Idrogeno: una partita a scacchi strategica raccontata da Bcg

di Chiara Volonté ♦︎ L'H2 può rappresentare il futuro della generazione energetica. Ci investono Enel, Eni, A2A, Edison e tutti i principali player. I fondi non sono un problema: 3,6 miliardi dal Pnrr. Ed Enea ne mette sul piatto altri 14 per una hydrogen valley italiana. Ma bisogna affrontare nuove sfide. Dalla creazione dell’intera infrastruttura per il trasporto e lo stoccaggio, per arrivare al retrofitting degli impianti industriali. Il tutto rapidamente,per raggiungere quota 10/12% da idrogeno entro il 2050. Le criticità per i settori hard to abate e i percorsi strategici da seguire. Ne parliamo con Andrea Siri di Boston Consulting Group

L’idrogeno ha grandi potenzialità in termini di creazione di valore industriale. Perché è in grado di immagazzinare e fornire grandi quantità di energia per unità di massa senza produrre emissioni di co2 durante la combustione. Sarà uno degli elementi che accompagneranno le aziende nel percorso verso il net zero e la neutralità carbonica Ue al 2050. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), per azzerare le emissioni entro il 2050 i combustibili basati sull’H2 estratto con fonti rinnovabili dovranno alimentare fra il 10 e il 12% del consumo di energia globale.

Puntano sull’idrogeno praticamente tutti i grandi operatori energetici nazionali, a cominciare da Eni, Enel, A2a, Edison. E soggetti come Snam, Saipem e Alboran. Senza considerare che alle porte di Roma, grazie a un investimento di 14 milioni di euro, sorgerà una hydrogen valley dell’Enea, un polo di ricerca per lo sviluppo di una filiera italiana dell’idrogeno. Non solo un vettore energetico dunque, ma un vero e proprio tema industriale: l’idrogeno introdurrà nuovi paradigmi produttivi in molte industry, mettendo in moto imprese innovative, attivando investimenti pubblici e privati e creando un’occupazione qualificata.







Ma quali saranno gli impatti a breve e medio termine sull’industria? «L’idrogeno fossile oggi è già utilizzato da industrie come quella chimica e della raffinazione– ci spiega Andrea Siri, project leader di Bcg – tuttavia per altri settori hard to abate l’idrogeno si presenta come nuovo vettore energetico richiedendo, oltre agli investimenti necessari ad approvvigionare idrogeno low carbon, ingenti investimenti sia fisici che materiali, necessari ad adattare interi impianti e procedure».

Ed è proprio alle industrie hard to abate – ossia altamente energivore, e difficilmente decarbonizzabili con soluzioni economiche, come acciaierie, cementifici, cartiere, vetrerie, ceramica e appunto chimica e raffinazione – che dovrebbero essere destinati 2 miliardi di euro dei complessivi 3,6 stanziati per l’idrogeno dal Pnrr: saranno sufficienti per favorire l’attuazione di progetti di decarbonizzazione su base H2? «Il Pnrr mette sul piatto 3,6 miliardi di euro per l’idrogeno, ma questo deve essere il punto di partenza – prosegue Siri – È necessario identificare metodologie che andranno implementate per incentivare l’utilizzo di questo vettore energetico nei settori industriali».

Ma le sfide che pone l’idrogeno non si fermano al retrofitting dei plant industriali. Oltre alla complessità di produzione – che passa dai campi fotovoltaici alle turbine eoliche galleggianti fino alle biomasse – un ulteriore elemento di problematicità riguarda il trasporto a causa delle sue caratteristiche: è infiammabile, poco denso e si disperde nell’aria con molta facilità. E allora tra tubi, carri bombolai e navi cosa scegliere? Infine, si apre un nuovo mercato per i produttori di energia.

Secondo Bcg, per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione sarà necessario incrementare la quota di energia derivante da rinnovabili

E allora la domanda sorge spontanea: potrà davvero essere una fonte di energia alternativa? Di questo, e di molto altro, abbiamo parlato con Andrea Siri, project leader di Boston Consulting Group.

