Bito: quanta tecnologia c’è dietro alla produzione di contenitori e scaffalature!

di Alberto Falchi ♦︎ La multinazionale tedesca realizza contenitori destinati ai più svariati ambiti: le scatole adatte al contatto diretto coi cibi, così come quelle per l'automazione spinta, caratterizzate da tolleranze costruttive estremamente ridotte così da facilitare il lavoro alle macchine automatiche. Contenitori destinati a durare 20 o 30 anni, i cui stampi per la produzione possono arrivare a costare sino a mezzo milione. Ne parliamo con Luca Chiappini, amministratore unico della filiale italiana

I mondi dell’industria, dell’automazione e dell’e-commerce, così come la maggior parte dei settori, non possono fare a meno di scatole e scaffalature. Prodotti apparentemente a bassa tecnologia, ma la cui realizzazione richiede grandi competenze, perché non tutti i prodotti sono uguali, né si adattano alle specifiche esigenze di un’industria. In alcuni casi, servono box in grado di reggere pesi estremamente elevati, in altri devono essere strutturati per potersi integrare coi robot e gli altri dispositivi presenti nelle linee automatizzate. Se poi l’automazione è estremamente spinta, ci sono le scatole XL Motion per un’«automazione senza compromessi», progettate per non deformarsi nemmeno dopo decadi e integrarsi perfettamente con le linee automatiche. Progettare e realizzare questi dispositivi non è semplice e richiede investimenti molto ingenti, come fa Bito, multinazionale tedesca nata 1845 con un fatturato al 2020 di oltre 240 milioni di euro che non si limita a realizzare contenitori in plastica e scaffali, ma controlla anche le fabbriche che lavorano la plastica con cui produce i contenitori. 

Scatole e contenitori, l’importanza dei materiali

Scatole e contenitori non sono semplici pezzi di plastica e dietro la loro produzione c’è un grande lavoro, fondamentale per far sì che si adattino alle differenti esigenze, a partire dalla scelta dei materiali. Prendiamo il caso del settore food & beverage: i contenitori utilizzati in questo ambito devono rispondere a precise caratteristiche. «L’alimentare ha particolari esigenze, come la resistenza alle temperature o la possibilità di entrare a diretto contato coi cibi, che impongono l’utilizzo di determinati prodotti. Un polipropilene riciclato, per esempio può essere messo a contatto con i prodotti alimentari, al contrario del polipropilene vergine». Devono insomma rispondere particolari requisiti e rispettare gli standard Moca (Materiali e oggetti destinati a entrare in contatto con gli alimenti), quindi rispettare gli standard BRC/IOP (GSPP), UNI 15593, FSSC 22000, ISO 22000. «Questo fa sì che ci sia una tracciabilità totale, anche di additivi e coloranti utilizzati sulla cassa», spiega Luca Chiappini,  amministratore unico della filiale italiana di Bito. 







Le caratteristiche dei contenitori per un’automazione senza compromessi

Luca Chiappini, amministratore unico della filiale italiana di Bito

Altri prodotti, invece, hanno meno vincoli sotto questo profilo ma richiedono di prestare attenzione ad altri dettagli, come nel caso dell’automazione industriale. «Le macchine automatiche hanno la necessità di avere alcune caratteristiche di tolleranza costruttiva dovute ai tempi di ciclo sempre più ridotti». Un contenitore che non dovesse rispettare tali caratteristiche, porterebbe a interruzioni del ciclo e rappresenterebbe un serio danno per la produttività. Nel catalogo Bito sono presenti anche prodotti progettati per quella che il manager definisce un’”automazione senza compromessi”. «Alcuni dei prodotti del nostro portafoglio sono adatti sia all’automazione sia ad altri utilizzi, come il trasporto interno alla fabbrica o verso clienti e fornitori. Le casse per l’automazione senza compromessi, invece, sono differenti. La flessione del fondo del contenitore non deve eccedere di determinati millimetri. E questo si intende per tutto l’arco di vita del prodotto, anche dopo 20 anni di utilizzo», proprio per i motivi citati prima: se si dovesse deformare, questo creerebbe problemi ai robot che si occupano di muoverle. 

Per evitare il problema, nelle casse XL Motion è stata allargata la base, portandola fino alle pareti perimetrali, così da garantire di rispettare le tolleranze in termini di flessione e, soprattutto senza un processo in produzione aggiuntivo, perché così abbiamo «una maggiore efficienza nel flusso di produzione e un risparmio in termini di costo, fatto che ci permette di essere più competitivi». Non sono gli unici accorgimenti adottati: «i rinforzi non sono trasversali ma diagonali, per far sì che la cassa sia la più silenziosa attualmente sul mercato. Le nostre prove in laboratorio mostrano anche 15 dB di differenza». Ma che importanza ha il rumore generato dallo spostamento dei contenitori? Pensiamo a uno stabilimento di grandi dimensioni, con migliaia di casse in costante movimento: con casse tradizionali, gli operatori sarebbero costretti a lavorare indossando protezioni acustiche, cosa che può essere evitata se si riesce a contenere il rumore generato, tutto a vantaggio del confort dei lavoratori. 

