Così l’impianto Philip Morris di Crespellano corre come una Formula Uno

direttore vendite Lenze

di Marco de’ Francesco ♦︎ La multinazionale svizzera protagonista della quinta tappa dell’EY Manufacturing Lab. Su una linea dello stabilimento si è riusciti a ridurre i fermi a rapidissimi “pit stop”. In questo modo la produzione di stick di tabacco “senza fumo” diventa una best practice da replicare nelle altre fabbriche

È possibile conseguire l’obiettivo “zero stop” per gli impianti di produzione? A Crespellano (Bologna), dove la multinazionale Philip Morris ha investito un miliardo di euro per realizzare uno stabilimento gigantesco, il traguardo è già stato raggiunto in una linea; e la società è ottimista circa l’estensione di questo successo alle altre. Il segreto? Brevissimi pit stop quotidiani delle macchine, realizzati sulla scorta dell’analisi dei dati raccolti in prossimità delle strumentazioni, e gestiti da una apposita struttura che unisce competenze di linea, di processo e di manutenzione. Lo stabilimento non produce sigarette convenzionali, ma stick di tabacco trattato e miscelato da inserire in appositi device che lo riscaldano senza combustione, determinando una riduzione nell’emissione delle sostanze chimiche tossiche; la strategia del colosso svizzero da quasi 80 miliardi di fatturato è pertanto quella di convertire chi fuma già ai nuovi prodotti.







Peraltro, la scelta di Crespellano come sito esemplare e replicabile deriva dal particolare ecosistema “capeggiato” dalla multinazionale: nel territorio sono presenti grandi costruttori di macchine e protagonisti dell’automazione, come Ima, Coesia e Datalogic; nonché importanti centri universitari. Tutto ciò è emerso alla quinta tappa dell’EY Manufacturing Lab, un progetto di confronto diretto con e fra le aziende del territorio per consentire loro di tirare le somme sul proprio grado di maturità digitale. La tappa si è tenuta qualche giorno fa nello stabilimento di Crespellano. E di tutto ciò abbiamo parlato con Massimo Caffarelli e Francesco Andrea Niglio, rispettivamente Director Manufacturing e Deployment Lead di Philip Morris Manufacturing & Technology Bologna; e con Marco Mignani, Med Diversified Industrial Products Leader di EY, nonché promotore e coordinatore del progetto EY Manufacturing Lab.

Centro Philip Morris di Crespellano

Obiettivo zero stop

Secondo Francesco Andrea Niglio «il risultato è stato raggiunto su una prima linea modello che diventerà lo standard di riferimento per tutte le altre linee coinvolte nella produzione». Si tratta, dunque, di conseguire lo stesso successo nell’insieme dei processi produttivi dell’impianto di Crespellano. Ma è tutt’altro che facile. Zero stop: quale strategia è stata adottata? Quella di realizzare brevi e studiati pit stop pianificati a metà turno, in modo da poter organizzare le attività da eseguire e visionare gli effetti degli interventi condotti. Questo tipo di manutenzione autonoma ci permette di settare e pulire le macchine in modo da evitare stop non pianificati in produzione. Ma come si fa a capire quando procedere a queste soste programmate? In realtà Philip Morris ha definito una procedura complessa. Che riguarda la valutazione dei dati e l’organizzazione del lavoro.

