Il cloud industriale secondo Made, Ibm e Italtel

di Renzo Zonin ♦︎ La “nuvola” è, fra le tecnologie abilitanti Industria 4.0, la più diffusa. Eppure ancora solo una Pmi su tre la utilizza. Spesso il problema è dato dalla mancanza di skill e know-how. Se n’è discusso durante un webinar organizzato del competence center guidato da Marco Taisch

Secondo il report 2019 dell’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano, il mercato cloud in Italia valeva nel 2019 circa 2,77 miliardi di euro, ed è in continua crescita. La strada verso il cloud, per le aziende italiane, sembra però essere ancora lunga e in salita. Non parliamo delle grandi aziende, dove il nuovo paradigma, anche in forma ibrida, è stato adottato da tempo da oltre la metà delle aziende, e sta producendo risultati positivi. Parliamo piuttosto delle Pmi, vera colonna vertebrale del tessuto produttivo italiano, dove la diffusione delle soluzioni cloud (ma anche, in generale, delle tecnologie 4.0) è ancora relativamente bassa, nonostante il cloud sia particolarmente vantaggioso proprio per le piccole realtà. Si calcola che solo un terzo delle Pmi abbia avviato progetti cloud, e chi non lo fa adduce principalmente giustificazioni relative alla mancanza di know-how specifico sul paradigma cloud, e sulla difficoltà a reperire personale dotato degli skill necessari per gestire un’infrastruttura di questo tipo.

Quando si parla di problemi di know-how, skill e necessità di formazione il pensiero va subito alle università e soprattutto a strutture come il Made, Competence Center anch’esso collegato al PoliMi, che come altre strutture similari si sta assumendo il compito di orientare le aziende e di fornire loro le competenze necessarie per l’implementazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie. Casca a proposito quindi un webinar che Made ha realizzato di recente, e reperibile sulla pagina YouTube del Competence Center, intitolato proprio “Cloud Computing per l’Industria 4.0”. Il webinar, che vede la partecipazione di Roberto Villa, Manager of Research Echosystem in Ibm, e Gerardo Del Vecchio, Head of Partnership Echosystem & Open Innovation di Italtel, è stato moderato da Antonino Nocera, Assistant Professor of Computer Engineering dell’Università di Pavia. Sia Ibm sia Italtel fanno parte del gruppo di 39 aziende che partecipano alle attività del Made.







 

Le basi

Roberto Villa, Manager of Research Echosystem in Ibm

Se è vero che tutti abbiamo in testa una definizione approssimativa di “cloud computing”, è anche vero che la definizione di ciascuno di noi è un po’ diversa da quella di tutti gli altri. Così Villa, all’inizio del suo intervento, ha giustamente messo i puntini sulle i, dando la definizione ufficiale di cloud computing, come è riportata dal NistUS National Institute of Standards and Technology. «Il cloud computing è un modello che consente un conveniente accesso on-demand, attraverso la rete, a un pool condiviso di risorse di elaborazione configurabili, che possono essere rapidamente approvvigionate con il minimo sforzo di gestione o interazione con i fornitori di servizi – spiega Villa – Fra le risorse condivise troviamo per esempio reti, server, archiviazione, applicazioni e servizi».

Secondo Villa, gli aspetti che contraddistinguono gli ambienti di cloud computing possono essere definiti da tre diversi punti di vista: quello delle caratteristiche essenziali, quello dei modelli di deployment e infine quello dei modelli di servizio offerti nel cloud. Per quanto riguarda le caratteristiche essenziali, la prima è che questo modello permette l’utilizzo delle risorse nel momento in cui servono. La richiesta di risorse da parte dell’utente avviene tramite una semplice interfaccia, senza interazione con il personale dell’azienda che fornisce i servizi in cloud. Le risorse sono accessibili attraverso la rete, quindi sono raggiungibili ovunque ci sia la possibilità di accedere a Internet, e possono essere raggruppate in modo da consentire una condivisione efficiente – ed ecco perché il cloud consente di ottenere economie di scala. Il cloud inoltre offre elasticità nel richiedere o rilasciare risorse su richiesta del cliente, quindi è possibile per esempio richiedere potenza di calcolo in caso di picco della domanda (pensiamo solo al caso del Black Friday per gli e-commerce), e poi rilasciare queste risorse quando non servono più. Infine, attraverso il cloud computing è possibile misurare in modo puntuale l’utilizzo delle risorse, permettendo l’addebito sulla base dell’uso reale che ne fa il cliente.

