Auto elettrica: la scelta della politica che fa balzare i prezzi alle stelle

di Renzo Zonin ♦︎ Nei segmenti A e B - 40% del mercato - il costo arriva al doppio dell’endotermico. Le strategie dei gruppi automotive: dividere le spese di sviluppo e progettare platform modulari. L’alleanza Renault, Nissan e Mitsubishi. Volkswagen: progetto Modularen Quer Baukasten, investimento 9 miliardi. Stellantis: piattaforme Bev. Toyota: 18 miliardi per le batterie. L’industria fa la sua parte. E i governi?

Il vero problema dell’auto elettrica non è l’autonomia, è il prezzo. Soprattutto per le piccole e le medio piccole, ovvero le auto dei segmenti A e B, che insieme costituiscono la maggiore fetta di mercato in termini di unità vendute. In questi segmenti, il prezzo dell’elettrico arriva al doppio dell’endotermico. E questo significa tagliare fuori un enorme numero di clienti. Per riuscire a ridurre i prezzi a un livello accettabile, i produttori stanno facendo alleanze che permetteranno loro di dividere i costi di sviluppo, e di progettare piattaforme modulari che consentano di ottenere maggiori economie di scala.

Tutti inoltre stanno lavorando molto sulle batterie, che a oggi rappresentano una parte importante del costo del veicolo elettrico. In generale, tutti i maggiori gruppi automotive hanno elaborato una strategia (e stanziato capitali) per essere pronti all’appuntamento con la data fissata dalla politica, in particolare dalla Commissione Europea, che vuole l’endotermico morto entro il 2035. Ma di sicuro avrebbero preferito gestire il passaggio in altro modo e con altri tempi. Vediamo dunque come si stanno muovendo i produttori per mettere a listino auto elettriche a prezzi accettabili, e cosa sta facendo la politica per il settore.







Costi dell’elettrico: divario massimo per i segmenti A e B

Volkswagen Cross Coupe electric

Nel mercato automobilistico europeo, il segmento B è quello numericamente più consistente, e insieme al segmento A (quello delle citycar) costituisce circa il 40% dei volumi. Per queste tipologie di automobili, la forbice di prezzo fra un modello endotermico e uno elettrico è elevatissima: parliamo di una maggiorazione che va dal +50 al +80% per la maggior parte dei modelli. E per questa fascia di mercato, dove il prezzo è la prima discriminante, una differenza così elevata equivale a perdere la gran parte della clientela. Soprattutto in Italia, unico Paese europeo dove gli stipendi sono da anni in calo, e dove la classe media si sta rapidamente impoverendo. C’è il rischio concreto che quando scatterà il blocco ai motori endotermici, voluto dall’Europa per il 2035, molte famiglie non saranno più in grado di permettersi un’autovettura, con tutte le conseguenze del caso sull’industria automobilistica. Questo i produttori lo sanno benissimo, e infatti da tempo assistiamo a una serie di mosse che mirano prima di tutto a far scendere i costi di produzione, e in seconda battuta a far sì che i prezzi al pubblico (e i costi di mantenimento delle autovetture elettriche) siano compatibili con i potenziali clienti.

NIssan’s electric car “Nissan Leaf”

Le iniziative in atto vanno dalla costituzione o dal rafforzamento di alleanze fra costruttori, per far leva sulle economie di scala, allo studio di tecnologie capaci di ridurre il costo delle componenti più costose – in particolare, della batteria – per arrivare fino alle pressioni sulle istituzioni nazionali e sovranazionali per ottenere incentivi all’acquisto e sgravi fiscali (bollo eccetera) per i consumatori, nonché lo stanziamento di fondi pubblici per finanziare la ricerca scientifica e tecnologica nel settore automotive. Il tutto, agitando lo spettro di una filiera della componentistica fortemente a rischio (si calcola che solo in Italia verranno perduti, nel passaggio all’elettrico, circa 70.000 posti di lavoro fra i componentisti), di chiusure di stabilimenti (vedi l’impianto di Bosch a Bari, con 700 esuberi già annunciati) e del pericolo di lasciare il mercato ai cinesi, fra i maggiori produttori mondiali di veicoli elettrici. Tra parentesi, questi ultimi stanno già organizzandosi per aggirare eventuali manovre protezionistiche che l’Europa potrebbe essere tentata di adottare in futuro: senza dare troppo nell’occhio, hanno già cominciato a posizionare propri avamposti nel vecchio continente, sbarcando con propri stabilimenti sia in Italia che in Germania. E nel frattempo, gli stessi car maker europei ed americani (da Stellantis a Ford, a General Motors) stanno creando alleanze con i produttori cinesi, che hanno un vantaggio notevole su quasi tutti gli altri in termini di costi di produzione, tecnologia delle batterie, componentistica eccetera. Insomma, non si potrà prescindere dai cinesi, né come fornitori, né come concorrenti.

