Siamo alle porte di un nuovo boom economico? Le pmi industriali che cosa devono fare per sfruttarlo?

di Laura Magna ♦︎ Il Pil italiano è atteso in aumento del 4,9% nel 2021 e poco meno nel 2022 (Fmi): si innesterà un ciclo positivo per le piccole e medie imprese. Che devono patrimonializzarsi, reperendo finanza – bancaria, ma anche attraverso emissioni di bond e quotazione in Borsa – per investire e innovare e per aumentare dimensionalmente. La politica fiscale espansiva per sostenere i consumi. Ne parliamo con Fabio Arpe

Una ripresa importante dell’economia è alle porte. Lo dimostrano diversi indicatori: innanzitutto l’avvio di una politica fiscale espansiva, con gli Stati che allargano le maglie della spesa per sostenere lo sviluppo. E per tentare di ricostruire la classe media, da cui scaturiscono i consumi e dunque il recupero del Pil. Nel contempo la fiducia di famiglie e imprese riprende quota man mano che la campagna vaccinale procede e le paure legate al Covid si attenuano. Dopo venti anni di crescita zero o giù di lì, il Pil, secondo le stime del Fmi aggiornate al 27 luglio, quello italiano è atteso in aumento del 4,9% nel 2021 e poco meno nel 2022. Su questo biennio si innesterà un ciclo positivo che rappresenta un’occasione straordinaria per l’industria italiana: ma quali sono le mosse che le piccole e medie imprese produttive devono compiere per sfruttarla al meglio?

Le pmi manifatturiere, che sono il cuore pulsante della nostra economia, devono patrimonializzarsi, reperendo finanza – bancaria, ma anche attraverso emissioni di bond e quotazione in Borsa – per investire e innovare e per aumentare dimensionalmente. A dirlo a Industria Italiana è Fabio Arpe, banchiere di lungo corso, la cui storia nel mondo della finanza inizia nel gruppo Imi alla fine degli anni Ottanta. Arpe oggi guida una società di advisory dedicata alle pmi, che ha l’ambizione di diventare la Mediobanca delle piccole e medie imprese. Nel focus di Arpe Group il reperimento di finanziamenti attraverso piani di rilancio industriale per realtà in condizione di temporanea tensione finanziaria (a oggi l’attività ha portato oltre 200 milioni di euro a più di 100 imprese italiane con un fatturato tra i 5 e i 150 milioni).







 

Un nuovo miracolo economico è alle porte?

Fabio Arpe, ceo Arpe Group

Lo scenario che dipinge Arpe è quello di un vero e proprio boom economico, un miracolo come quello del Secondo Dopo Guerra. Molto più roseo delle già rosee aspettative del Fondo monetario internazionale che si aspetta che dopo il -8,9% registrato nel 2020 il Pil italiano cresca del 4,9% (+0,7% rispetto alla stima di aprile) nel 2021 e del 4,2% nel 2022 (+0,6%). Più anche della Germania, il cui pil è atteso crescere del 3,6% quest’anno e del 4,1% il prossimo. Ma quello che più conta è che «siamo di fronte a un cambio di paradigma», dice Arpe. «Dagli anni ‘30 ai ‘70 il mercato è stato dominato da politiche keynesiane spinte che hanno portato al boom economico e all’inflazione buona degli anni ‘70 e quella meno buona degli ‘80. Poi con il trattato di Maastricht è iniziata la stagione delle politiche fiscali restrittive. La diminuzione della domanda pubblica ha portato ad un’iniziale diminuzione dell’inflazione cui si sono aggiunti fenomeni esterni che la hanno ulteriormente spinta al ribasso. In particolare l’introduzione di manodopera a basso costo – quella dei Paesi dell’Est Europa dopo la caduta del muro di Berlino e il concomitante ingresso sul mercato del lavoro di un miliardo di cinesi. Fenomeni che hanno portato a sperimentare periodi di deflazione».

Le diverse crisi che si sono succedute hanno imposto politiche monetarie espansive. Ma il Covid ha sparigliato di nuovo le carte. «Ci si è resi conto che la politica monetaria da sola non basta. Dalla Lagarde dell’Fmi che imponeva politiche di austerità alla Grecia, si è passati ad una Lagarde a capo della Bce che guarda, oltre all’inflazione come obiettivo della politica monetaria, anche alla crescita economica ed invita i governi ad aumentare la spesa. Il patto di stabilità è stato sospeso per lo meno fino al 31 dicembre 2022. Le banche centrali hanno iniziato a dire che l’inflazione al 2% è un obiettivo medio. Si è dunque disposti anche ad accettare un livello più elevato rispetto a quella soglia che negli anni passati era considerata inviolabile. Oggi si attuano politiche monetarie e fiscali estremamente espansive. A tali fenomeni si aggiunge che sono in atto riforme fiscali a livello globale volte a tassare le grandi multinazionali e a ridurre le aliquote fiscali per aumentare il potere di acquisto della classe media. Da rammentare che il vero boom economico si attua quando si ha una classe media in grado di spendere. Tutto ciò, comporterà, ragionevolmente, anni di importante espansione economica a livello mondiale».

