Crisi industriali italiane 2023, intervista a 360 gradi con uno che le conosce bene: Giampietro Castano

di Marco de' Francesco ♦︎ Non si possono investire risorse e competenze su tutti i comparti industriali: si punta dove il prodotto è forte e c’è mercato. E bisogna promuovere l’avanzamento tecnologico e green delle imprese: investire di più in innovazione. La composizione negoziata della crisi: prevenire per evitare il fallimento. I tavoli di crisi: Acciaierie d’Italia, Alitalia, Ast, Ansaldo Energia, Industria Italiana Autobus, Gkn, Dema, Whirlpool. Approfondita intervista con Giampietro Castano, uomo chiave delle crisi industriali per 11 anni

Quando parliamo di crisi aziendali, «prevenire è meglio che curare». Alla prevenzione, dovrebbe pensarci lo Stato, compiendo, finalmente, quelle scelte strategiche che per ora non ha fatto o ha soltanto abbozzato. Tanto per cominciare, non si può investire risorse e competenze su tutti i comparti industriali, a pioggia. Nel Regno Unito, in Germania e in Francia, lo hanno capito. Bisogna decidere quali settori portare avanti – perché cruciali per l’economia italiana e perché correlati ad un mercato globale in crescita. Le risorse vanno concentrate dove da un lato c’è una maggiore chance di riuscita e dall’altro dove possono concorrere a risolvere problemi sociali. È una decisione che non si vuole prendere perché faticosa e politicamente difficile; ma sarebbe utile al Paese.

Lo pensa Giampietro Castano, il “mister 130 tavoli” e uomo chiave delle crisi industriali italiane: ha guidato per 11 anni, dal 2008 al 2019, l’unità di gestione delle vertenze del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, quella poi diretta da Giorgio Sorial, da Alessandra Todde e poi da Luca Annibaletti. Infaticabile (tante le trattative chiuse all’alba), ha interpretato il suo ruolo con terzietà, lavorando con ministri di diverso colore politico: da Claudio Scajola a Flavio Zanonato, da Corrado Passera a Claudio Romani, da Federica Guidi a Carlo Calenda. Qualche giorno fa, dopo qualche anno di panchina è stato nominato dal ministro Adolfo Urso consigliere per le ristrutturazioni aziendali. Dopodiché bisogna promuovere con forza l’avanzamento tecnologico e green delle imprese, investendo di più nell’innovazione: altrimenti capita che una multinazionale come Intel decida di fare ricerca in Francia e produzione in Germania, lasciando il Belpaese a bocca asciutta. Certo, ci sono i soldi del Pnrr: ma il meccanismo dei bandi è talmente farraginoso che molti fondi rischiano di rimanere dove sono.







Per ora, peraltro, la normativa sulla composizione negoziata della crisi non sta decollando: il fatto è che gli imprenditori non vogliono far sapere di trovarsi in condizioni critiche, e le banche, spesso, continuano a far credito nella speranza che la crisi si risolva. Insomma, il meccanismo non viene attivato. E quando si arriva alla crisi vera e propria, bisogna sapere che c’è una regola aurea da seguire: se il prodotto è forte e c’è mercato, si risolve di sicuro. Altrimenti, no. Sullo sfondo, le vertenze di Acciaierie d’Italia, Alitalia, AstAnsaldo Energia, Industria Italiana Autobus, Gkn, Dema, Whirlpool, Wärtsilä e altre. Tutto ciò secondo Castano, che abbiamo intervistato.

D: Risulta che Lei sia stato richiamato a Palazzo Piacentini, dopo qualche anno di assenza.

Giampietro Castano

R: Sì, come consigliere del ministro Urso in tema di ristrutturazioni aziendali. Non nella task force delle crisi di impresa, come si è scritto in qualche giornale. Peraltro, il mio è un incarico a titolo gratuito, incompatibile con altri che pertanto ho deciso di interrompere.

D: Quanto hanno influito, secondo Lei, calamità come il Covid, la guerra, la carenza di materie prime, l’inflazione, nella gestione della crisi? L’approccio è cambiato?

R: Questi eventi hanno senz’altro acuito le situazioni più critiche, e in alcuni casi, quando si partiva da una condizione di difficoltà, le aziende hanno rischiato il tracollo. In molte imprese, però, è emersa una volontà di riscatto, e la mano pubblica può accompagnarle nella crescita e nella rinascita

D: Di quale disegno sta parlando?

