Anche il Coronavirus ha un suo business. Può sembrare assurdo, ma è proprio così. Peccato che l’industria italiana sia il fanalino di coda. Di che si tratta? Semplice, delle apparecchiature medicali per la lotta all’epidemia, prodotte dalle grandi aziende mondiali. Un quadro della situazione l’ha fatto Confindustria, partendo dai numeri dell’Organizzazione Mondiale delle Dogane, la quale ha stilato un elenco dei prodotti e dispositivi necessari al contrasto alla pandemia da Covid-19.
Ebbene, l’export globale di tali prodotti ha raggiunto negli ultimi due anni la cifra record di 512 miliardi di euro (circa il 2,6% del totale). L’Italia ha esportato tali beni per un valore di 25,1 miliardi di euro nel 2019, in crescita di quasi il 33% sul 2018, e ne ha importati per 22,1 miliardi (+3,9%). Peccato che, come si evince dal grafico qui sotto, il nostro Paese copra una quota globale del 3,7% per quanto riguarda dell’export di queste apprecchiature.
Secondo Confindustria, al diffondersi della pandemia ha fatto seguito un incremento costante delle misure restrittive al commercio dei prodotti necessari a fronteggiare l’emergenza, tra cui veri e propri bandi all’export e subordinazione di vendita di specifiche categorie di prodotti all’autorizzazione dei governi nazionali. L’International Trade Center ha monitorato l’applicazione di restrizioni all’export in oltre 80 Paesi nel mondo ad aprile 2020.
La rapidità con cui il Covid-19 si è propagato ha reso evidente la necessità di una risposta comune, incisiva e straordinaria che purtroppo in questa occasione non si è riusciti a realizzare a pieno. Dunque? L’export di tali apparecchi, non può conoscere confini: “far tesoro delle difficoltà incontrate per evitare il ripetersi di frizioni commerciali in episodi simili che potrebbero verificarsi in futuro” chiarisce Confindustria, “è sicuramente una delle lezioni fondamentali impartite da questa pandemia alla comunità internazionale”.