Mercati diversi, prodotti diversi

Wuling MiniEV, in Cina si vende a partire da 5.250 euro per il modello con 120 km di autonomia

In Europa e negli Usa, per anni le storie di successo delle auto elettriche hanno riguardato prevalentemente modelli di fascia media o alta, dalle Tesla (i cui modelli entry level viaggiano comunque sopra i 30.000 euro) alle varie supercar di impostazione sportiva. Non così in Cina, dove da oltre un anno il modello più venduto (superando la Tesla Model 3, stabilmente seconda) è la Hongguang Mini EV, prodotta dalla joint venture fra Saic e Gm e commercializzata con il brand Wuling. È una macchina a 4 posti “cinesi”, poco più grande di una Smart ed esteticamente “simile” alla penultima Panda, che viene venduta a meno di 4.000 euro e viaggia sui 100 Km/h con 170 km di autonomia. Ne esiste anche una versione leggermente più lunga e potente, con autonomia raddoppiata a circa 300 km, che costa solo poco di più in quanto permette di accedere al contributo governativo sui veicoli elettrici, pari a circa 2.000 euro. L’unico oggetto di prezzo vagamente simile che si possa comprare qui in Europa è la Citroen Ami, uno spartano quadriciclo elettrico a due posti, velocità di 45 Km/h e autonomia di circa 75 km, che con gli incentivi si può avere per circa 5.000 euro. Ma per una Smart o una Twingo elettriche, simili come dimensioni e autonomia alla cinesina, si superano i 20.000 euro. E la Dacia Spring è appena sotto questa cifra. Il fatto è che il grosso delle vendite di automobili in Italia e in Europa non riguarda né le supercar, né i quadricicli, bensì i segmenti A e B, ovvero utilitarie e berline compatte. In Italia, in particolare, le tre auto più vendute sono la Panda, la 500 e la Lancia Y, modelli con prezzo base fra i 12 e i 15 mila euro.

Sfruttando gli incentivi, con circa 5.000 euro in Europa si può comprare la Citroen Ami, un quadriciclo elettrico con autonomia di circa 70 km

L’unica già disponibile in versione full electric è la 500, che parte da circa 26.000 euro – praticamente il doppio della versione base a benzina – ed è l’elettrica più venduta nel nostro Paese, seguita a distanza da altre tre “piccole” (Smart, Twingo e Dacia Spring). Presto verrà presentata la nuova Panda elettrica, basata sul “Concept Centoventi” e pensata fin dall’inizio per ridurre il divario di costi con la sua progenitrice endotermica. Quello sarà il primo banco di prova per capire se gli europei potranno competere con successo nella fascia di mercato numericamente più rappresentativa. Ma è ogni giorno più chiaro che nessuno può ottimizzare da solo i costi di tutte le tecnologie presenti in un veicolo elettrico. Da diversi anni i produttori di automobili si stanno accorpando in grossi gruppi, principalmente per sfruttare le economie di scala in un mercato sempre più globale e con margini sempre più ridotti a causa della concorrenza. Il futuro passaggio alla trazione elettrica ha accentuato questa tendenza, tanto che oggi la maggior parte dei brand mondiali agisce all’interno di un qualche tipo di raggruppamento industriale o di un’alleanza più o meno estesa, o ancora stipula accordi di strettissima collaborazione con le aziende che fanno parte della sua supply chain, che diventano sempre più partner e sempre meno fornitori.