R: Lo Stato deve indicare la strada verso cui ci si deve muovere e mettere a disposizione le risorse necessarie (non penso solo a quelle finanziarie). Io penso si debbano favorire gli investimenti nella digitalizzazione delle imprese, nell’informatizzazione, nella sostenibilità industriale, e in nuove fonti di approvvigionamento dell’energia rinnovabile. E ancora nella ricerca per lo sviluppo di automazione, robotica, intelligenza artificiale. Il nostro tessuto manifatturiero deve essere competitivo con i Paesi avanzati. Altrimenti capita quello che sta accadendo con Intel, che fa ricerca in Francia e investimenti industriali in Germania. E l’Italia? Saltata. Se non si fa questo, di crisi ce ne saranno sempre di più. Un esempio è quello delle energie rinnovabili: per gli apparati ed i macchinari dipendiamo quasi totalmente dalla Cina (solare) o da altri Paesi (eolico). Ora la 3Sun Gigafactory (del gruppo Enel) a Catania, nella cosiddetta Etna Valley, si candida a diventare il maggiore produttore europeo di pannelli solari con tecnologie d’avanguardia. L’operazione è importantissima e deve avere successo. Ma è chiaro che attività di questo genere non possono essere lasciate all’iniziativa di singole aziende, anche se grandi e affermate: dovrebbero essere invece il risultato di una manovra di sistema. Iniziative di questo tipo vanno indirizzate e supportate, perché altrimenti faticano a diventare riferimenti internazionali. Senza dimenticare le infrastrutture, altrimenti mezzo Paese è tagliato fuori dal progresso; nel Mezzogiorno il ritardo è pesantissimo e senza strade rotaie e fibra il divario è destinato a crescere per tutto il Paese.

D: Quali altre decisioni strategiche?

Intel Ethernet 800 Series. Intel fa ricerca in Francia e investimenti industriali in Germania. E l’Italia? Saltata

R: Le risorse non sono infinite e vanno concentrate dove da un lato c’è una maggiore chance di riuscita e dall’altro dove possono concorrere a risolvere problemi sociali. Alla fine, la Francia, la Germania e il Regno Unito queste scelte le hanno già fatte. Talvolta sono dolorose, ma sono utili e funzionali al sistema.

D: Comunque, sia sul fronte della digitalizzazione che su quello green, ora c’è il Pnrr.

R: Il Pnrr esprime la buona volontà dello Stato; il programma di riforme e investimenti approvato è molto importante e potrebbe determinare una significativa svolta per il Paese. Il problema è la farraginosa burocrazia. Non c’è certezza che tutte le risorse del PNRR saranno spese. Per portare avanti tanti progetti, occorrerebbero competenze nella gestione delle gare e dei bandi, che si fanno con ritardo. A ciò si aggiunga la pluralità degli enti di riferimento per la stessa materia. È un guaio, perché dobbiamo concludere il ciclo entro il 2026. Oltre questa data, i soldi sono persi per sempre.

D: Secondo Lei la normativa sulla composizione negoziata della crisi riuscirà ad agire in modo preventivo, selezionando i casi che finiranno ai tavoli del Mimit?

Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy

R: È esattamente l’obiettivo della nuova legislazione, molto importante ma ancora troppo recente per un giudizio. Tuttavia, i primi dati che abbiamo a disposizione parlano di un ricorso basso al sistema di composizione negoziata. Questa dovrebbe prevenire lo stato di crisi allertando tutti gli stakeholder; che dovrebbero intervenire in modo coordinato per evitare il fallimento. Il problema è che spesso chi dovrebbe allertare, l’imprenditore o i creditori (le banche), non lo fa. Il primo perché non vuole far sapere di trovarsi in una situazione critica, i secondi perché spesso continuano a concedere credito nella speranza che la situazione si risolva. Sempre a proposito della composizione negoziata, c’è da dire che non sempre i professionisti che si sono iscritti nell’apposito Albo sono all’altezza. A mio avviso, non basta l’intervento del commercialista (professione predominante nell’Albo). Anche qui: la buona volontà dello Stato c’è; le modalità di attuazione presentano ampi margini di incertezza.

D: Secondo un banchiere, Fabio Arpe – intervistato a dicembre scorso da Industria Italiana – l’inflazione continuerà a galoppare; i tassi di interesse pure, e le imprese che non dispongono di una sufficiente marginalità dovranno alzare bandiera bianca e arrendersi ai creditori bancari, che le rivenderanno a quattro lire ad aziende con le spalle più robuste. Secondo Lei è uno scenario realistico?

