Saccheria Franceschetti: la fabbrica dei sacchi per l’industria tra digitalizzazione ed M&A

di Laura Magna ♦︎ L'azienda tessile di Brescia produce big bags, sacchi per il trasporto materiali destinati all'industria. Già nel 2014 ha sposato il cloud e l'approccio paparless, creando i presupposti per cambiare strategia e aprire il proprio e-commerce b2b. Che espanderà a breve verso altri paesi UE., L'economia circolare per trasformare gli scarti in prodotti destinati al mondo del fashion. E sulle acquisizioni... Ne parliamo con Luigi e Luisa Franceschetti, rispettivamente presidente e ad dell'azienda

Magazzino automatizzato di Saccheria Franceschetti. L'azienda è stata una delle prime pmi ad essere completamente cloud, già a partire dal 2014

Un e-commerce stile Amazon, processi interamente migrati in cloud e un’attenzione spasmodica all’economia circolare da almeno un decennio. Sono le cifre dell’innovazione di Saccheria Franceschetti, azienda con sede a Provaglio d’Iseo, nel bresciano, con quasi un secolo di vita, che produce e commercializza big bag, ovvero sacchi per il trasporto di materiali industriali – e non solo – al servizio di meccanica, siderurgia, settore alimentare e cosmetica. E ora, dopo la quotazione su Euronext Growth Milan a fine 2022, punta a crescere e ad internazionalizzarsi attraverso operazioni di M&A. Alcuni dossier sono già sul tavolo e l’obiettivo sarebbe chiuderne almeno uno a fine anno. «Si tratta di un obiettivo ambizioso», ammette Luigi Franceschetti, presidente, che insieme a Luisa, sua cugina e amministratore delegato ci ha raccontato i progetti e la filosofia di questa piccola industria, che ha realizzato un fatturato di 23 milioni di euro nel 2022 e ha 31 dipendenti di cui 21 occupati nella produzione. E che non solo non è stata scalfita dai lockdown del Covid ma continua a tenere la rotta anche ora, in una situazione di incertezza e cedimenti generali per l’industria. Nel primo semestre dell’anno i ricavi hanno segnato un calo (9,80 milioni dai 12,61 dell’anno precedente) ma ebitda ed ebitda margin sono cresciuti (rispettivamente a 1,33 milioni +17% il primo e al 13,6% dal 9% il secondo). Anche l’utile ha segnato un aumento del 6% a 0,7 milioni.

Il core business e il valore dell’innovazione

Saccheria F.lli Franceschetti è una pmi b2b, ma rappresenta un unicum per essere una pioniera di industry 4.0 e di transizione green, in tempi in cui queste istanze non erano neppure nel libro dei sogni. Il core business è la produzione e la distribuzione big bags, sacchi in rafia di polipropilene capaci di contenere materiale sfuso caricato alla rinfusa con portate fino a 1500-2mila kg e utilizzate nei settori più vari, per esempio nell’edilizia per movimentare sabbia, inerti, rocce e materiali di demolizione. «Effettuiamo sui prodotti stress test per verificare la resistenza e la qualità – spiega Luigi – alcuni di questi sono utilizzati nel settore dei rifiuti speciali e sono idonei per contenere amianto mentre altri sono impiegati nel settore alimentare, per il trasporto di riso, farina; nella chimica e nel farmaceutico e nella plastica, dove vengono riempiti con il granulo plastico. Noi siamo leader di mercato per produzione e commercializzazione».







Luigi e Luisa Franceschetti, rispettivamente presidente e ad di Saccheria Francechetti

La rafia di polipropilene è il materiale più adatto per resistenza e flessibilità: «Progettiamo e produciamo sacchi e big bags su misura per soddisfare le esigenze specifiche di ogni settore industriale. Questa flessibilità ci distingue dai concorrenti e ci consente di creare valore aggiunto per i nostri clienti – continua il presidente – Inoltre, la qualità dei nostri prodotti è una priorità assoluta. Investiamo in materiali di alta qualità e controlliamo attentamente ogni fase del processo produttivo e abbiamo sviluppato partnership strategiche con fornitori affidabili e collaboriamo strettamente con i nostri clienti per comprendere le loro esigenze e anticipare le tendenze di mercato».