L’alleanza Renault, Nissan e Mitsubishi

La piattaforma Cmf-b sulla quale è basata l’attuale Renault Clio

Un esempio è Alliance, ovvero l’accordo fra Renault, Nissan e Mitsubishi (che conta anche sui marchi Alpine, Infinity e gli altri sotto l’ombrello Renault, vedi Dacia). In una recente conferenza congiunta, i Ceo delle tre case hanno delineato il piano Alliance 2030, ovvero le strategie comuni per produrre auto nel prossimo decennio – principalmente vetture elettriche, ma non esclusivamente, perché in molti mercati dove l’Alliance opera, la richiesta di veicoli elettrici è ancora scarsa e i regolamenti per il futuro non sono così stringenti come quelli europei. Le economie di scala giocano una parte importante nell’accordo: secondo Makoto Uchida, Ceo di Nissan, l’Alliance, che attualmente vende 100 modelli di vetture con il 60% di parti in comune, arriverà in futuro ad avere in catalogo 90 modelli con l’80% di parti in comune. I tre produttori stanno lavorando già da tempo su un sistema di piattaforme comuni modulari, chiamate Common Module Family, e pensate per i vari segmenti di mercato. Ogni piattaforma è composta da cinque gruppi di elementi intercambiabili (motorizzazione, cruscotto, assale anteriore, assale posteriore, impianto elettrico/elettronico), ciascuno dei quali si può montare su diverse piattaforme. Di fatto, una sorta di gioco del Lego: con un numero limitato di componenti si possono creare diverse piattaforme e un numero elevatissimo di modelli di auto, che condividono la maggior parte dei pezzi. Il Cmf-a, per il segmento delle utilitarie, è già usato per esempio per la Dacia Spring elettrica. Ma per Luca De Meo, Ceo di Renault, il vero punto di svolta arriverà con la nuova versione della piattaforma Cmf-b, prevista per il 2024. Secondo De Meo, la Cmf-b sarà cost-competitive con le macchine a motore endotermico. Rispetto alla Zoe, per esempio, si parla di un 33% di costo in meno – e anche di una riduzione dei consumi del 10%, grazie alla migliore aerodinamica.

Luca De Meo, il manager italiano che è ceo worldwide del Gruppo Renault, con la nuova concept car Mégan eVision

Oltre a procedere sulla strada della standardizzazione dei componenti, le aziende dell’Alliance si sono anche suddivise i compiti per lo sviluppo della varie parti del veicolo elettrico: ogni tecnologia “chiave” verrà sviluppata in una delle aziende, con il supporto delle altre, in modo da condividere più facilmente i risultati. Così, Nissan ha preso in carico per tutti lo studio delle nuove batterie, e punta ad avere quelle a stato solido entro il 2026, con produzione di massa entro il 28 (nota: i cinesi di DongFeng, alleati di Nissan, le stanno già testando su una flotta di 50 taxi modello Aeolus E70). Rispetto alle attuali, dovrebbero costare la metà e ricaricarsi in un terzo del tempo. Sempre Nissan si occuperà delle tecnologie di guida autonoma, mentre Renault seguirà lo sviluppo delle parti elettriche ed elettroniche dei veicoli, e Mitsubishi fornirà agli alleati la sua expertise nel segmento delle micro-utilitarie. Per completezza, aggiungiamo che Alliance 2030 è un piano molto articolato e non punta solo alla riduzione dei costi delle vetture, ma anche a stabilire una leadership tecnologica per quanto riguarda sostenibilità e innovazione, in particolare per il concetto di “veicolo connesso”, e tiene conto di fattori complementari ma importanti come l’approvvigionamento di materie prime per le batterie, o l’incentivazione nella creazione di reti di ricarica e di servizi di connected mobility. A questo proposito, è da segnalare che Renault ha spostato la sua Cfo (già interim Ceo), Clotilde Delbos, per metterla alla guida del suo brand Mobilize, che all’interno del gruppo si occupa appunto di fornire servizi legati alla mobilità, energia e dati.