Le misure di politica fiscale espansiva mirano a ricostruire la classe media (che genera i consumi)

A parere di Arpe, le attese riforme fiscali (italiane ma anche globali) sono volte proprio a questo obiettivo, a ricreare una classe media, che per l’Italia è quella con reddito tra 20mila e 50mila euro, che spinge i consumi e dunque la crescita economica. In questo next normal, il mondo industriale si trova da un lato di fronte alla possibilità di cogliere un’importante crescita economica e dall’altro con la necessità di convivere con il Covid, come dimostra il fatto che ancora oggi i viaggi da e per gli Usa siano difficoltosi. Questo fa sì che nel prossimo futuro, «l’industria italiana si troverà come mercato di riferimento principale quello europeo dove le aziende delle altre nazioni sono significativamente più grandi di quelle domestiche. Per cui uno dei primi obiettivi che si deve porre l’imprenditore è quello della crescita. Anche il governo fa la sua parte come dimostrano iniziative nuove come quella di Simest volta a rafforzare i requisiti di patrimonializzazione delle imprese che esportano anche nell’area Cee e non solo fuori dal mercato europeo, a dimostrazione del fatto che si guarda alla capacità di competere rispetto al mercato più vicino».

La misura di Simest, lo ricordiamo brevemente, è volta a stimolare, migliorare e salvaguardare la solidità patrimoniale delle pmi che hanno esportato per almeno il 35% del fatturato nell’ultimo anno (o per il 20% medio degli ultimi due bilanci). L’intervento consiste in un finanziamento agevolato erogato direttamente da Simest a un tasso fisso pari al 10% del tasso di riferimento comunitario, con importo massimo del finanziamento di 800mila euro, calcolato nel limite del 40% del patrimonio netto dell’impresa richiedente.

Dagli anni ‘30 ai ‘70 il mercato è stato dominato da politiche keynesiane spinte che hanno portato al boom economico e all’inflazione buona degli anni ‘70 e quella meno buona degli ‘80. Poi con il trattato di Maastricht è iniziata la stagione delle politiche fiscali restrittive. Fonte Fondo monetario internazionale

Suggerimenti di strategia per le aziende nel new normal/ 1: Aumentare il livello di capitalizzazione

In questa fase la politica monetaria continuerà ad essere espansiva, ma è probabile che il canale di trasmissione tramite il sistema bancario possa subire un rallentamento all’inizio dell’anno prossimo a causa della fine delle moratorie. Un evento che porterà  inevitabilmente alcune aziende a essere impossibilitate a rimborsare il proprio debito aumentando gli Npl delle banche che a quel punto rallenteranno l’erogazione del credito e potrebbero incrementare gli spread. In tale ottica, una diversificazione preventiva tramite l’accesso al mercato obbligazionario, è già consigliabile nel secondo semestre 2021.

Dunque cosa devono fare praticamente gli imprenditori? «Attingere alle risorse necessarie dal canale bancario fino a quando questo sarà perfettamente funzionante, diversificare tramite il canale obbligazionario e soprattutto guardare al mercato della Borsa per raccogliere capitale di equity». Infatti una delle prime cose da fare è aumentare il livello di capitalizzazione. «Le imprese fragili devono porsi come obiettivo quello di aumentare la disponibilità di capitali di rischio, anche attraverso mezzi propri e non solo attraverso il ricorso alla finanza. Gli imprenditori devono mettere parte del proprio patrimonio in azienda. Rafforzarsi anche se il fatturato riprende a crescere, anzi proprio se riprede a crescere, perché nel nuovo contesto saranno vincenti le aziende dimensionalmente più elevate».