«Apparteniamo al settore tessile – precisa Luisa – Tutta la fase di progettazione è fatta internamente tra ufficio tecnico e cliente o sulla base di campionature già esistenti. Il processo produttivo è estremamente semplice. Dal rotolo di tessuto plastico che acquistiamo dall’estero, passiamo ad attenta ispezione e poi tagliamo le parti del modello e lo stampiamo con loghi personalizzati se richiesto. Il personale poi lo assembla con le macchine per cucire». E dunque è difficile riuscire a dare valore aggiunto nel prodotto: «il valore sta nella ricerca sui materiali, per ottenere performance migliori anche con tessuti diversi meno inquinanti e negli aggiustamenti al prodotto base per utilizzi nuovi – continua l’amministratore delegato – per esempio, abbiamo creato sacconi ventilati per contenere castagne o altri prodotti che ammuffiscono, oppure sacconi modificati per contenere la sabbia con cui vengono ripasciti i litorali per evitarne l’erosione. Con piccoli accorgimenti il sacco si adegua». Attualmente i big bag possono essere utilizzati per trasportare tutto ciò che non è liquido con una portata da 500 a 2mila chili e vengono venduti in 15 settori, dall’edilizia, all’agricoltura, alla cosmetica, all’industria pesante.

La storia di un’idea e la crescita fino alla terza generazione della famiglia

La rafia di polipropilene è il materiale più adatto per la produzione di big bags grazie alle sue caratteristiche di per resistenza e flessibilità.

Fondata nel 1939, la Saccheria bresciana nel suo settore è leader italiana con una market share 2020 pari a circa il 20% e tra i primi 5 trader europei di big bag. È l’unica realtà in Italia ad aver mantenuto una produzione industriale interna (che ha rappresentato negli anni migliori circa il 10% dei ricavi) ed è in grado di realizzare un prodotto completamente customizzato sulla base delle specifiche esigenze dei clienti. La società commercializza ogni anno oltre 3,5 milioni di articoli, avvalendosi di fornitori storici e new entry provenienti da 5 nazioni differenti che garantiscono un vantaggio competitivo di assortimento e di prezzo e una supply chain strutturata, solida e innovativa.

«Nel 1939 il nonno Luigi aveva creato l’attività intorno al cui nucleo si è poi sviluppata l’azienda – dice Luisa Franceschetti – raccoglieva i sacchi di juta usati nelle fornerie e in altre fabbriche, li ricuciva ove necessario e li rivendeva, attuando una forma di economia circolare decisamente ante litteram. Anni dopo due dei suoi numerosi figli, Giacomo e Vittorio, acquistarono l’azienda e la svilupparono una concezione industriale. Anche loro con un’ottica lungimirante: hanno iniziato con un capannone di 3mila mq ma avevano acquistato un lotto di terreno di 24mila mq che oggi sono tutti occupati dal nostro stabilimento, con 12mila coperti. L’idea di ampliarsi c’era fin da principio». E in effetti l’attività è cresciuta, arrivando a occupare 35 persone nella produzione nel 2015. «In quegli anni c’era il riconoscimento del valore del prodotto italiano – continua Luisa – Poi la globalizzazione ha fatto sì che prodotti analoghi ai nostri realizzati in India arrivassero in 30 giorni e in 10 giorni dalla Turchia. Così quando Luigi e io siamo arrivati nel 2014 la situazione era questa: un’azienda impeccabile sui conti e la produzione, ma organizzativamente ingessata e tecnologicamente retrò. Abbiamo capito subito che il processo di innovazione si poteva fare solo sul processo, non sul prodotto che è semplice e artigianale e tale resta. Abbiamo cercato di automatizzare tutto ciò che era possibile nel processo per poter fare sviluppare il pensiero delle persone che lavorano con noi e impiegarle il meno possibile nelle mansioni meccaniche ripetitive».

Il passaggio al cloud nel 2014 e la digitalizzazione ante litteram

«Per anni avevamo abbandonato il business di famiglia per lavorare per altri all’estero e quindi abbiamo avuto questa fortuna di considerare la mobilità come elemento chiave – racconta Luigi – quando siamo rientrati nel 2014 abbiamo fatto una cosa per l’epoca dirompente: abbiamo rinunciato alle strutture informatiche interne passando da Microsoft a Google. Ci dicevano che eravamo matti a rinunciare a un server interno. Noi abbiamo sempre lavorato con le autenticazioni da Otp bancario, abbiamo agito in questa direzione e quando è arrivato il 2020 lavoravamo tutti con Cromebook, dove è impossibile installare software, per cui ognuno di quelli utilizzati doveva essere online. Cosa che ci ha consentito di continuare ad essere operativi lavorando da casa sin dal primo giorno di pandemia, con il risultato che abbiamo perso solo il 5% del fatturato. Saccheria è stata una delle prime pmi ad essere completamente cloud, già a partire dal 2014. Siamo l’unica pmi che dal 2014 è in cloud».

La digitalizzazione è la chiave del successo di Saccheria Franceschetti, che ha automatizzato il suo magazzino facendo leva su cloud e IA. 

