Ashley Grice: che cosa è il Purpose Consulting e come crea valore economico

Ashley Grice*♦︎ Un articolo della ceo di Bcg Brightouse, la società che si è inventata il Purpose Consulting. Per renderlo trasformativo deve plasmare le strategie di M&A e di R&S, il portafoglio prodotti, i processi interni e le attività di rappresentanza. Il Purpose di Boston Consulting Group? Sbloccare il potenziale delle persone! Per farlo è necessario delineare un set di competenze ad hoc e la loro evoluzione nel tempo

In passato riflettere sul Purpose aziendale era un impresa ardua e sfidante. Un importante articolo di Hbr, che risale al 1994, riporta che: “Nella maggior parte delle aziende contemporanee, le persone non sanno più – e nemmeno si preoccupano – di cosa facciano o del perché esistano le loro realtà” e che “le strategie adottate dalle aziende possono innescare legami emotivi forti e duraturi solo quando sono strettamente connesse ad un Purpose organizzativo più ampio”. All’epoca, il Purpose corrispondeva ad un’idea dirompente, che ricordava alle aziende quanto si fossero allontanate dalla loro “ragion d’essere” al fine di ricostruirla, riformularla e ad organizzarsi intorno ad essa.

Tuttavia, come molte nuove idee nel mondo degli affari, ciò che nasce come una provocazione può facilmente diventare una parola vuota, una comoda routine o persino una scusa per non affrontare le questioni più difficili. In effetti, l’interesse per il Purpose è aumentato, ha raggiunto un picco e poi è diminuito, suggerendo che questo concetto – come la Csr, l’agilità e altre idee aziendali inizialmente potenti – è stato abusato fino a stemperarsi.







Il fatto che, nel corso del tempo, il Purpose abbia perso il suo potere lo si nota dalla facilità con cui al giorno d’oggi viene formulato e dal fatto che, piuttosto che stravolgere il funzionamento dell’azienda, si limita spesso a descriverlo. Probabilmente, questo modus operandi non crea molto valore aggiunto, eppure i motivi per riflettere sul Purpose sono diventati sempre di più e sempre più prioritari. Come possiamo, quindi, ritornare a quel concetto forte di Purpose e abbandonare definitivamente l’ambiguità, l’autocompiacimento e la ritualizzazione che si sono affermati attorno a questa nozione?

 

Aspirazione, bisogni dell’ambiente esterno e azione: è da qui che nasce il Purpose

Ashley Grice è Ceo & Managing Director, Bcg BrightHouse Consulting Atlanta – BrightHouse

Il Purpose nasce dall’intersezione di tre fattori chiave: aspirazione, bisogni dell’ambiente esterno e azione. È un’aspirazione di lungo periodo derivante da un’esigenza del mondo che un’azienda è disposta e in grado di soddisfare, utilizzando i punti di forza intrinseci già posseduti o le capacità che potrebbe sviluppare in futuro. Ad esempio, l’azienda più antica del mondo, l’impresa edile giapponese Kongō Gumi, descrive il suo Purpose in questo modo: “Kongō Gumi costruisce santuari e templi che favoriscono e infondono calma nella vostra mente”. Anche se l’azienda ha probabilmente riformulato questo Purpose in molti modi nel corso del tempo, e la sua offerta e le sue attività si sono evolute, ha continuato a perseguire il suo valore fondamentale di trasmettere calma nella mente delle persone fin dalla sua fondazione, avvenuta circa 1.440 anni fa.

Alla base del Purpose ci sono una serie di tensioni. In primis c’è la tensione tra idealismo e realismo: da un lato, c’è l’ideale di spingere l’azienda a diventare qualcosa di più grande di quello che è attualmente, ma dall’altro, si persiste nel respingere quei contenuti e discorsi che esprimono intenzioni talmente alte da non corrispondere affatto alla volonta e alla capacità d’agire dell’azienda. La realtà senza ideali, però, non porta da nessuna parte, alla pari, gli ideali senza una base di realismo sono altrettanto infruttuosi: in un modo o nell’altro si finisce per ignorare l’ideale o per fingere di viverlo già. Si ha poi la tensione tra immaginazione e bisogni esistenti. Si può essere guidati da un sogno – ad esempio la vita delle persone o la società – usandolo come base per creare un nuovo bisogno, oppure si può partire dal soddisfare un bisogno concreto e già esistente. La soddisfazione di bisogni esistenti è probabilmente l via più semplice e concreta, ma comporta meno differenziazione. Dare invece forma a bisogni non ancora esistenti garantisce maggiori possibilità di unicità e di profitto, ma intermini di fattibilità, questo è sicuramente più complesso.

