L’Italia ha ancora tanti compiti a casa da fare per recuperare sul fronte digitalizzazione. Nell’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi 2019) della Commissione europea – strumento utilizzato per monitorare l’avanzamento della competitività digitale dei membri Ue – l’Italia è al 24mo posto fra i 28 Stati dell’Ue. La Desi si focalizza su cinque ambitii: connettività a banda larga, competenze digitali, utilizzo dei servizi internet, integrazione delle teconologie e servizi pubblici digitali.
Penultimi in banda larga ultraveloce
Sulla connettività l’Italia viaggia in maniera duplice: se da un lato la banda larga veloce e la diffusione ha raggiunto il 99,5 % di copertura delle reti fisse e un uso da parte del 90% delle famiglie (la media Ue è dell’83%), dall’altra la banda larga ultraveloce (100 Mega al secondo e oltre) l’Italia ha una copertura pari ad appena il 24% contro la media Ue del 60%. Tutto questo pone il Paese al 27esimo posto in classifica sui 28 considerati. Con 89 abbonamenti ogni 100 persone, inoltre, l’utilizzo della banda larga mobile è al di sotto della media Ue (96%).
Ma dal 5G arriva il riscatto
In Italia è stato assegnato il 94% dello spettro armonizzato a livello Ue per la banda larga senza fili è stato assegnato. Ovvero, secondo il Desi, le aste sono state conclude nel 2018, assicurando peraltro alle casse dello Stato un introito di 6,55 miliardi di euro fino al 2022. A queste vanno aggiunte le sperimentazioni. Alcune sono partite sotto l’egida del Ministero dello Sviluppo economico nel 2017 con Vodafone impegnata a Milano; Tim, Fastweb e Huawei a Bari e Matera; Wind Tre e Open Fiber a Prato e L’Aquila. Nel frattempo altre sperimentazioni partono in autonomia: Tim a San Marino o anche a Torino con Ericsson e Politecnico; Fastweb con Ericsson a Roma oppure ancora Linkem a Catania e i cinesi di Zte che hanno stabilito a L’Aquila il loro centro di ricerca sul 5G.