Idrogeno: opportunità per molte industrie. Ma il percorso è complesso

«Soddisfare la prossima domanda di idrogeno non sarà semplice – ci spiega Andrea Siri – I governi dovranno rendere i combustibili verdi economicamente competitivi con quelli tradizionali, applicando meccanismi a copertura del green premium. Occorrerà inoltre assicurarsi forniture sufficienti soprattutto di energia elettrica rinnovabile, oggi riservata in gran parte all’elettrificazione diretta».

L’idrogeno è tra i protagonisti della Missione 2 del Pnrr – dedicata alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica – con 3,6 miliardi di euro ad esso destinati. Di questi, 50 milioni sono stati stanziati dal Ministero della Transizione Ecologica (Mite) per progetti di ricerca e sviluppo in ambito H2. «Il primo classificato di questo bando si è aggiudicato oltre 3 milioni di euro per un progetto di miglioramento delle tecnologie di stoccaggio, al fine di renderlo più economico e sicuro – chiosa Andrea Siri – La r&s è molto importante perché dobbiamo limare tutte le criticità che l’idrogeno comporta – dalla produzione fino allo stoccaggio –. Dobbiamo essere celeri».

La Missione 2 del Pnrr è dedicata alla transizione ecologica

Di questi 3,6 miliardi di euro messi sul piatto dal Pnrr, 2 miliardi dovrebbero andare ai settori industriali hard to abate per effettuare progetti di decarbonizzazione su base idrogeno. «È importante iniziare a fare programmi sia a pilota sia a scala – prosegue Siri – perché una maggiore capacity produttiva installata ed un conseguente maggiore utilizzo da parte dei consumatori finali, comporta una maggiore conoscenza del prodotto, con conseguente diminuzione dei costi. Abbiamo stanziato 3,6 miliardi ma non dobbiamo fermarci qua: altri Paesi come l’Olanda o la Germania hanno già identificato metodologie che andranno implementate per andare a incentivare l’utilizzo dell’idrogeno nei settori industriali».

Investimenti, trasporto, retrofitting, rapidità: le sfide dell’idrogeno per decarbonizzare l’industria

Andrea Siri, project leader di Bcg

L’idrogeno è un combustibile pulito e ad alta efficienza di conversione, ma la sua produzione è energy intensive, cioè richiede un significativo dispendio di energia per essere reso fruibile per i più diversi scopi. Non solo: per produrlo al momento nella maggior parte dei casi si ricorre all’impiego di combustibili fossili. La produzione di idrogeno low carbon è invece un procedimento complesso e molto costoso. L’H2 sarà cruciale per raggiungere l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura globale entro il limite di 1,5°C, stabilito dagli accordi di Parigi sul clima, ma come si possono raggiungere simili risultati?

«L’idrogeno porta con sé quattro grandi sfide – ci racconta Siri – La prima consiste nel capire come rendere attrattivi gli investimenti in questa tecnologia, affinché possa davvero diventare un’energia di transizione competitiva. E questo potrà accadere solo se riusciremo a capire come coprire il green premium».

Il secondo punto riguarda la tematica di trasporto, stoccaggio e infrastruttura, che ad oggi è inesistente «Dobbiamo rendere l’idrogeno disponibile ai consumatori finali nel luogo in cui lo devono utilizzare. Solo in questo modo il suo impiego diventerà capillare».

La terza sfida è di carattere meramente industriale, e concerne il retrofitting degli impianti produttivi. «Una volta prodotto e trasportato a destinazione, spesso l’H2 non è fruibile dall’utente finale con l’installato esistente. Molte imprese dovranno compiere ingenti investimenti per adattare plant e procedure». Si tratta di un problema di enorme portata, che necessiterebbe di una seria e chiara politica industriale.

Il quarto elemento è trasversale, relativo alla rapidità. «Dobbiamo raggiungere il 10/12% di consumo energetico proveniente dall’idrogeno entro il 2050. Inutile negare: siamo estremamente indietro. L’obiettivo è certamente molto ambizioso, per centrarlo è necessario muoversi in fretta».