C’è poi la tensione tra il voler avere un impatto positivo sulla società e il perseguimento della redditività finanziaria. Quando la risposta a un ideale non può generare un ritorno economico, il Purpose necessariamente non sarà sostenibile. D’altra parte, quando il bisogno è inteso come una mera esigenza da soddisfare con la fornitura di un prodotto, il Purpose non può di certo essere stimolante. La tensione, in questo caso, si ha tra la soddisfazione di un bisogno sociale e il mantenimento economico dell’intera macchina aziendale per supportare il Purpose in modo che sia economicamente sostenibile. Infine, c’è la tensione tra la necessità di mantenere il Purpose coerente nel corso del tempo e il suo adattamento alle condizioni mutevoli dell’ambiente esterno. Da un lato, il Purpose che viene infranto o modificato troppo facilmente non è una buona base per un’identità duratura nel tempo. Dall’altro, però, occorre tener presente che aspirazioni, bisogni e capacità cambiano nel tempo, come indicato dal triangolo tratteggiato nell’immagine sottostante: è dunque naturale che, anche se il Purpose dura nel tempo, il modo in cui lo si utilizza si evolve parallelamente ai cambiamenti generati dalle sperimentazioni e dagli apprendimenti in un mondo che di per se è in continua evoluzione. In sostanza, un buon Purpose integra e bilancia tutte queste tensioni: si tratta di innescare un equilibrio tra idealismo (che fa riferimento a un’aspirazione) e realismo (che non esclude le verità più spiacevoli), soddisfacendo in maniera originale dei bisogni autentici. Contemporaneamente, il Purpose suggerisce un percorso per avere un impatto, attirando e mantenendo risorse sufficienti a tale scopo e lasciando spazio all’evoluzione del pensiero e dell’azione.

Alla base del Purpose ci sono una serie di tensioni. In primis c’è la tensione tra idealismo e realismo. Si ha poi la tensione tra immaginazione e bisogni esistenti. C’è poi la tensione tra il voler avere un impatto positivo sulla società e il perseguimento della redditività finanziaria. Infine, c’è la tensione tra la necessità di mantenere il Purpose coerente nel corso del tempo e il suo adattamento alle condizioni mutevoli dell’ambiente esterno

 

Creare pensieri innovativi e migliorare la resilienza: ecco perché abbiamo bisogno del Purpose 

Abbracciare un Purpose offre numerosi vantaggi alle organizzazioni. Il Purpose, infatti, può allineare le diverse parti di un’azienda, definendo quel valore aspirazionale condiviso che le tiene insieme. Può dare la prova di come ciò che l’azienda fa sia significativo e stimolante: come il lavoro quotidiano – ad esempio, costruire le mura di un tempio giapponese, produrre tergicristalli, monitorare i post sui social media – contribuisca a un obiettivo superiore ed assoluto. Il Purpose può creare una base per il pensiero innovativo, evidenziando il divario tra idealismo e realismo e delineando nuovi prodotti e servizi che devono essere sviluppati per colmare tale gap. Ma non solo: il Purpose può aiutare le organizzazioni ad essere resilienti di fronte ai cambiamenti aziendali e sociali, compreso il turnover del personale in azienda. In questo caso, i nuovi arrivi in azienda ereditano uno scopo guida da fare proprio e da declinare in modo individuale nelle circostanze professionali più dverse. Ci sono diversi motivi per cui oggi è prioritario avere un Purpose corretto e coerente, uno fra tutti è la crescente pressione che grava sulle spalle dei leader aziendali. In un sondaggio del 2018, condotto su individui di 28 diversi Paesi, circa l’80% degli intervistati ha dichiarato di aspettarsi che gli amministratori delegati esprimano chiaramente il Purpose dell’azienda, e circa il 75% di essi si aspetta che gli AD parlino di come la loro azienda sia effettivamente utile alla società.