Le imprese italiane stanno chiedendo più credito alle banche, per finanziare i progetti produttivi. Tuttavia, dal lato dell’offerta si è avuto un irrigidimento, da metà 2018, a riflesso del rialzo dei rendimenti sovrani, che ha accresciuto il costo della raccolta bancaria e svalutato i portafogli di titoli. Gli istituti stanno scaricando tali oneri in minori volumi, maggiore richiesta di garanzie, costi addizionali, non sui tassi di interesse. Perciò, le imprese italiane sono tornate a subire un calo dei prestiti da inizio 2019 e hanno meno risorse per investire. Fonte CSC

Suggerimenti di strategia per le aziende nel new normal/ 2: investire in innovazione

Ovviamente questo non basta. Gli imprenditori «devono investire e si devono accorpare. Se ci troviamo di fronte ad anni di politica monetaria espansiva sarà possibile avere con più facilità finanza per la crescita. L’approdo in Borsa, per esempio, rende più efficienti le aggregazioni e abilita la trasformazione dell’azienda italiana da artigiana, quale oggi ancora per lo più è, a industriale, ovvero in grado di competere in un contesto internazionale». Il fatto che sarà più facile reperire finanziamenti è fondamentale per ridare gas agli investimenti: a interrompere la serie positiva di investimenti delle imprese avviata nel 2015 e rafforzata dagli incentivi di industria 4.0 era stato proprio il fatto che le banche avessero chiuso le maglie del credito a metà 2018 – quindi ben prima del Covid – secondo l’analisi del Centro Studi di Confindustria. Oggi, che questo problema viene meno si può pensare a dettagliare un piano di investimenti a medio termine.

Dal punto di vista pratico, ogni impresa dovrebbe elaborare «un business plan dettagliato che rappresenta il forward looking, in cui è indicato il benchmark di mercato, il posizionamento, i punti di forza e la traiettoria che compirà su un orizzonte di 12/24 mesi in diversi scenari di fatturato. Per ognuno deve conoscere la necessità di cassa e gli aggiustamenti necessari perché con la liquidità presa in prestito si possa arrivare senza intoppi al traguardo. Contemporaneamente l’azienda avrà elaborato la sua strategia di lungo termine». Ridisegnare le linee guida strategiche aziendali rende sostenibili i business in scenario post Covid in cui aumenta lo smart working, le supply chain sono accorciate, si fa maggior ricorso alla sharing economy, si devono rivedere i business model dei settori ad alta concentrazione di assembramenti. «Senza una strategia proattiva di riposizionamento sul mercato, senza un programma di investimenti, il rischio è che gli imprenditori si limitino a sostituire il fatturato con il debito. Che è un’azione necessaria fino all’uscita dal tunnel, ma di cortissimo respiro. Perché se l’azienda non ritrova la capacità di generare giro d’affari, rischia di finire in default ritrovandosi con un debito che va restituito, ed ebidta negativo per via di un business model che non funziona più».

A interrompere la serie positiva di investimenti delle imprese avviata nel 2015 e rafforzata dagli incentivi di industria 4.0 era stato proprio il fatto che le banche avessero chiuso le maglie del credito a metà 2018 – quindi ben prima del Covid – secondo l’analisi del Centro Studi di Confindustria. Oggi, che questo problema viene meno si può pensare a dettagliare un piano di investimenti a medio termine. Fonte CSC

Suggerimenti di strategia per le aziende nel new normal/ 3: uscire dal nanismo

I tassi bassi permanenti rendono infine oggi il contesto ideale per fare investimenti e anche per risolvere l’annoso problema del nanismo. «Bisogna andare verso consolidamenti, sinergie, jv». Il tema è sempre quello del rafforzamento. «Le aziende devono cercare di crescere per linee esterne e interne, raccogliere il denaro per creare valore e posizionarsi da leader dentro il sistema competitivo. Chi non lo farà potrebbe andare in difficoltà. Sta a ogni imprenditore capire che di fronte a un cambio di paradigma deve fare la propria parte per beneficiare di questa crescita in arrivo e solo due anni fa inimmaginabile», continua Arpe.

Esistono secondo Arpe, però ancora due rischi che potrebbero rendere meno brillante la ripresa. «Ovvero la variante delta e la variante Draghi. La prima potrebbe causare uno stop del recupero in atto, rallentandolo. La seconda è un elemento altrettanto cruciale. Draghi è il presidente che ha fatto approvare il Pnrr in 24 ore, è persona credibile internazionalmente ed è oggi una delle voci più autorevoli dell’Europa». Se portasse avanti la legislatura fino a conclusione e potesse essere il premier anche nella prossima legislatura, sarebbe per il nostro Paese garanzia di una corretta spesa dei soldi del Recovery Plan e del consolidamento della crescita economica. «Se alla guida del paese ci fosse un premier meno autorevole e capace, il rischio che l’Italia non colga tutte le opportunità del boom economico, aumenterebbero».














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