Per quanto riguarda i modelli di deployment, Villa spiega che essi sono fondamentalmente tre: «Parliamo di “cloud pubblico” quando i servizi cloud sono disponibili su reti Internet aperte, vengono erogati su hardware di proprietà dell’azienda che offre il servizio (chiamata cloud provider) e l’utilizzo di questo hardware è condiviso da altre società, ovvero l’hardware sottostante il servizio non è dedicato alla singola azienda cliente. Si parla invece di cloud privato quando l’infrastruttura hardware è predisposta per l’uso esclusivo da parte di un singolo cliente. In questo caso, l’hardware può essere collocato presso il cliente, e allora si parla di cloud privato on premises, oppure può essere anche di proprietà di un fornitore di servizi cloud, e collocato presso quest’ultimo, ma in ogni caso il suo utilizzo è dedicato a un singolo cliente. Infine, si parla di cloud ibrido quando un cliente utilizza contemporaneamente entrambi i modelli di deployment, pubblico e privato, e ottiene un’infrastruttura che opera in modo trasparente e senza vincoli di operatività».

Inutile dire che il “cloud ibrido” è il modello di deployment che sta conoscendo la maggiore diffusione, perché riesce a riunire i vantaggi del cloud privato riguardo per esempio alla privacy e al controllo dei dati, con i vantaggi del cloud pubblico per esempio relativamente all’elasticità del provisioning. Anche all’interno del paradigma ibrido ci sono varie possibilità di scelta, per cui chi per esempio ha problemi nel reperire personale informatico qualificato preferirà dare in colocation al provider la componente di cloud privato, evitando di avere hardware on premise, soluzione che invece verrà preferita da chi ha requisiti estremamente stringenti sulla protezione e collocazione dei dati, sia quando vengono memorizzati sia quando vengono elaborati.

Gerardo Del Vecchio, Head of Partnership Echosystem & Open Innovation di Italtel

«Il cloud ibrido è il modello che maggiormente sta prendendo piede – conferma Gerardo Del Vecchio – e siccome posso decidere di avere più fornitori di public cloud, così come posso avere due Sim per il telefono da due telco diverse, se decido di utilizzare due o più fornitori public cloud per la mia infrastruttura allora parleremo di Hybrid Multi Cloud. Quindi capite che all’interno dell’ibrido avrò una sorta di insalata mista, nella quale posso avere dell’infrastruttura in casa mia, e altra infrastruttura pagata as a Service sulla nuvola, che andrà quindi a costituire l’ibrido che mi permette di costruire applicazioni con la maggiore flessibilità. E anche per questo è probabilmente il miglior modello per partire nel viaggio verso il cloud».

Infine, il discorso relativo ai Service Model è probabilmente quello più attuale, anche se ancora meno conosciuto degli altri. «Ci sono tre modelli di servizio nel cloud, che corrispondono a tre architetture. Parliamo di IaaS, Infrastructure as a Service, quando il cliente utilizza l’infrastruttura come un servizio. Ovvero quando può accedere all’hardware, risorse di calcolo, di rete, di archiviazione eccetera, senza bisogno di gestirli in prima persona. Parliamo invece di PaaS, Platform as a Service, quando il cliente accede alla piattaforma, ovvero all’hardware e al software che possono essere usati per lo sviluppo di applicazioni, la distribuzione delle applicazioni sviluppate, i database eccetera. Infine, parliamo di SaaS, Software as a Service, quando il software e l’applicazione sono ospitati centralmente e concessi in licenza d’uso sulla base di un abbonamento. Quindi il cliente non è proprietario di una licenza, ma paga un abbonamento per poter utilizzare le funzionalità del software».

 

L’adozione del cloud nel comparto del manufacturing

I dati più recenti rilasciati dall’Osservatorio Industry 4.0 del Politecnico di Milano relativamente all’adozione del cloud computing nel settore del manufacturing, resi pubblici a metà giugno, indicano chiaramente che l’utilizzo del cloud è all’incirca in linea con altre tecnologie abilitanti quali gli Industrial Analytics, l’Advanced Hmi e l’Advanced Automation, mentre è ancora indietro rispetto a tecnologie come l’Industrial IoT. In compenso, il cloud sembra segnare il trend di crescita più deciso nell’adozione, come potete vedere dal grafico che riportiamo, che mostra incrementi a due cifre nei tre segmenti in cui è stato diviso il manufacturing. In particolare, il maggiore incremento si sta concentrando sul segmento della “smart supply chain”. «Negli ultimi dodici mesi, le applicazioni di cloud manufacturing sono focalizzate essenzialmente sull’accessibilità, sulla visibilità e collaborazione nei processi di supply chain, in modo da portare maggiore efficienza coinvolgendo diversi attori della filiera, consentendo anche l’accesso da remoto agli impianti e ai sistemi aziendali. Queste soluzioni sono quelle che negli ultimi 12 mesi hanno registrato un altissimo tasso di interesse e che hanno aumentato la resilienza delle imprese nelle settimane di lockdown» conclude Villa.