Un Purpose coerente permette di rispondere alla polarizzazione politica delle democrazie e al crescente impatto delle questioni sociali sulle imprese. Di certo, non tutte le aziende vengono trascinate davanti alle autorità di regolamentazione come è successo per Facebook e Twitter, tuttavia, affinché esse abbiano un rapporto sano con clienti, autorità di regolamentazione e altri stakeholder, devono dare conto del valore aggiunto che il proprio operato ha sulla società. In aggiunta, le grandi dimensioni aziendali e la crescente complessità, sia interna che esterna, rendono sempre più necessaria la creazione di una narrazione ampia supportata da una serie di principi chiave. Come è noto, molti dipendenti denunciano il fatto di essere poco ingaggiati nel lavoro che svolgono – percentuale che si attesta all’85% per un recente studio della Gallup. Oggi, per molte persone, le organizzazioni non trasmettono abbastanza l’energia ed il coinvolgimento che si ottengono prendendo parte ad uno sforzo condiviso e finalizzato a raggiungere un Purpose valido e ben definito.

l’interesse per il purpose è aumentato, ha raggiunto un picco e poi è diminuito, suggerendo che questo concetto – come la Csr, l’agilità e altre idee aziendali inizialmente potenti – è stato abusato fino a stemperarsi

 

Come si rende il Purpose realmente trasformativo?

Quando si parla di Purpose, il rischio più comune è che esso venga facilmente banalizzato e trasformato in uno slogan consuetudinario. Dopo un primo periodo di entusiasmo iniziale, infatti, la familiarità che si instaura con il Purpose potrebbe far passare in secondo piano quel pensiero originario che lo ha concepito. La stessa cosa accade quando abbiamo intenzione di realizzare un progetto molto grande, spesso ci concentriamo talmente tanto sui mezzi da utilizzare, che facilmente mettiamo in secondo piano il fine ultimo delle nostre azioni. Ecco che ci si accontenta di mantenere le routine esistenti, di realizzare prodotti semplici attraverso processi familiari e ben definiti, evitando le domande e le tensioni difficili che la profonda ricerca di un Purpose comporterebbe. In che modo si possono dunque ripristinare i benefici del Purpose e renderlo un concetto utile e realmente trasformativo? A tal proposito, occorre affrontare alcune questioni e imperativi non semplici. Il Purpose deve spingere ad andare oltre la propria zona di comfort. Quando si mette in piedi un Purpose, si genera un divario tra aspirazione e realtà. Il Purpose deve essere un campanello d’allarme e deve far percepire che quello che si sta facendo, probabilmente, non sarà sufficiente. Sia l’intuizione del “che cosa”, che del “perché” di un’azione derivano proprio dalla riflessione su questo divario e trascurare l’uno o l’altro elemento ci limiterebbe e ci farebbe restare ancorati alla nostra zona di comfort, ma ridurrebbe anche l’interesse e la motivazione ad agire. Per esempio, il Purpose di Nestlé è “migliorare la qualità della vita e contribuire ad un futuro più sano”. Per essere efficace, questo Purpose deve essere dirompente. Il Purpose deve spingere Nestlé a chiedersi: come possiamo contribuire di più e meglio? Rispondere a questa domanda dovrebbe stimolare l’immaginazione, portando a idee di nuovi prodotti e servizi, a operazioni di M&A in nuovi settori e a una leadership aziendale interessata alla qualità della vita e la salute dei propri stakeholder.

Creare un Purpose significa dare chiarezza ad un’idea senza tempo. Per questo potrebbe essere utile indagare a fondo le radici di un’azienda: il Purpose dovrebbe essere legato all‘identità strutturatasi nel tempo e, guardare alle motivazioni e alle ispirazioni passate, potrebbe aiutare ad individuare un filo conduttore. Tuttavia, il modo più semplice per scrivere un Purpose consiste nell’elaborare un breve riassunto di ciò che l’azienda ha fatto fino a quel momento; il modo più difficoltoso, ma produttivo, è invece quello di prefigurarsi un “bene” fondamentale e senza tempo da perseguire, che costituirà il cuore del Purpose in futuro, anche se il modo in cui questo bene verrà articolato e raggiunto si evolverà nel tempo. Soddisfare un bisogno significa generare un beneficio per le persone attraverso un “bene”, elemento prezioso, che può essere descritto in molti modi differenti: un bene generico per le persone (sensazione di gioia), un prodotto o un servizio di valore (sedie da ufficio, terapie) o un momento particolarmente significativo (come la condivisione di storie tra amici). I Purpose migliori sono proprio quelli correlati a un “bene” senza tempo, strettamente connesso a sua volta all’idea di benessere collettivo. Ad esempio, una banca potrebbe aver basato il suo intero operato su elementi quali la convenienza e la sicurezza, ma potremmo intendere il “bene” o valore sottostante come, ad esempio, il voler educare le persone ad organizzare al meglio il proprio denaro e ad assumere una maggiore consapevolezza sulla gestione delle proprie finanze. La definizione di questo “bene superiore” inteso come aspirazione genera una tensione scomoda ma necessaria tra il passato e il presente.