Gruppo Volkswagen

Volkswagen I.D. Il Gruppo ha lavorato a un sistema di piattaforme modulari che permette di condividere fra vari modelli di automobili componenti chiave del powertrain, in particolare il motore montato in posizione anteriore trasversale, e la trasmissione a due o quattro ruote motrici

Anche il gruppo Volkswagen ha lavorato a un sistema di piattaforme modulari, il progetto Mqb (Modularen Quer Baukasten, ovvero kit modulare trasversale), presentato al pubblico nel 2012. Si stima che l’investimento su questa tecnologia sia intorno ai 9 miliardi di euro. Mqb permette di condividere fra vari modelli di automobili componenti chiave del powertrain, in particolare il motore montato in posizione anteriore trasversale, e la trasmissione a due o quattro ruote motrici. Anche se meno articolato del sistema di piattaforme elaborato da Renault, Mqb consente comunque di progettare più facilmente moduli compatibili fra loro, ed è anche pensato per consentire di produrre veicoli diversi nello stesso stabilimento. Infine, concentrandosi nelle componenti che rappresentano circa il 60% dei costi di un’auto tradizionale, consente di realizzare risparmi significativi, che alcuni stimano intorno al 30%. Se la prima generazione di Mqb era destinata alle vetture di segmento C, con l’arrivo nel 2016 della seconda generazione (Mqb A0) è stato possibile applicare il sistema anche a vetture di segmento B, quello che in Europa è numericamente più consistente.

Per il futuro, il Gruppo sta lavorando alla nuova Ssp (Scalable System Platform), una piattaforma pensata fin dall’inizio per i veicoli elettrici, che dovrebbe sostituire il sistema Mqb nel 2026. Su Ssp dovrebbero poi convergere anche i veicoli oggi costruiti sulle piattaforme elettriche Meb e Ppe, con il risultato di avere una singola piattaforma per tutto il gruppo, con ulteriori vantaggi in termini di produzione e di riduzione dei costi. Volkswagen, che ha annunciato la sua strategia New Auto a metà del 2021, punta a raggiungere il 50%/50% di produzione elettrico/endotermico entro il 2030, e di arrivare quasi al 100% di elettrico entro il 2040. Volkswagen sta lavorando anche sul fronte batterie, principale voce di costo per i veicoli elettrici. La Casa è in procinto di adottare un formato di cella unico per tutti i suoi veicoli elettrici, e punta a ridurre i costi del 50% entro il 2030. Inoltre, costruirà 6 fabbriche di batterie in Europa, con una capacità di 240 Gwh entro il 2030, occupandosi anche del ciclo di fine vita delle celle. Al momento, non è ancora noto se le fabbriche potranno contare sull’enorme giacimento di litio scoperto l’anno scorso nell’alta valle del Reno, o se dovranno dipendere dalle forniture extra comunitarie, in particolare cinesi.

Stellantis

La 500e è l’auto elettrica più venduta in Italia. Costa circa il doppio del modello endotermico base

Il colosso euro-americano dell’automobile ha delineato la sua strategia sull’elettrico circa un anno fa, nel suo Ev Day. Gli obiettivi sono ambiziosi, e si punta a passare dal 14% al 70% di veicoli elettrici venduti in Europa, e dal 4% al 40% negli Usa, entro il 2030. Ma soprattutto, è interessante che l’obiettivo sia di portare entro il 2026 il total cost of ownership delle auto elettriche allo stesso livello di quello delle vetture tradizionali; questo non vuol dire che il prezzo di listino sarà lo stesso, ma che i costi totali (che comprendono carburante, manutenzione, bollo e assicurazione, eccetera) saranno direttamente comparabili.

Dal punto di vista tecnico, Stellantis metterà in campo 4 piattaforme Bev per altrettante categorie di veicoli: Stla Small (per city car), Medium (veicoli premium), Large (veicoli ad alte prestazioni) e Frame (pick-up e simili). Le varie piattaforme sono progettate per condividere e scambiare la chimica delle batterie, i motori elettrici, gli inverter di potenza e il software di gestione. Nella messa a punto delle piattaforme si sono create partnership con nomi come Acc (batterie), Archer (velivoli elettrici) e Foxconn (semiconduttori). L’investimento complessivo del Gruppo nell’elettrificazione si stima sia oltre i 35 miliardi di euro. Una volta a regime, il nuovo sistema di piattaforme dovrebbe consentire a Stellantis di portare sul mercato fino a 2 milioni di veicoli l’anno per ciascuna piattaforma.