Ma quali sono le motivazioni principali che spingono un’azienda all’adozione di tecnologie cloud? E quali sono in particolare le ragioni per le quali le aziende manifatturiere dovrebbero tenere in considerazione queste tecnologie? «Il percorso di trasformazione digitale è unico per ciascuna azienda, e anche l’adozione del cloud è specifica alla realtà della singola impresa – chiarisce Villa – ma in ogni caso, agilità, flessibilità e competitività sono i fattori chiave per valutare l’opportunità di adottare il cloud. Senza contare che il passaggio a questa architettura viene realizzato senza creare interruzioni di attività e senza produrre problemi relativi a sicurezza, conformità e prestazioni».

Il cloud computing è un modello che consente un conveniente accesso on-demand, attraverso la rete, a un pool condiviso di risorse di elaborazione configurabili, che possono essere rapidamente approvvigionate con il minimo sforzo di gestione o interazione con i fornitori di servizi. Fonte Made

Ci sono poi alcune considerazioni che possono essere utili per definire una strategia cloud. La prima è sugli aspetti di infrastruttura e carichi di lavoro: la costruzione di un data center può essere onerosa e in alcuni casi non è il miglior investimento, mentre i bassi costi iniziali e il modello “pay as you go” del cloud possono permettere un notevole risparmio. La seconda considerazione riguarda il modello SaaS e le piattaforme di sviluppo. In questo caso, bisogna valutare se il pagamento per l’accesso all’applicazione sia un’opzione più vantaggiosa rispetto all’acquisto del software standard, che successivamente richiederà anche di investire negli aggiornamenti. Nel caso del cloud, pago la possibilità di accedere a delle funzionalità software senza dover gestire le licenze, il versioning eccetera. Poi bisogna considerare la velocità e la produttività che il cloud permette. Pensiamo al vantaggio ottenibile rendendo operativa una nuova applicazione cloud in fabbrica in poche ore, rispetto a dover aspettare settimane se non mesi utilizzando piattaforme tradizionali. Infine, bisogna considerare l’impatto che avrebbe il prendere una decisione sbagliata e l’esposizione al rischio. «Per esempio, è più rischioso dover investire subito nell’acquisto di hardware e software, piuttosto che noleggiarli a ore e avere il tempo di valutare se quelle sono proprio le piattaforme che fanno al mio caso specifico» spiega Villa.

Al di là delle varie considerazioni, i vantaggi che il cloud può portare alle aziende sono molteplici e si possono riassumere in tre gruppi: maggiore flessibilità (l’infrastruttura viene dimensionata su richiesta per supportare carichi di lavoro fluttuanti), elevata efficienza (non ci si deve preoccupare dei dettagli hardware nel rilascio delle applicazioni, e i dati sono protetti da guasti hardware) e alto valore strategico. Nella slide seguente sono elencati alcuni esempi per ciascun gruppo.

«Per quanto riguarda invece il valore strategico, esso dipende dal fatto che i servizi cloud offrono alle aziende un vantaggio competitivo fornendo le tecnologie più innovative e sempre aggiornate, liberando le aziende stesse dalla gestione dell’infrastruttura sottostante e consentendo loro di concentrarsi sulle loro priorità di business» spiega Villa. Il cloud computing manufacturing permette poi il controllo e la gestione degli impianti da remoto, migliorando l’efficienza della fabbrica e aumentandone la resilienza.

Se infine andiamo a considerare i vantaggi più in ottica “business”, possiamo aggiungere altri punti a favore. Per esempio, il cloud risulta abilitante anche per altre tecnologie strategiche per l’azienda, come l’Internet of things, l’intelligenza artificiale e la blockchain.

«Per esempio, il cloud può ricevere i dati dai sensori IoT, analizzarli mediante algoritmi di intelligenza artificiale, e mandare informazioni di feedback verso i dispositivi IoT stessi per indicare come deve operare una macchina – aggiunge Villa – e concluderei evidenziando che il cloud computing in fabbrica è la tecnologia che “avvolge” tutte le altre, e quindi la strategia Industry 4.0 di ogni azienda deve affrontare l’aspetto del cloud computing manufacturing come fondamentale».

