Bcg: la bolla della tv via streaming sta per scoppiare?

Nel 2020 i budget per le produzioni hanno superato i 160 miliardi di dollari, ma nonostante l'aumento degli abbonati i costi crescono. E il lockdown rallenta le produzioni

Fonte: Nielsen Total Audience Report,2019; Bcg analysis

La diffusione della tv via streaming è cresciuta in maniera impressionante negli ultimi 15 anni, così come i costi per la produzione dei contenuti, che nel 2020 hanno raggiunto la soglia dei 160 miliardi di dollari, 17,5 dei quali spesi dalla sola Netflix, uno dei player più importanti del settore. L’industria TV ha visto nascere nuove geografie, con centri di produzione in Turchia, Corea del Sud e Spagna, e nuovi equilibri, in cui le emittenti classiche rappresentano oggi solo il 65% della spesa per i contenuti (rispetto al 90% di dieci anni fa) e gli Over the Top il 17%.

Il futuro? Secondo Bcg non è detto che sia roseo, come evidenziato nel report Will Peak Tv Burst The Video Content Bubble?. A suscitare preoccupazione è innanzitutto l’aumento vertiginoso dei costi. In dieci anni la spesa totale per contenuti TV è quasi raddoppiata, passando dagli 87 miliardi di dollari del 2010 ai 160 del 2020 (di cui 39 miliardi per diritti sportivi, 52 per diritti cinematografici e televisivi, 69 per contenuti originali), mentre la quota dei broadcaster è diminuita a vantaggio degli Over the Top. Il pubblico si è abituato a produzioni di alto livello e un singolo episodio di una serie TV costa tra i 10 e i 15 milioni di dollari, uno show della TV via cavo americana 3/4 milioni di dollari. Di conseguenza, la redditività è in calo e non tutte le realtà riescono a fare fronte ai necessari investimenti. Il secondo segnale di allarme è l’eccesso di quantità, che rischia di soffocare gli spettatori con circa 600.000 titoli a disposizione (dato USA 2019), che impiegano mediamente 7 minuti di tempo per individuare quello preferito.







Nonostante i timori iniziali, però, lo scoppio della pandemia non ha coinciso con lo scoppio della bolla. Al contrario, sono aumentati gli utenti, sono cresciute le ore guardate e le sottoscrizioni alle piattaforme streaming digitali: al primo posto c’è Netflix, con il 24% di abbonamenti, poi Amazon con il 16% e Disney+ con il 15%. Ma la corsa alle sottoscrizioni ha conseguenze sulla tipologia di offerta. Anche a fronte di un prevedibile calo degli utenti al termine della pandemia, le grandi piattaforme di streaming oggi privilegiano la varietà, che fa aumentare il numero di abbonati, alla longevità: più produzioni, per serie TV da due stagioni al massimo. Dal 1991 al 2000 gli show che raggiungevano la sesta stagione erano il 29%, dal 2001 al 2010 il 19%, dal 2010 al 2019 appena il 4%.

Il problema attuale riguarda soprattutto la produzione di nuovi contenuti, resa più difficile dalle restrizioni del lockdown. La strozzatura porterà a carenze di show nel breve periodo e sovrabbondanza nel medio. Cosa succederà? Secondo Bcg prospettiva di un “peak Tv” è ancora remota: la bolla anche dopo la pandemia non esploderà ma si modificherà a seconda dei luoghi e delle abitudini, orientandosi sulle abitudini dello spettatore. Continuerà la guerra tra produttori di programmi scripted di alto livello e piattaforme streaming, con costi e qualità ancora in crescita. Cresceranno le piattaforme di contenuti user-generated come quelle di TikTok, Facebook, Twitter (con costi più snelli), oppure offerte di nicchia che sapranno fidelizzare il consumatore. In questo quadro, secondo Bcg i costi continueranno a crescere e tutti i protagonisti del settore dovranno adeguarsi con strategie e business model equilibrati, individuando il giusto cocktail di contenuti, costi, target e strategia di riferimento. La differenza la farà la capacità di rimanere in equilibrio, con la giusta flessibilità.














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