Toyota

Toyota Mirai Fuel Cell cutaway

Fra le prime aziende a credere nella trazione ibrida, Toyota per molto tempo non è stata molto convinta delle soluzioni full electric, tanto da essere fra le ultime grandi dell’automotive a rendere pubblici i suoi piani, lo scorso dicembre. Piani che prevedono investimenti di circa 35 miliardi di dollari per dare vita, entro il 2030, a una linea completa di veicoli elettrici, composta da 30 modelli, con un incremento di vendite di 3,5 milioni di veicoli l’anno per la fine del decennio. Toyota inoltre quadruplicherà i suoi investimenti sulle batterie, che passeranno a quasi 18 miliardi di dollari. Ma non smetterà di investire su altre tipologie di veicoli elettrici, come gli ibridi plug-in e le auto a fuel cell alimentate a idrogeno, perché secondo il Ceo Toyoda sapersi adattare al futuro è meglio che tentare di prevederlo. Per il suo marchio di lusso, Lexus, Toyota prevede di vendere solo macchine elettriche in Europa, Nord America e China entro il 2030, e in tutto il mondo entro il 2035.

L’industria fa la sua parte. E i governi?

La Concept Centoventi dovrebbe costituire la base della Panda elettrica di prossima presentazione

Nonostante questo dispiegamento di forze, e nonostante sia chiaro a tutti che da un punto di vista tecnologico la via verso l’elettrico è segnata e non si torna indietro, non possiamo certo dire che l’industria automobilistica sia entusiasta di questo cambio di tecnologia. O meglio, diciamo che non condivide i modi e i tempi con cui l’Europa in particolare lo sta imponendo. «È ovvio che l’elettrificazione è una tecnologia scelta dai politici e non dall’industria» ha dichiarato qualche settimana fa Carlos Tavares, Ceo di Stellantis, durante un’intervista. Per poi rincarare la dose affermando che, se la motivazione è di ridurre l’impronta ecologica, ci sono metodi più efficienti per abbassare le emissioni delle auto. «Con l’attuale mix elettrico europeo, un’auto elettrica deve percorrere circa 70.000 chilometri per compensare l’impronta di CO2 della produzione della batteria, e avvicinarsi alle emissioni di un’ibrida che costa la metà» ha aggiunto. Secondo Tavares, per rispettare la scadenza europea del 2035 i produttori dovranno trasformare i loro impianti e cambiare le supply chain molto in fretta, e la brutalità di questi cambiamenti creerà rischi a livello sociale. Tavares ha anche specificato che l’azienda deve rimanere competitiva, e quindi pur cercando di mantenere attivi tutti gli stabilimenti non può escludere di doverne chiudere qualcuno – in particolare ha menzionato i costi degli impianti italiani, significativamente più alti di quelli degli omologhi europei, principalmente per i prezzi abnormi dell’energia. Tuttavia, negli ultimi giorni Tavares ha di nuovo rassicurato i sindacati sul fatto che in Italia non sarà chiuso nessuno stabilimento. Anzi, l’Italia è in corsa per la realizzazione della gigafactory di batterie per il gruppo. Quindi, speriamo bene. Ma senza essere troppo pessimisti, il passaggio all’elettrico potrebbe comportare per l’Italia la perdita di migliaia di posti di lavoro nella componentistica e nell’indotto, creando una reazione a catena. Il rischio è che, quando finalmente le auto elettriche avranno un costo paragonabile a quello delle endotermiche, non ci sia più nessuno in grado di comprarle.