Imprese hard to abate a rischio

Per servirsi solo di H2, i player industriali dovranno effettuare investimenti sugli impianti, tramite retrofit o acquisto di bruciatori di diversa tipologia che possano lavorare al 100% a idrogeno

La decarbonizzazione dell’industria porterà alla creazione di nuovi modelli di business, innescati dai nuovi paradigmi dell’innovazione. Me se ci sono comparti che utilizzano già l’idrogeno, esistono industry per le quali la sfida alla riduzione delle emissioni sarà più complessa e onerosa. Chimica e raffinazione, per le loro produzioni, si servono dell’idrogeno grigio (derivato da combustibili fossili): shiftare da questo a quello low carbon non sarà complicato perché la molecola è la medesima, sarà solamente un problema di approvvigionamento.

Maggiori difficoltà le dovranno affrontare le altre imprese altamente energivore, che potrebbero utilizzare forni o impianti a metano. In questi casi integrare l’idrogeno sarà estremamente complesso, non solo per la riconversione di interi sistemi ma anche per la loro messa in sicurezza. «Per poter continuare ad usare impianti e fornaci esistenti una opzione è quella del blending, ossia mischiare il metano con una quota parte di idrogeno – commenta Siri – il quale però porta solo ad una parziale decarbonizzazione a meno di sostituzione del metano fossile rimanente con biometano. Mentre per servirsi solo di H2, i player industriali dovranno effettuare investimenti sugli impianti, tramite retrofit o acquisto di bruciatori di diversa tipologia che possano lavorare al 100% a idrogeno. Inoltre, utilizzare l’idrogeno rispetto alle molecole attuali richiede un adattamento delle procedure di sicurezza, specialmente se l’azienda decidesse di produrre idrogeno presso lo stabilimento produttivo. In questo caso dovrebbe installare un elettrolizzatore ed un impianto di stoccaggio nel sito di produzione, adattando di conseguenza le procedure di sicurezza».

Il nuovo mercato dei produttori di energia

Il produttore di energia a idrogeno deve lavorare in ottica di ecosistema, agendo in concerto con i consumatori finali: deve comprenderne le esigenze, capire le quantità di cui il consumer necessita e in quale location. «Il produttore energetico deve assicurarsi la domanda prima di procurarsi capacity dove magari può non servire, ma si deve anche assicurare il feedstock – chiosa Siri – Per produrre idrogeno verde servirà energia elettrica rinnovabile, mentre per quello blu gas».

Dal verde al blu: tutti i colori dell’idrogeno. E come si producono

L’Eni è una delle aziende che più ha investito sull’idrogeno

Per limitare l’incremento della temperatura globale a 1,5°C. serviranno addirittura 565 milioni di tonnellate di idrogeno. Un obiettivo che potrà essere centrato solo utilizzando più tecnologie estrattive, calibrate Paese per Paese a seconda delle fonti energetiche disponibili e del grado di sviluppo delle infrastrutture.

Tra i diversi colori abbiamo l’idrogeno verde, che viene estratto dall’acqua usando la corrente prodotta da energie rinnovabili, come il solare, o il fotovoltaico; si tratta di una soluzione low carbon a impatto zero. Ma esiste anche il blu, ossia l’elemento estratto da idrocarburi fossili dove — a differenza del “grigio” — l’anidride carbonica che risulta dal processo non viene liberata nell’aria bensì catturata e immagazzinata o riutilizzata. Per abilitare questo tipo di idrogeno è necessario che ci sia disponibilità di siti di stoccaggio della co2, con relativa infrastruttura di trasporto che però, attualmente, non è presente.

«La grande sfida è riuscire a incrementare la capacità di energia rinnovabile in maniera economica, anche assicurandosi energia elettrica nei siti più competitivi – ci spiega Andrea Siri – E dobbiamo agire in modo veloce: in Europa per realizzare un impianto eolico o fotovoltaico ci vogliono circa 6 anni per l’onshore, fino a 8 per l’offshore (dall’individuazione del sito fino alla realizzazione). Con i target molto sfidanti che dobbiamo soddisfare è necessario che questo processo venga sburocratizzato e snellito».

«Un’altra grande opportunità deriva dallo sfruttare lover produzione di energia elettrica. Essendo che oggi– dichiara Siri – non sono presenti tecnologie competitive di batteria a scala, la produzione di idrogeno può essere un modo per stoccare l’energia da over produzione».

