Cura Italia, le perplessità di A.P.I.: 25 miliardi non sono sufficienti

Secondo l’Associazione piccole e medie industrie della Lombardia, per contrastare la crisi da Coronavirus serve uno sforzo maggiore del Governo, al pari degli altri Stati europei. E l’Ue deve fare la sua parte

Con il Decreto Cura Italia il Governo ha già messo in campo una serie di provvedimenti volti alla ripartenza economica del Paese, o quantomeno a contenere i danni di una crisi che potrebbe rivelarsi letale per molte aziende. Sanità, lavoro, liquidità, fisco: nulla è stato trascurato.

Ma, secondo A.P.I. – Associazione piccole e medie industrie della Lombardia, non mancano aspetti da rafforzare e da perfezionare, soprattutto per quanto riguarda la tutela delle pmi.







«Il nuovo Decreto Legge “Cura Italia” è stato appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale e Api, in qualità di portavoce degli interessi delle PMI associate, è già nuovamente schierata in prima linea. Stiamo battendo i pugni sui tavoli istituzionali locali, regionali e nazionali, anche per il tramite di Confartigianato Imprese, perché le misure e le risorse messe in campo a sostegno delle famiglie, dei lavoratori e delle aziende, non sono già più sufficienti – commenta Paolo Galassi, Presidente di A.P.I. – Abbiamo apprezzato, da un lato, l’operato del Governo, che ha recepito all’interno del provvedimento alcune delle istanze per le quali abbiamo lottato fermamente quali, ad esempio: l’estensione dell’applicazione delle misure del DL a tutti i settori su scala nazionale, la sospensione e la proroga dei versamenti tributari e previdenziali, la moratoria dei mutui in essere fino al 30 settembre e la copertura delle sospensioni dal lavoro con forme in deroga di cassa integrazione per tutti i dipendenti e, una norma a carattere generale per la sospensione di tutti gli adempimenti amministrativi. Dall’altro, siamo tutti consapevoli del fatto che i 25 miliardi stanziati non basteranno per contrastare il devastante impatto economico che, l’emergenza Coronavirus, avrà sulle piccole e medie imprese impegnate, ora più che mai, con tutte le loro forze, a cercare di contenere i danni e nella tenuta dell’azienda».

Fronte credito e moratoria ci sono già i primi aiuti dal sistema bancario. E ogni imprenditore, medio o piccolo, sta negoziando con i propri fornitori per posticipare i pagamenti e con le banche per avere linee di credito aperte, chiedendo anche sacrifici ai propri collaboratori. Nella speranza che le grandi imprese e le multinazionali non ritardino i pagamenti o non ci siano delle “strozzature” nelle richieste di forniture, altrimenti si aggiungerebbero ulteriori problemi. Api auspica anche che vengano chiariti alcuni punti fondamentali sulla moratoria, ad esempio sulla tempestività della concessione. La richiesta delle imprese può essere considerata dalla banca potenzialmente peggiorativa per il rating e, quindi, va gestito il rapporto tra le diverse banche e linee di credito; non tutti però hanno una cultura finanziaria così ampia da renderlo agevole. Infine, la moratoria non sarà applicata a posizioni già “compromesse” o con rating particolarmente negativi, per cui parliamo di imprese potenzialmente già fallite.