Quanto alle informazioni, per Niglio «queste vengono raccolte da bridge Pc collegati all’interfaccia delle macchine e inoltrate ad un server in cloud, dove sono aggregate ed esaminate da software particolari. I risultati ci consentono di comprendere a quale grado di efficienza la macchina abbia operato e quali siano gli eventuali problemi da risolvere». Dopodiché, le azioni vengono definite in un contesto specifico. «Si svolgono meeting che riuniscono la struttura organizzativa, detti Dds (daily directionsetting) e Pre-Dds. In queste occasioni vengono analizzate le performance del giorno prima e definite le azioni da tenere in giornata». La struttura che sovraintende al buon andamento delle linee è così composta: «Anzitutto, il Line Lead, che è responsabile della sicurezza e della qualità del prodotto finale, e definisce i tempi di pit stop; poi il Process Lead, che si occupa dei dati e stabilisce gli standard di settaggio delle macchine; e infine il Maintenance Lead, che è un tecnico e guida gli operatori verso la manutenzione preventiva». Molto importante, secondo Niglio, è definire degli standard di comportamento: «Tutti devono lavorare allo stesso modo, con gli stessi tool, e i responsabili devono infondere negli operatori quella cultura specifica che permetterà all’azienda di conseguire il risultato degli zero stop».

Produzione nello stabilimento Philip Morris di Crespellano

La fabbrica delle “sigarette” che non fumano             

 Ma cosa si produce, esattamente, a Crespellano? Gli stick di tabacco “senza fumo”, anche denominati Rrp o “reduced-risk products”, quei prodotti che presentano, possono presentare, o hanno il potenziale di presentare un minore rischio di danno per i fumatori che passano a questi prodotti, rispetto alla persistenza dell’abitudine al fumo. L’idea è quella di scaldare il tabacco appositamente preparato e miscelato fino a una temperatura inferiore ai 350°C, senza produrre combustione, fuoco, cenere o fumo. Secondo l’azienda «questo genera un vapore contenente nicotina, che permette di assaporare il gusto del tabacco. Dato che non avviene alcun processo di combustione, i livelli di sostanze chimiche dannose sono significativamente minori rispetto al fumo di sigaretta». Ora, il sistema di riscaldamento funziona con tre componenti principali: uno stick di tabacco, un dispositivo “Iqos” per scaldarlo e un caricatore.

A Crespellano ci si occupa del primo componente. L’anno scorso la fabbrica ha prodotto 30 miliardi di stick; ma il potenziale è più alto. Per Caffarelli «Crespellano riveste una funzione “esemplare” per i 46 stabilimenti produttivi che Pmi ha in 32 Paesi. È proprio qui che si definiscono i processi industriali che portano ai prodotti innovativi; il know how viene successivamente trasferito agli altri impianti. In un certo senso, Crespellano è il modello replicabile». Qui l’azienda ha investito un miliardo di euro in uno stabilimento gigantesco, uno dei più grandi costruiti in Italia dal dopoguerra: in un’area di 300mila metri quadrati, l’edificio ne copre più di 110mila, ed è in corso di realizzazione un importante magazzino. Tra qui e Zola Predosa, dove ha luogo la sede storica dell’azienda nel bolognese, lavorano 1.600 persone, con un’età media di 33 anni. Tornando al prodotto, per Philip Morris gli stick si chiamano “heets”.  Per ottenere gli heets si svolgono due fasi di processo che a Crespellano chiamano “primary” e “secondary”. E poi c’è il packaging; i pacchetti vanno in automatico in magazzino, seguendo certe vie aeree poste sopra le macchine. Il lavoro quotidiano è diviso in tre turni di otto ore; da lunedì a venerdì. Ci sono macchine molto diverse tra di loro, e robot semoventi che trasportano bobine di foglie ritagliate sino alle celle produttive.  Si avverte un certo profumo di mentolo: i giapponesi, grandi clienti finali di questi prodotti, vanno matti per questa particolare aromatizzazione.

Produzione nello stabilimento Philip Morris di Crespellano

La strategia della sostituzione

Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, dai nostri giorni al 2025, il numero di fumatori non calerà. Resterà stabile, a quota un miliardo. In proporzione alla popolazione globale, si assisterà ad una diminuzione, che però sarà compensata dall’incremento della prima. Per Caffarelli «va subito chiarito che Philip Morris non punta ad incrementare il numero dei consumatori di prodotti del tabacco, ma a convertire chi già fuma ai nuovi prodotti senza combustione». Per Caffarelli, cioè, non si tratta di fare nuovi proseliti. Vero che Philip Morris International (Pmi) è l’azienda leader nel settore del tabacco a livello mondiale: sono brand della multinazionale di New York sei delle 15 marche di sigarette più diffuse del mondo, tra cui Marlboro, che svetta in cima alla classifica. Sul prodotto tradizionale l’azienda ha costruito un impero da 79,8 miliardi di dollari di fatturato e 77mila dipendenti.