R: Io penso che inflazione e tassi di interesse siano problemi seri, ma che avranno un’evoluzione positiva. Almeno, questo è quello che si comprende valutando i dati che abbiamo a disposizione. Penso che non accadrà come nel 1980, quando si rischio il collasso dell’economia. La struttura industriale, le imprese manifatturiere e non solo, stanno reagendo in modo concreto a tutte le difficoltà E d’altra parte bisogna anche ammettere che il costo del denaro a tasso zero non era un vantaggio per l’economia. Ci sono le possibilità per conseguire un giusto equilibrio.

D: Quali sono secondo Lei i più importanti tavoli di crisi aperti al Mimit? Qualche mese fa erano una settantina, i tavoli.

Turbina a gas AE643A di Ansaldo Energia

R: Questa domanda dovrebbe rivolgerla a chi è responsabile della gestione di questi tavoli e non sono io. E’ comunque evidente che sono sempre un numero importante e sono coinvolti moltissimi lavoratori: basti pensare ad Acciaierie d’Italia – Ilva, Alitalia, Ansaldo Energia, Industria Italiana Autobus, Dema, Wärtsilä. In alcune sono coinvolti più ministeri (Mef, Ambiente) a testimonianza della complessità dei problemi da affrontare.

D: Quanto alla Whirlpool di Napoli, a dicembre scorso lo stabilimento è stato ceduto alla Zona economica speciale (Zes) della regione Campania. Qualche giorno fa quest’ultima ha pubblicato una Manifestazione di Interesse: in buona sostanza si tratta di trovare un investitore che subentri alla guida della fabbrica di via Argine. Come la vede? 

R: Una vicenda paradossale, che dura da cinque anni. Nel frattempo i lavoratori sono stati licenziati, e ora si pone il problema della loro ricollocazione. L’idea è che l’investitore che utilizzerà quegli impianti ne riassuma un po’. Non so come finirà; non è questione di cui mi sto occupando, ma spero ci sia qualche notizia positiva a breve.

D: Secondo lei quali sono i presupposti per un esito positivo in caso di crisi aziendale?

L’impianto triestino di Wartsila

R: Quando c’è un prodotto forte e competenze adeguate, ci sono sempre buone prospettive. Faccio un esempio: Una azienda campana che progetta e produce strutture aeronautiche complesse utilizzando alluminio, titanio, fibra di carbonio, kevlar, termoplastiche, oggi si trova in difficoltà. Certo, con il Covid la domanda era calata moltissimo; ma ora c’è il mercato, c’è la competenza. Secondo me, insomma, ci sono chance di recupero, e di salvaguardare i 600 dipendenti.

D: E se non si riuscisse?

R: In questo caso bisogna riuscirci. In altri casi si procederà con la reindustrializzazione, e cioè con la riconversione del sito industriale. In generale, nella ristrutturazione bisogna capire quali sono le cause della crisi. Possono essere interne, a causa di inefficienze produttive, commerciali, organizzative, di innovazione; o esterne, e cioè legate al mercato e allo scarso livello tecnologico. Per risolvere i problemi, occorrono competenze molto articolate: risorse economiche e finanziarie, ma talvolta serve un nuovo management. Insomma, bisogna agire su una pluralità di strumenti combinandoli di volta in volta.

D. C’è un settore, quello della siderurgia, di cui si parla molto in questi mesi. Ora sembra che le cose vadano meglio. Lei che ha una esperienza specifica per avere affrontato varie situazioni difficili, come pensa si debba agire?

Ex Ilva

R: Anzitutto c’è un problema di costo dell’energia perché la siderurgia italiana, con la sola eccezione della ex Ilva, produce acciaio con forno elettrico. Poi c’è un problema di costi e reperimento delle materie prime: dal rottame a tutte le componenti che sono usate nella produzione di acciaio. Inoltre c’è la necessità di proteggere il mercato da importazioni provenienti da Paesi che fruiscono di prezzi bassi ma producono in condizioni socialmente e ambientalmente inaccettabili. Su questi fattori incide anche la guerra in Ucraina. Ora la dinamica dei prezzi si sta un po’ normalizzando, e questo dovrebbe comportare una tenuta del settore. Su tutto questo si inseriscono i singoli casi di difficoltà noti a tutti: da Piombino a Taranto, Genova che vuol dire Ilva. Queste situazioni sono diverse tra di loro e vanno trattate con strumenti adeguati: nuovi piani industriali, nuova finanza e nuovi assetti societari. Su tutto questo mi sembra di vedere un impegno attivo del Governo chiamato ad affrontare situazioni francamente molto difficili, che purtroppo si trascinano da molto tempo.














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