Essendo l’innovazione sul prodotto limitata, Saccheria Franceschetti ha puntato tutto sull’innovazione di processo. «Siamo partiti da una piccola cosa, come ridurre la carta: quando siamo entrati in azienda avevamo 13 stampanti adesso ce n’è una: sembra una minuzia ma è qualcosa che produce nel medio termine un cambio di paradigma», asserisce Luigi. Dalla riduzione delle stampanti a un e-commerce integrato il passo è breve. «Abbiamo lanciato un e-commerce di proprietà per settori e tagli particolari, prima vendevamo a bancali e ora anche con pezzature più piccole sempre in ottica b2b, anche 25 e 50 pezzi – racconta il presidente Luigi – In un mercato che è tradizionale noi siamo partiti da zero nell’ecommerce.

La rivitalizzazione della produzione interna e l’idea di riciclare gli scarti creando borse fashion

Tramite il marchio  Sack Monarchy, Saccheria Franeschetti produce anche borse destinate al settore del fashion

Come abbiamo visto la Saccheria si avvale di una piccola produzione interna, «che è molto specialistica e di qualità e che difenderemo con i denti fino a quando sarà possibile – dice Luisa – ma si tratta di un reparto artigianale dove lavorano 20 persone ed è sottoutilizzato. Per questo abbiamo cercato di affiancare ai sacchi altri prodotti». E così nasce un progetto innovativo che è anche un’applicazione di economia circolare. «Il sacco è di derivazione plastica, il materiale più idoneo per realizzazione di un big bag perché negli anni ha dato la maggior resa. La R&S interna ha provato nel tempo a usare materiali ecologici come la juta, che è idrosolubile ma ha limiti tecnici che la rendono non adatta a fare il lavoro che fa il polipropilene. Quindi abbiamo deciso di cambiare approccio e di riutilizzare gli scarti di produzione: tele rifilate, o spezzoni di materiale». Gli scarti possono essere recuperati in vari modi, ridensificati e rigranulati per ridare vita al granulo di polipropilene che «però non ha le stesse caratteristiche chimico-fisiche di quello vergine. E oltre a questo, per effettuare questa rigenerazione c’è la necessità di sottrarre al nostro pianete risorse ulteriori. Il nostro progetto non sottrae nuove energie e usa materia prima seconda».

Allora la soluzione più efficiente da ogni punto di vista è sembrata quella di dargli nuova vita con il brand Sack Monarchy, ovvero trasformandoli in borse e sacche moda. «Abbiamo registrato il brand e lo commercializziamo on line. Sono borse made in Italy, uniche e realizzabili in base agli scarti disponibili: non faremo una produzione in serie, ma un prodotto artigianale a impronta sartoriale». Sackmonarchy è stata sponsor tecnico di 1000 Miglia, manifestazione internazionale di auto storiche con partenza ed arrivo a Brescia: «abbiamo fornito 900 travel bag agli equipaggi che hanno partecipato alla manifestazione, tutte diverse, in edizione superlimitata e numerate».

Il futuro: la crescita per acquisizioni

I sacchi in juta e rafia sono la soluzione migliore per lo stoccaggio e il trasporto di vari materiali in grado di coniugare costi e funzionalità. I sacchetti di juta hanno buone proprietà isolanti, antistatiche, una bassa conduttività termica e una ritenzione dell’umidità oltre ad essere 100% ecologici e sostenibili

Se l’azienda resta radicata a Provaglio l’obiettivo per i prossimi anni è quello dell’espansione internazionale. «Il 2022 è stato un anno eccezionale ed è stato difficile trovare dei target ma le cose stanno cambiando – dice Luigi – è evidente un forte rallentamento dell’industria quest’anno dettato dall’inflazione, ma per noi è un vantaggio. Oggi delle target ci sono e abbiamo dossier aperti sia sull’Italia sia sull’Europa, che speriamo di chiudere nei prossimi 18 mesi». L’obiettivo è portare in Europa il modello dell’e-commerce b2b. «Stiamo facendo un lavoro di analisi – sulla ripetibilità dell’acquisto e la frequenza e la locazione – spiega Luigi – l’e-commerce sta crescendo a doppia cifra ogni mese quindi vuol dire che stiamo dando grandissima attenzione all’identificazione delle metriche, sul tipo di taglio e packaging che è tipica della moda. E davvero è poco comune per un prodotto industriale b2b come il nostro. Per esempio diamo il diritto di recesso, che nel b2b non è previsto ma noi lo offriamo come plus sulla stregua di Amazon. Abbiamo un’attenzione spasmodica all’esperienza di utilizzo e alle condizioni di vendita. E questa attenzione ci viene ripagata con la crescita e con la soddisfazione dei clienti».














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