Benvenuti… al Sih, il polo di innovazione strategica di Ca’ Foscari

di Marco de' Francesco ♦︎ Lo Strategy Innovation Hub avrà una dotazione di partenza di quasi 800mila euro tra finanziamenti e strumentazioni varie. Obiettivo: mettere in contatto imprese e università per comprendere le peculiarità della digital transformation e per delineare nuovi modelli di business. Tra i principali sostenitori Banca Intesa e Kpmg, mentre tra le aziende aderenti figurano Cisco, Maw, Ors e Foscarini

Unire accademia e un migliaio di imprese per immaginare percorsi di innovazione strategica; dar vita, in un paio d’anni, a una community generativa in un contesto interdisciplinare: è questo l’obiettivo del Sih, lo “Strategy Innovation Hub”, recentemente inaugurato al Campus San Giobbe dell’Università Ca’ Foscari di Venezia da Carlo Bagnoli, ordinario di innovazione strategica all’ateneo della Serenissima. Il Sih è stato finanziato con 250mila euro dall’università, con altri 200mila da partner, e indirettamente da altre aziende con ulteriori 300mila in strumentazioni. Tra i finanziatori del Sih, Sharp, Arper, Banca Intesa Sanpaolo e Kpmg. E dovrebbe completare la sua opera in due anni. Tra i partecipanti anche Cisco, Maw, Ors  e Foscarini.

 







I sette caratteri del Sih

Aula Magna dell’Università Ca’ Foscari

Il Sih è un luogo – sia fisico che virtuale – di incontro per manager, accademici e imprenditori. Il fine è quello di immaginare insieme percorsi di innovazione strategica. La location è quella di Ca’ Foscari, la più antica scuola di commercio d’Italia. Si tratta di ripensare il business model delle aziende, cercando di definirne uno in grado di veicolare più valore e rendere l’impresa più competitiva. Ad esempio, il successo di alcune multinazionali è dipeso dalla reinterpretazione di antichi mestieri: Uber e Airbnb hanno reinventato l’attività del tassista e dell’albergatore. Il discorso si fa più complesso nel caso di piccole realtà “tradizionali”. Non è facile riposizionarsi, abbracciare il cambiamento: ma è più semplice farlo collaborando con altri che perseguono la stessa meta. Al Sih non ci sarà solo formazione: un osservatorio dedicato consentirà l’accesso on-line a un database sulle tendenze emergenti e ai business model pattern. Dunque, sette sono i caratteri peculiari dell’hub. Anzitutto interdisciplinarietà, e cioè contaminazione tra sfere di competenza quali mercato, design, tecnologia e strategia. Il secondo è la presenza di un laboratorio universitario, bacino di competenze e ricerca.

Carlo Bagnoli, Professore Ordinario di Innovazione Strategica alla Ca’ Foscari

Il terzo riguarda il fatto che l’hub è un luogo di incontro per coltivare una community generativa. Che ha una struttura particolare: prevede la figura del simpatizzante, soggetto sul cui immaginario si lavora, ad esempio, con la pubblicazione di video sui trend tecnologici; c’è quella del partecipante, che è l’evoluzione del simpatizzante a seguito di incontri tematici; c’è il praticante, che rappresenta una dimensione più avanzata; e infine il devoto, parte di un gruppo coeso di appassionati di innovazione. Il quarto carattere è la focalizzazione sul re-startup, e cioè sulla creazione di spin-off aziendali per testare il mercato. Il quinto è l’importanza attribuita al Made in Italy, dal momento che secondo i promotori le imprese dovrebbero avere la capacità di operare in un contesto globale mantenendo la propria italianità. Il sesto è il B2b2c, che significa sia “beauty to business to consumer”, per evidenziare l’importanza del design e dell’estetica dei prodotti, che “business to business to consumer”, per sottolineare il rilievo dei bisogni del consumatore finale. Infine, come ultimo carattere, la trasformazione. Il laboratorio si articola in trend lab, per l’analisi di futuri trend tecnologici e socio-culturali; business lab, per l’esame di passati casi di successo; e contamination lab, per il lancio di re-startup. Per Bagnoli, la metodologia è replicabile, ma i contenuti sono diversi da azienda ad azienda. Ciò perché il processo per l’innovazione strategica è uguale per tutti, a prescindere da dimensioni e settore; ma ogni impresa ha uno scopo e una missione propri. L’identità significa molto: copiare un modello di business altrui è tendenzialmente un’operazione priva di successo. È come imitare la voce di un cantante affermato: per diventare famosi, bisogna avere un timbro personale. «Il nostro obiettivo – ha affermato Bagnoli – è quello di disporre di 200 “devoti”, o “evangelisti”, e 800 follower»