Paolo Galassi, Presidente di Api

«Oltre 140 imprese associate hanno già fatto richiesta di ammortizzatori sociali per quasi 2.800 dipendenti e siamo solo al 20 di Marzo – prosegue Galassi – Tantissime sono, infatti, quelle che stanno riducendo gli orari di lavoro o hanno sospeso completamente l’attività per mancanza di ordini o di materie prime, per carenza di personale, o perché non si trovano nel mercato i DPI adatti a garantire la tutela dei dipendenti. La loro salute è prioritaria per gli imprenditori, sono parte della famiglia. Queste cifre sono destinate a crescere ogni giorno. Tra le novità più importanti del decreto “Cura Italia” c’è la cassa integrazione speciale. Infatti, nella presentazione dell’istanza le aziende avranno la facoltà di indicare la causale specifica “Covid-19” e accedere più semplicemente agli ammortizzatori. Potrà essere usato per nove settimane e può avere efficacia retroattiva dal 23 febbraio 2020. È un provvedimento che ha una duplice finalità: aiutare chi ha deciso di sospendere o ridurre l’attività e anche di programmare uno stop temporaneo utile ad aggiornare i protocolli di sicurezza anti-contagio, per poi ripartire. Auspichiamo che vengano chiariti gli aspetti attuativi e operativi su cui ancora non c’è chiarezza e che vengano introdotte ulteriori misure, anche economiche, volte ad un maggior sostegno del lavoro nelle imprese, non essendo sufficienti quelle introdotte con il nuovo decreto».

Secondo l’Associazione è necessario, dunque, fare uno sforzo maggiore al pari degli altri Stati europei: sono in gioco posti di lavoro e il futuro del nostro Paese. “Whatever it takes”, direbbe un grande economista. I fondi devono essere incrementati e allocati seguendo una precisa strategia a medio/lungo termine: occorre varare un nuovo piano Marshall, che immetta grande liquidità nel Paese per far ripartire gli ingranaggi, che definisca una politica industriale e dia avvio alle grandi opere, che delinei interventi mirati per la ricostruzione e il rilancio dell’economia, a partire da rateizzazioni fiscali e meccanismi di compensazione, e faccia leva su tutte quelle misure necessarie per far fronte ai rilevanti cali della domanda e, quindi, di fatturato delle imprese. Ma vanno anche previsti, ad esempio, ulteriori indennizzi alle imprese per i danni subiti

«Ci aspettiamo, inoltre, che alcuni punti del nuovo Decreto Cura Italia vengano chiariti e semplificati – sottolinea Galassi – Ad esempio, dal punto di vista di tutti i versamenti fiscali e previdenziali, è stata operata una selezione molto complessa che ha già creato una grande confusione tra gli operatori. È stata prevista la sospensione per due mesi degli accertamenti ma poi, paradossalmente, è stata prevista altresì la proroga di due anni dell’accertabilità per gli anni trascorsi. Inoltre, non sarebbe meglio annullare i versamenti? Se le imprese non hanno incassato, come pensiamo possano pagare? Ci aspettiamo dal Governo norme semplici e lineari, che siano di facile comprensione e interpretazione e, soprattutto, immediatamente fruibili, senza doversi perdere in pratiche burocratiche interminabili. Ad esempio, le normative legate alla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Ci sono alcuni punti da chiarire per facilitare la messa in pratica. E’ necessario, inoltre, aumentare i fondi a disposizione, per fare un esempio un’impresa di circa 15 dipendenti ha una spesa minima mensile di 12/15 mila euro per soddisfare tutte le disposizioni in merito».

In questo macro – scenario, restano elevate le attese su tutte le prossime mosse della Bce per fronteggiare il crollo delle Borse e l’impennata dello Spread. L’Unione Europea, secondo A.P.I., si deve far carico del proprio ruolo muovendosi compatta verso l’assunzione di decisioni comuni e condivise a tutela dei cittadini e delle imprese. Finora gli aiuti più consistenti sono arrivati dalla Cina e dagli USA. Gli altri Stati avevano sottovalutato quanto stava accadendo in Italia, e ora? Dobbiamo correre ancora di più ai ripari.

«Voglio segnalare però che gli imprenditori per indole vanno comunque avanti e fanno la loro parte. Alcune aziende stanno riconvertendo la produzione per realizzare DPI, così da favorire gli approvvigionamenti, ma ci vogliono tempo e investimenti – conclude Galassi – Api, dunque, non si ferma: continueremo a far sentire la nostra voce nei luoghi in cui sarà opportuno essere presenti, per trovare insieme la soluzione per uscire da questa crisi, per incidere sulle scelte e non subirle»














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