Produzione nello stabilimento Philip Morris di Crespellano

Vende in 180 Paesi del mondo, e cioè in quasi tutti. Ma è anche vero, ricorda l’azienda, «che allo sviluppo degli Rrp, Pmi ha dedicato un investimento complessivo di oltre 6 miliardi di dollari, e il lavoro di oltre 15 anni, coinvolgendo oltre 400 scienziati e ingegneri, esperti in discipline chiave quali chimica, biologia, fisica, matematica, elettronica, scienza dell’alimentazione e tossicologia». In questi anni la mission di Philip Morris è mutata radicalmente. Per Caffarelli «l’obiettivo dell’azienda, in Italia come nel resto del mondo, è diventato quello di costruire un futuro senza fumo grazie a questi nuovi prodotti». Il meccanismo della sostituzione è già in corso. «Ad oggi abbiamo “convertito” 10 milioni di fumatori, oltre il 70% in maniera esclusiva; stiamo parlando di oltre 7 milioni di persone». In vista dell’obiettivo, l’azienda ha imboccato con decisione la strada della trasformazione digitale. Crespellano è uno stabilimento lean e totalmente automatizzato. Robotica, image processing nel controllo di qualità, monitoraggio centralizzato e machine learning sono parte del 4.0 di Philip Morris. «Gestiamo 14 miliardi di dati all’anno. Il prossimo passo è la manutenzione predittiva».

Linea di produzione nello stabilimento Philip Morris di Crespellano

L’ecosistema

La storia italiana di Philip Morris risale al 1963, allo stabilimento di Zola Predosa (sempre nel Bolognese), che inizialmente riforniva il monopolio di Stato che produceva con licenza Pmi; dagli anni Novanta, l’impianto si era focalizzato sulla produzione di filtri complessi, sempre più ad alto contenuto tecnologico.  Ora ospita un training center: un primo impianto per i prodotti senza fumo, in scala ridotta (circa 6.500 metri quadrati). Ma perché la multinazionale ha realizzato una fabbrica così importante a Crespellano? Secondo Marco Mignani, Med Diversified Industrial Products Leader di EY «non si deve trascurare la vicinanza con importanti fornitori di macchinari e di automazione e con tante aziende minori che co-sviluppano soluzioni per Philip Morris. Nell’area bolognese ci sono realtà molto avanzate dal punto di vista tecnologico, infatti, alla quinta tappa dell’EY Manufacturing Lab hanno partecipato aziende con un alto livello di digitalizzazione».

Ma il territorio offre anche altro. Philip Morris ha lavorato molto con il consorzio Alma Laurea, creando una partnership attraverso la quale ha rafforzato la sua collaborazione con le principali università italiane, e in particolare con l’Università di Bologna. In particolare, la società collabora con la Bologna Business School. L’azienda ricorda di aver «attivato una partnership anche con i principali istituti tecnici del territorio, come l’Aldini Valeriani e il Belluzzi Fioravanti, con i quali la società ha avviato il progetto “Bridge the Gap”, nato per fornire agli studenti degli ultimi anni una formazione adeguata ad affrontare il mondo del lavoro di oggi, riducendo il gap tra studi teorici e bisogni concreti delle strutture produttive più all’avanguardia)». Dunque, secondo Mignani, «qui la Philip Morris non ha trovato solo supplier tecnologici; ma anche una forza lavoro qualificata a livello di linea, di supervisione e di dirigenza».

Linea di produzione nello stabilimento Philip Morris di Crespellano













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