 

Le competenze e il capitale umano alla base della “innovazione distintiva”

Da sinistra: Stefano Barrese, Carlo Bagnoli, Michele Parisatto

Secondo Stefano Barrese, responsabile della Divisione Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo, le aziende devono trovare il coraggio di investire reinventando il proprio business model e puntando ad una innovazione “distintiva”. Al centro di tutto, il capitale umano, la vera leva per la crescita. «In Italia l’industria ha un profilo manifatturiero – afferma – e questo dovrebbe spingere il Paese nella direzione che porta ad università tecnologiche, ingegneristiche e alla scienza in generale. Bisognerebbe tener presente la domanda di lavoro delle aziende. Oggi invece si assiste ad una sproporzione tra laureati in materie umanistiche e quelli in discipline Stem. Inoltre, l’Italia è esportatrice “netta” di capitale umano, anche se l’industria 4.0 senza quest’ultimo elemento non ha senso. Ecco, l’hub può aiutare, perché è un modo intelligente di fare innovazione».

Per il partner di Kpmg Michele Parisatto, «le aziende devono cambiare, per non essere travolte dalla metamorfosi del panorama di mercato. Tuttavia, c’è ancora poca consapevolezza dei vantaggi del digitale; in genere, la trasformazione tecnologica non è condivisa da vari livelli interni, ma delegata all’It. Così non funziona. Bene, invece, puntare sul capitale umano, anche “riformattando” i lavoratori. Quanto all’hub, è una cosa molto positiva il collegamento tra accademia e imprese, anche in vista di una condivisione di competenze. Ora si tratta di definire meglio le modalità operative». Tra i finanziatori dell’hub, la multinazionale giapponese dei dispositivi elettronici Sharp e l’azienda trevigiana di design per la casa e per l’ufficio Arper.

 

Cisco esempio di azienda capace di mutare il proprio business model

Agostino Santoni, ad Cisco Italia

Tra le imprese che partecipano all’hub, l’agenzia per il lavoro con filiali in tutto il Centro Nord “Maw”; un’azienda specializzata nella realizzazione di lampade di design, Foscarini; la società di informatica Ors (Operational research systems) e la filiale italiana della multinazionale del networking Cisco. Il colosso di San Jose, ha affermato l’ad della branch italiana Agostino Santoni, è l’esempio di azienda che ha trasformato il proprio business model, e lo ha fatto perché tre fattori di grande rilievo stavano (e stanno ancora) impattando su di esso. Anzitutto l’aumento di peso specifico del software che, sempre più potente, «sta banalizzando l’hardware»; poi l’app economy, fenomeno che comporta la riduzione delle linee di codice e quindi quella del costo del software; infine, il modello di consumo, sempre più orientato verso il pagamento di canoni periodici. Come ha condizionato tutto ciò il modello d’affari di Cisco? «Siamo un’azienda che fa router e switch – ha continuato Santoni – eppure abbiamo appena annunciato il lancio di un processore potentissimo, da 10 Tbps (Terabyte al secondo, ndr), Cisco Silicon One; in sintesi, noi vendiamo il chip, e con esso il software e la nostra tecnologia hardware». La multinazionale ha portato al Sih, una piattaforma convergente che integra tutte le soluzioni video di Cisco: Meetings, Teams e Calling. Questa tecnologia end-to-end è un unicum sul mercato: mette assieme tanto software con tutta la componente hardware dei device dell’azienda. Per Santoni è fondamentale per connettere spazi fisici, che incontrano il digitale grazie al cloud – a sua volta elemento pervasivo in grado di arricchire l’esperienza dell’utente.

Da sinistra: Carlo Urbinati, Carlo Bagnoli, Francesco Turrini

Secondo il Ceo di Maw Francesco Turrini, «le aziende devono dare ai giovani e al proprio personale in generale una visione. Soprattutto adesso che la gestione del personale sta cambiando in modo drammatico a causa dell’automazione di molte attività. C’è bisogno di gente che abbia una spinta interiore, e le imprese devono lavorare per darle impulso». Anche secondo le aziende, il capitale umano è centrale; anche per loro, non c’è trasformazione né innovazione a prescindere dalle persone. Per il presidente e amministratore unico di Foscarini Carlo Urbinati, d’altra parte, «quando hai, come noi, un’azienda che non ha capacità produttiva propria, tutto ciò che conta sono le idee e chi è in grado dar loro vita».














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