Soddisfare un bisogno significa generare un beneficio per le persone attraverso un “bene”, elemento prezioso, che può essere descritto in molti modi differenti: un bene generico per le persone (sensazione di gioia), un prodotto o un servizio di valore (sedie da ufficio, terapie) o un momento particolarmente significativo (come la condivisione di storie tra amici). I purpose migliori sono proprio quelli correlati a un “bene” senza tempo, strettamente connesso a sua volta all’idea di benessere collettivo

Il Purpose richiede una riflessione su alcuni fattori chiave. Il fatto che un Purpose sia solo uno slogan o un’aspirazione verso cui tendere dipende dalla profondità dell’interpretazione che c’è dietro. Se un’azienda ha come Purpose il voler “portare felicità nel mondo”, ad esempio, dovremmo indagare che cosa l’azienda stessa intende per felicità. Perché la felicità è ritenuta importante? Quando si manifesta effettivamente e per quanto tempo? Cosa la rende davvero autentica e non superficiale? E in che modo l’azienda in questione collega il concetto di felicità alle sue capacità, attuali e future? Prendiamo ad esempio il Purpose di Boston Consulting Group: “sbloccare il potenziale di coloro che fanno progredire il mondo”. Il bene senza tempo, in questo caso, sta nella capacità di sbloccare il potenziale delle persone e, per perseguirlo seriamente, occorre chiedersi come poterlo fare. Per rispondere alla domanda diventa necessario delineare un set di competenze ad hoc e la loro evoluzione nel tempo, in modo che il Purpose indirizzi l’agire d’impresa in maniera sempre più efficace. Tutto questo comporta indubbiamente una riflessione approfondita che potrebbe indurre il management ad uscire dalla propria zona di comfort, tuttavia, se si agisce con il giusto rigore, l’azienda potrebbe conformarsi ad un nuovo e più stimolante modello organizzativo. Il Purpose richiede una comunicazione trasparente. Il Purpose è un elemento condiviso, ne consegue che la mancanza di una sua buona comunicazione potrebbe comprometterlo. Spesso la tentazione di molte aziende è quella di comunicare il Purpose concentrandosi esclusivamente sugli aspetti positivi e ciò è comprensibile dato che l’obiettivo finale cui tutte le imprese ambiscono è far apparire accattivante e desiderabile la propria attività o i propri prodotti. Inevitabilmente, però, agire in questo modo porta a trascurare la natura intrinseca del business, che è invece tortuosa e complicata.

Focalizzarsi solo su elementi positivi può dunque finire per avere poco effetto: le persone vedono il Purpose come un’immagine patinata e sentimentale che ha poco a che fare con la natura reale del lavoro. Un’opzione migliore potrebbe essere piuttosto quella di trasmettere in modo trasparente il divario che sussiste tra l’ideale e la realtà, si tratta di un’ulteriore sfida che compromette l’agiatezza di operare nella solita zona di comfort ma che rappresenta il primo passo verso la coerenza. Il Purpose dovrebbe indurre ad intraprendere nuovi percorsi. Un altro compito del Purpose è quello di spingere le imprese ad agire lungo nuove direzioni, anziché limitarsi a preservare sullo status quo. Dovrebbe quindi plasmare le strategie di M&A e di R&S, il portafoglio prodotti, i processi interni e le attività di rappresentanza aziendale in maniera inconsueta ed inaspettata. Per continuare il nostro esempio precedente, immaginiamo che una banca si ponga l’obiettivo di infondere nei suoi clienti maggiore consapevolezza sulla gestione del proprio denaro. Potrebbe agire in questo senso sviluppando strumenti per aiutare l’autocontrollo, creando un nuovo servizio di educazione finanziaria per gli adolescenti o, più ambiziosamente, acquisendo una società di consulenza per formare i dipendenti di modo che sappiano aiutare le persone a riflettere sulla gestione del patrimonio finanziario. Così facendo, la banca potrebbe diventare una “first-moover” nel suo settore, offrendo servizi innovativi ai suoi clienti. Ecco che lasciare che sia il Purpose a guidare il proprio modo di agire potrebbe portare a scoprire direzioni nuove e potenzialmente vantaggiose. In ultima analisi, creare un Purpose è un esercizio semplice quando non comporta disagi o cambiamenti ma questa non è la strada giusta, le tensioni generate dal Purpose dovrebbero essere ben assimilate perchè sono proprio quelle a costituire la base dell’agire imprenditoriale. Solo in questo modo il Purpose può portare a rivoluzionare lo status quo.

 

*Ashley Grice è ceo & Managing Director, Bcg BrightHouse Consulting Atlanta – BrightHouse













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