si potenzia l’ergonomia. Insomma: un oggetto è progettato bene? Posso, in realtà virtuale verificare che i comandi o i controlli di quella macchina siano posizionati nel modo giusto. Il passaggio successivo è consentire agli operatori di quel macchinario di utilizzarlo con un’esperienza che è molto simile ad un training fatto con il bene fisico per consentire a capire come funziona e magari correggere degli errori di progettazione.

D: Oggi si può virtualizzare un intero stabilimento, con miliardi di “punti”. Tecnicamente, una persona potrebbe “muoversi” nell’impianto virtualizzato e provare le sensazioni di presa dei tanti strumenti che fanno parte di esso?

R: Esattamente. Ad esempio, un’azienda può progettare un’intera stazione di lavoro, virtualizzarla inserendo nel contesto digitale tutta la strumentazione nelle posizioni ritenute più corrette. A quel punto, potrebbe utilizzare dispositivi come il nostro per controllare se da un punto di vista ergonomico le macchine siano state disposte correttamente e se le operazioni nello shopfloor siano agevoli. Se si scopre che l’operaio che deve assemblare un prodotto non riesce a passare attraverso certi spazi limitati o ad agire nella maniera più conveniente, l’azienda può verificarlo ancor prima di aver costruito la stazione. Insomma, per ora il punto è questo.  

D: E al di là delle fasi di progettazione collaborativa remota e di validazione, c’è qualche altra attività che potrebbe essere impattata dall’utilizzo di questo dispositivo?

I segnali vengono combinati per raggiungere un livello di realismo mai sperimentato prima con nessuna tecnologia aptica (e cioè, legata al tatto), come riconosciuto da chiunque abbia provato di persona i nostri dispositivi

R: Il marketing: TouchDiver aumenta i tassi di fidelizzazione collegando i clienti al marchio grazie al senso del tatto. Infatti, tra i nostri cinque sensi, quest’ultimo è quello più strettamente correlato alle nostre emozioni. E poi, noi pensiamo che dispositivi di questo genere incideranno molto sull’esperienza di acquisto, soprattutto nella vendita al dettaglio.

D: E al di là della manifattura, in quale industria il dispositivo potrebbe avere successo?

R: In tanti settori industriali; in tutti i quelli in cui il tatto può rappresentare un valore aggiunto. Si pensi all’enterteinment, dove i nostri dispositivi possono aggiungere una dimensione completamente nuova ai contenuti di gioco aumentando la connessione emotiva e il coinvolgimento dei partecipanti.

D: Tutto ciò rappresenta il prossimo futuro?

R: In realtà, in qualche misura rappresenta il presente. Nel prossimo futuro si assisterà tuttavia ad una forte evoluzione di dispositivi di questo genere.

D: La vostra soluzione è già industrializzata e disponibile?

R: Sì, TouchDiver è già disponibile. Abbiamo già ottenuto tutte le certificazioni necessarie, comprese quelle di sicurezza – dopo aver svolto tanti test in materia, dal momento che poi l’hardware, il guanto, va indossato dalle persone, e si trasmette anche la sensazione di caldo e di freddo. TouchDiver lo vendiamo già in tutto il mondo; ma sappiamo bene che non è il punto d’arrivo: è anzi quello di partenza. È la prima versione del primo prodotto nel suo genere.

D: Come sarà questa soluzione tra dieci anni?

R: Cambierà la platea degli utilizzatori. Ora, come si diceva, questi dispositivi sono destinati agli operatori in azienda, per le finalità che illustrate; domani saranno nelle mani dei comuni consumatori. Avranno un prezzo molto più accessibile, anche inferiore a quello di una console per il gaming; saranno come le tastiere e il mouse: molti avranno a casa questi dispositivi. Lo spatial computing (l’interazione umana con una macchina in cui quest’ultima manipola i riferimenti a oggetti e spazi reali; Ndr) sarà diffusissimo, e gli spazi di mercato per queste tecnologie saranno molto ampi. 














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