Tesla Model 3

Ma anche il Ceo di Toyota, Akio Toyoda, si è sempre espresso in modo poco entusiasta verso la trazione full electric. «Il nostro nemico è la CO2, non il motore a scoppio» ha dichiarato. E ha anche detto che i veicoli elettrici sono “overhyped”, sopravvalutati, e che chi li sostiene in chiave ecologica non calcola la CO2 emessa per passare all’auto elettrica, o per produrre la corrente necessaria alle batterie. Toyoda nel 2020 si era spinto fino ad affermare che se in Giappone tutti comprassero veicoli elettrici, il Paese d’estate rimarrebbe senza corrente. Comunque, alla fine anche Toyota ha preparato il suo piano per l’auto elettrica, un piano che privilegia i veicoli ad alto valore aggiunto, segno che probabilmente la riduzione dei costi non sarà così facile da raggiungere per il produttore giapponese. Ma se i produttori non sono entusiasti, non è detto che le istituzioni siano cieche e sorde alle lamentele. Più di una volta, il ministro della transizione ecologica Cingolani si è espresso sul tema. Sul problema dei costi, per esempio, ha dichiarato a Radiocor che «bisogna aiutare le famiglie a cambiare l’auto con mezzi nuovi di costo analogo, come le vetture Euro 6 o le ibride»; e ancora, ha detto a Rainews24 che «dobbiamo curarci di chi comunque non potrebbe passare all’auto elettrica, e lo dobbiamo aiutare a passare a un mezzo molto più ecologico del vecchio Euro 0 o Euro 1: già il passaggio a una macchina nuova Euro 6, che inquina meno, in questo momento dà un fortissimo impulso alla decarbonizzazione».

Peugeot elettrica

Dichiarazioni che hanno suscitato un vespaio di polemiche fra i pasdaran dell’elettrico senza se e senza ma. Tuttavia sembrano piuttosto sensate. Sempre a Rainews24, il ministro ha spiegato che «in Italia abbiamo un parco di auto private di circa 30 milioni di veicoli. Una dozzina di milioni sono auto altamente inquinanti, Euro 0 o Euro 1. Non tutti hanno la possibilità di cambiare l’auto ogni 4 anni, molti la tengono per molto tempo; l’auto diventa vecchia e inquinante. È chiaro che bisogna fare la transizione elettrica, e vorremmo andare tutti domani con mezzi elettrici. Però vorrei ricordare che in questo momento un mezzo elettrico di segmento B costa quasi il doppio di un mezzo a combustione interna. Se oggi ho un diesel Euro 1 e compro un diesel Euro 6, ho un grande miglioramento». Secondo il ministro, la transizione all’elettrico dovrà conciliare l’ecologia con la tutela dei lavoratori e con il nostro modello sociale. E fra le altre cose, questo comporta un aumento della quota di elettricità “verde”, da fonti rinnovabili. Perché girare su un’auto elettrica con la batteria caricata grazie a centrali a carbone non ha molto senso (altra cosa che i pasdaran non sembrano considerare). Secondo il ministro, bisognerà installare 8 Gw di impianti l’anno fino al 2030 per avere una percentuale significativa di energia da rinnovabili. Al momento, ne installiamo circa un decimo: meno di un Gw l’anno.

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Comunque, il Governo italiano sta facendo la sua parte per dare una mano all’industria. È stato approvato qualche giorno fa il piano che stanzia 800 milioni per il 2022 e circa 1 miliardo l’anno fino al 2030 per tutto il comparto auto. Inoltre, una cabina di regia a livello interministeriale si sta occupando di creare un vero piano di politica industriale per il comparto automotive, che costituisce circa il 16% del Pil. Secondo il ministro Giorgetti, che ha presentato il piano elaborato con i colleghi, ci sarà un fondo di sostegno per il settore automobilistico che punterà a «convincere i soggetti della filiera automobilistica ad affrontare la sfida della transizione energetica sul versante della produzione diretta e dell’indotto. L’intervento pubblico è importante ma l’iniziativa privata lo è di più, questo servirà a convincere a investire a fianco dello Stato». Accanto ai fondi per l’industria, dovrebbero arrivare presto notizie riguardo agli incentivi per l’acquisto di veicoli a basso impatto ambientale – incentivi che, certo, non potranno colmare l’ampio gap di prezzo esistente oggi fra un’utilitaria elettrica e una endotermica. Ma, in attesa che l’industria riesca a ridurre i prezzi con le economie di scala e con le nuove tecnologie, ci dovremo accontentare. Un proverbio milanese recita “Piuttosto che niente, è meglio piuttosto”.














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