I vantaggi che il cloud può portare alle aziende sono molteplici e si possono riassumere in tre gruppi: maggiore flessibilità (l’infrastruttura viene dimensionata su richiesta per supportare carichi di lavoro fluttuanti), elevata efficienza (non ci si deve preoccupare dei dettagli hardware nel rilascio delle applicazioni, e i dati sono protetti da guasti hardware) e alto valore strategico. Fonte Made

Quali servizi si mettono sul cloud?

La cosa più complicata, quando si ragiona sull’adozione di un modello di cloud, è probabilmente definire quali servizi mettere nella nuvola, e in quali modalità, costruendo una sorta di percorso di avvicinamento che partendo da una situazione “tradizionale” permette di arrivare a una configurazione completamente in cloud. Il percorso è illustrato nella slide seguente.

Secondo Del Vecchio, «oggi in azienda, all’interno di una fabbrica, cosa abbiamo? Probabilmente qualche server, dove stanno girando un Mes, uno Scada, il mio gestionale, il tutto all’interno del mio data center privato. Probabilmente ho un responsabile It che gestisce tutte queste macchine, che ho dovuto comprare, installare, configurare, e che devo monitorare, aggiornare periodicamente e manutenere. Ebbene, potrei decidere un po’ alla volta di toglierle, spostarle – quindi faccio colocation – e darle in gestione a un fornitore di servizi che ha un data center con alimentazione, aria condizionata eccetera. Quindi porto lì i miei server e a quel punto non ho più il data center in casa, mi tolgo quindi un costo di gestione, perché elimino cose come condizionatori eccetera. Proseguendo il viaggio, pensiamo di dover fare un rinnovamento tecnologico, perché le mie macchine non vanno più bene, non riescono a scalare e quindi non mi servono più: il passo successivo quindi è di smettere di investire in macchine fisiche, e di prendere l’hardware da un host che mi metterà a disposizione fino ai server fisici dove installare le mie applicazioni. A questo punto non possiedo più “ferro”, ma pago il servizio a un ente terzo».

La cosa più complicata, quando si ragiona sull’adozione di un modello di cloud, è probabilmente definire quali servizi mettere nella nuvola, e in quali modalità, costruendo una sorta di percorso di avvicinamento che partendo da una situazione “tradizionale” permette di arrivare a una configurazione completamente in cloud. Fonte Made

Una volta svincolati dall’hardware, il viaggio può continuare in modo “virtuale”, ovvero cambiando solo i modelli di fruizione della parte software: possiamo adottare l’IaaS, facendoci fornire da terzi un sistema di virtualizzazione, o il PaaS, noleggiando anche i database e il sistema operativo. Il passo finale è il SaaS, nel quale anche le applicazioni sono noleggiate in pay per use e rimangono di proprietà del cliente solo i dati. Che, guarda caso, sono l’unica componente di tutto il sistema informativo che è legato realmente al core business del cliente.

 

Il webinar organizzato dal Made “Cloud Computing per l’Industria 4.0”

La gestione della sicurezza del cloud è un problema?

Uno dei maggiori deterrenti all’adozione del cloud è sempre stata la paura delle aziende di far uscire i propri dati dal Ced, per farli trattare all’esterno. Il fatto è che utilizzando architetture tradizionali, l’azienda ha i suoi dati sempre sotto controllo, ed è l’unica responsabile della loro sicurezza. Invece, adottando architetture cloud pubbliche, i dati vengono a trovarsi sotto la responsabilità di soggetti terzi, e di qui la sensazione di “mancanza di controllo” che frena molti responsabili It rispetto alle soluzioni cloud. Soprattutto oggi che, a causa di normative come Gdpr, delle leggi sulla privacy, e di altri regolamenti, l’azienda è chiamata a rispondere di ogni problema dovesse succedere ai dati: dagli “sconfinamenti” su server esteri non autorizzati, ai data breach da parte di hacker e via discorrendo. Tuttavia, la problematica della gestione della sicurezza dell’infrastruttura è stata ben considerata nella creazione dei servizi cloud. Per quanto riguarda la gestione dell’identità e degli accessi, le funzionalità fornite dal cloud sono progettate per rafforzare la gestione della conformità e ridurre i rischi. Se invece consideriamo la protezione dell’infrastruttura, delle applicazioni e dei dati, il cloud è progettato per proteggere i dati durante tutto il loro ciclo di vita, grazie anche a funzionalità di crittografia che cifrano i dati memorizzati, in transito e in uso. Oltre ovviamente a separare le istanze appartenenti ai vari clienti presenti sull’hardware, in modo da evitare “sconfinamenti” (tramite le SecDevOps). Infine, la visibilità su tutti gli ambienti è fornita da apposite funzionalità integrate. Esse consentono di abilitare e monitorare in modo proattivo le informazioni di sicurezza su tutte le componenti del cloud ibrido.