Elettrificazione diretta: i vantaggi per l’industria

Difficilmente l’energia elettrica rinnovabile viene destinata per la produzione di idrogeno: viene usata infatti per l’elettrificazione diretta che, ove applicabile, è il metodo più veloce e sostenibile per decarbonizzare. Tuttavia, ci sono alcuni usi finali che ad oggi sono più difficili da decarbonizzare tramite un processo di elettrificazione diretta. Qui è dove l’idrogeno low carbon può penetrare per realizzare la piena decarbonizzazione: si tratta dei comparti hard to abate. Ad esempio, nelle acciaierie si richiedono temperature talmente elevate che non sempre i bruciatori elettrici sono in grado di raggiungere quelle temperature. Che possono invece essere ottenute da bruciatori a H2.

L’industria è fra i primi responsabili delle emissioni dirette (Scope 1). In particolare, in Italia sono i settori della chimica, della ceramica e della siderurgia quelli più energivori e che potrebbero ridurre di molto le loro emissioni utilizzando l’idrogeno. Fonte: Bcg)

Campi fotovoltaici, turbine eoliche galleggianti, biomasse: le tecnologie per aumentare la produzione

Per produrre metà dei 565 milioni di tonnellate di idrogeno e derivati servirebbe un campo fotovoltaico di 30mila metri quadrati, della dimensione all’incirca del Belgio! Solo il 20% della superficie terrestre è poi adatta a produrre energia solare a un costo inferiore ai 30 dollari per megawattora, competitivo quindi con i combustibili fossili. Il 75% di questa terra si trova in Sudamerica, Medioriente e Africa, candidati a diventare mega-hub per l’estrazione ed esportazione dell’idrogeno. Moduli fotovoltaici galleggianti in mare potranno poi ridurre il consumo di suolo, aumentando anche fra il 5 e il 10% l’efficienza grazie al naturale potere refrigerante dell’acqua. Al largo delle coste ci sarà anche spazio per turbine eoliche galleggianti, capaci di generare dal 10 al 20% in più rispetto alle equivalenti terresti.

Renato Mazzoncini, amministratore delegato di A2a, realtà che sta investendo molto sull’idrogeno

Ad oggi per la produzione di idrogeno ci si avvale degli elettrolizzatori a tecnologia pem (polymer electrolyte membrane) e di quelle alcaline (opera a bassa temperatura, ha un basso costo di capitale ma è meno flessibile della pem), ma si sta facendo r&s per altre tipologie di celle elettrolitiche che abbiano un’efficienza maggiore. «Di celle elettrolitiche non c’è ancora una grandissima produzione a scala », commenta Siri. Ma per vincere la sfida dell’idrogeno verde è necessario che ci sia disponibilità di elettrolizzatori».

L’idrogeno può essere generato anche dalle biomasse e dal waste: in questo caso si darebbe vita a un interessante caso di economia circolare. Ma il “waste to X“ in genere prioritizza la produzione di biofuel. Infine, esiste una riserva naturale di idrogeno in Mali, puro al 98%; sono stati recentemente scoperti giacimenti anche in Brasile, Australia e Nord America. Ma non è ancora chiara la competitività e la quantità delle riserve disponibili.

«Se vogliamo centrare gli obiettivi, dovremmo ampliare le tecnologie esistenti e studiare meglio le nuove fonti come riserve naturali e waste – chiosa Siri – Non solo investendo in ricerca e sviluppo, ma anche facendo progetti a pilota e a scala».

Tubi, carri bombolai, navi: le modalità di trasporto dell’idrogeno. Pro e contro

Il trasporto dell’idrogeno, in maniera sicura ed economica, è difficoltoso e rende ancora complesso l’utilizzo di questo elemento su larga scala. Sono essenzialmente tre le modalità di trasferimento: carri bombolai, tubi, e navi. I primi sono utilizzabili per coprire brevi distanze, mentre lo shipping abilita gli spostamenti tra continenti.  L’opzione più realistica è quella del tubo: nelle reti attuali è già possibile il trasporto “blend” in limitate percentuali, mentre per spostare idrogeno al 100% l’infrastruttura esistente andrà necessariamente aggiornata.














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