Contenitori XL Motion per l’automazione senza compromessi

Altri vantaggi delle soluzioni XL Motion sono la possibilità di avere differenti tipi di separazione interna o essere dotati di fori di drenaggio per far defluire l’acqua in caso di incendio, quando si attivano gli sprinkler. Ma anche il poter personalizzare la fascia inferiore della cassa in fase di produzione e senza costi aggiuntivi, ai macchinari utilizzati dal cliente. SI tratta di un caso particolare, dal momento che nella maggior parte delle situazioni questi contenitori sono standard: «lo stampo per realizzare è particolarmente complesso, che consente di customizzare il contenitore sulla base delle necessità», intese come gli specifici sistemi di automazione. 

Sempre in ambito automazione, Bito realizza anche degli scaffali pensati per questo settore, ottimizzati per le scaffalature di tipo Shuttle. Tolte eccezioni come quelle citate, i prodotti di Bito sono per lo più standard e trasversali ai vari settori. «Se sono necessarie customizzazioni specifiche, in alcuni casi sono intrinseche nel prodotto, come nell’alimentare, in altri lo sono diventate, è il caso dell’automazione». 

Cosa c’è dietro la produzione di un contenitore

I contenitori Bito EQ sono pieghevoli e permettono di risparmiare spazio

Un contenitore potrà sembrare un semplice quadrato di plastica, ma la sua realizzazione può essere piuttosto complessa. «Uno stampo può costare fino a 500.000 euro» e per rimanere competitivi è necessario continuare a investire in nuove soluzioni. «Dal 2015 al 2020 Bito ha investito più di quello che ha guadagnato in ricerca e sviluppo». Ricerca sui materiali, sulle soluzioni, espansione del mercato e attenzione a quanto richiede il mercato per non rimanere indietro. Perché come spiega Chiappini «è gratificante essere un punto di riferimento del mercato ed essere copiati da alcuni nelle soluzioni proposte». La plastica utilizzate può essere definita“ecologica”, in un certo senso: «non facciamo sacchetti o bottiglie di plastica. Usiamo un polipropilene pensato per durare anni e che può essere riciclato a fine vita». Bito stessa riutilizza il polipropilene vergine dei prodotti ormai usurati per realizzarne altri con materiale di riciclo, da materia prima di prima scelta. Non limitandosi a usare Il solo polipropilene, ma anche materiali di riciclo di natura vegetale. «Realizziamo anche prodotti usando polipropilene mischiato a semi di girasole, SFC (Sun Flower Compound), che hanno caratteristiche fisiche identiche ai contenitori in polipropilene standard, ma che ci permettono di avere emissioni CO2 in atmosfera estremamente più basse. Un argomento importante, soprattutto all’estero, in particolare nel Nord Europa. «Non è un caso che la multinazionale tedesca abbia già raggiunto, da qualche mese, la certificazione carbon-free. Su questo tema l’Italia secondo Chiappini è meno sensibile di altre nazioni, fatta esclusione per le aziende di grandi dimensioni, che nel nostro tessuto industriale sono però la minoranza.

Chi è Bito

Quartier generale di Bito in Germania

Bito nasce nel 1845 producendo elementi d’arredo in metallo, quali maniglie per i mobili e nel dopoguerra ha iniziato a trasformarsi per concentrarsi su quello che è l’attuale business. Una ditta a conduzione familiare che nel tempo ha saputo strutturarsi per affrontare i nuovi contesti di mercato.. L’aver mantenuto un’identità padronale ha però i suoi vantaggi, secondo Chiappini: «c’è una maggiore cultura del prodotto e, nel caso di Bito, il nome del fondatore», dato che il nome completo è Bito-Lagertechnik Bittmann Gmbh, dove Bittmann fa riferimento al Sig. Fritz-August Bittmann, che ha dato vita all’attuale azienda. E che «ancora oggi  ha un ruolo attivo, nonostante abbia superato gli 80 anni». 

A oggi conta due siti produttivi in Germania, uno dei quali ha 177 anni di storia ed è è il quartier generale dove vengono prodotti gli scaffali. A una decina di chilometri di distanza sorge invece la fabbrica dei contenitori, mentre dal 2020 è operativa una fabbrica in Polonia «inizialmente destinata a un solo prodotto, lo scaffale a gravità pesante per pallet e contenitori industriali, ma che ora verrà destinata anche ad altre tipologie». La presenza in Europa è capillare: Bito ha uffici commerciali in 14 Paesi europei, oltre a tre sedi in altri continenti, Dubai, Sud Africa e Usa. Prevalentemente opera nel Vecchio Continente per un motivo facilmente intuibile: muovere contenitori e scaffali in giro per il mondo significa fondamentalmente «muovere aria». I costi, insomma, sarebbero elevati, fatto che renderebbe più difficile essere competitivi con la concorrenza locale. 














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