Secondo il report 2019 dell’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano, il mercato cloud in Italia valeva nel 2019 circa 2,77 miliardi di euro, ed è in continua crescita. La strada verso il cloud, per le aziende italiane, sembra però essere ancora lunga e in salita. Non parliamo delle grandi imprese, dove il nuovo paradigma, anche in forma ibrida, è stato adottato da tempo da oltre la metà delle aziende, e sta producendo risultati positivi. Ma parliamo delle Pmi. Fonte Made

I benefici del cloud manufacturing

Per cloud manufacturing si intende, in parole povere, migrare sul cloud le applicazioni che normalmente girano sui server che sono posizionati in fabbrica, nello stabilimento produttivo. Perché fare una mossa di questo tipo? «Per prima cosa, non devo più allestire un data center privato – spiega Del Vecchio – se io sono un produttore, sono un manifatturiero, il mio core business è tutt’altro, io non devo diventare un’azienda It. E probabilmente mi interessa far gestire questa cosa da una terza parte, per potermi concentrare sulla produzione. Quindi evito di crearmi un data center privato con investimenti in conto capitale, per macchine, installazione, manutenzione, spazi che hanno un costo, e sostituisco queste spese in Capex con investimenti in Opex. A questo punto non ho costi per iniziare il mio progetto, se non quelli di migrazione. E i servizi sono subito disponibili, quindi il mio It manager dovrà lavorare meno. Poi, come dicevamo poco sopra, pagherò a consumo, quindi inizierò a pagare solo quando inizierò a consumare. Se per esempio la mia produzione è diurna, di notte non avrò bisogno di far girare il mio Mes, quindi non pagherò il servizio per quelle ore. E non avrò il costo del condizionamento, e così via: tutti i servizi non verranno pagati se non quando verranno utilizzati».

Un altro vantaggio interessante del cloud è che mi permette di sperimentare. Ovvero di provare quali tecnologie, applicazioni, innovazioni, nuove idee possono portare un concreto vantaggio all’azienda. Con il cloud, è possibile avere a disposizione le infrastrutture hardware per una sperimentazione nel giro di minuti, senza costi fissi iniziali, consentendo di sperimentare nuove soluzioni rapidamente e a costi bassissimi. «Non solo, posso anche decidere di utilizzare dei PaaS, dei “semilavorati” di piattaforma software, per esempio di machine learning, di intelligenza artificiale, di IoT, e posso decidere di creare un progetto di macchina connessa partendo da questi semilavorati, software che pagherò “a servizio”, per iniziare a portare dentro i dati e osservare il funzionamento. Poi quando i dati sono sul cloud posso anche pensare di prendere “a servizio” anche un software di analytics che mi prepara dei sinottici per capire che cosa sta succedendo lungo la mia linea di produzione. Cosa ho ottenuto in questo modo, ho ottenuto di poter sperimentare spesso, se fallisco posso tornare indietro e ho speso poco. I prototipi mi costano meno e quindi come risultato innovo sempre di più».

Per cloud manufacturing si intende, in parole povere, migrare sul cloud le applicazioni che normalmente girano sui server che sono posizionati in fabbrica, nello stabilimento produttivo. Fonte Made

Oltre a questi vantaggi ce ne sono poi altri. Per esempio la copertura globale dei service provider permette di espandere l’infrastruttura geograficamente e servire in questo modo utenze globali – pensate per esempio di poter fare assistenza ai macchinari che vendete utilizzando la realtà aumentata, caricando l’applicazione su server cloud vicini alla location del cliente dove la macchina è installata.

Se poi consideriamo le famose “9 tecnologie abilitanti” dell’industria 4.0, è facile vedere che il cloud impatta su tutte, facendo da abilitatore o da fluidificatore per le altre 8: dai robot collaborativi interconnessi alla realtà aumentata, dalle simulazioni di macchine interconnesse per ottimizzare i processi all’analisi di basi di dati per l’ottimizzazione di prodotti e processi. Da questo punto di vista, rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il pieno utilizzo nella maggior parte delle Pmi (segnatamente, la carenza di know-how e di personale formato) deve diventare una priorità se vogliamo evitare che l’assenza del cloud in vaste parti della filiera diventi un collo di bottiglia nello sviluppo dell’intero comparto industriale manifatturiero.














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