Viaggio alla scoperta delle imprese anti-fragili. In compagnia dell’Intelligenza artificiale e di Fabio Moioli (Microsoft)

di Marco Scotti ♦︎ Le aziende anti-fragili sono quelle in grado di reinventare i modelli di business a seguito di shock o di crisi. Per riuscirci, è necessario mettere in campo adattabilità e flessibilità e puntare sulle tecnologie più avanzate, usate in modo strategico

«Il Coronavirus e la pandemia che ha provocato hanno cambiato anche il modo di intendere la fabbrica, che si è dovuta trasformare ed evolvere, in un’ottica di maggiore sicurezza. Si chiama antifragilità, come l’ha definita lo scrittore Nicholas Taleb nel 2012, e significa la capacità di adattarsi alle nuove esigenze e di trovare in esse delle opportunità di crescita». Fabio Moioli, Head Consulting & Services di Microsoft Italia ha dedicato alle trasformazioni definitive portate dal Covid podcast, webinar e documenti scritti. Perché tutti i settori impattati da questa rivoluzione epocale – e, come si vedrà nel prosieguo dell’articolo, con enormi differenze tra comparto e comparto – hanno avuto tre strade di fronte a loro: piegarsi senza riuscire a reagire, mettendo a rischio l’intero futuro dell’azienda; reggere l’urto, magari mettendo mano alla cassa e aspettando che passasse la buriana ma senza operare profonde trasformazioni nel modo di lavorare, ma solo soluzioni tampone; cambiare prospettiva e dimostrarsi “antifragili”. Questo concetto non deve essere confuso con un altro tema particolarmente in voga in epoca di Coronavirus: quello di resilienza. Quest’ultimo, infatti, significa sostanzialmente la capacità di tenere dritto il timone durante la tempesta, mantenendo salde le proprie peculiarità. Essere anti-fragili, invece, vuol dire essere in grado di evolversi nell’accezione darwiniana del termine: cambiare pelle, cambiare modello di business, cambiare destinazione d’uso dei propri prodotti.

Un esempio su tutti è quello di Decathlon e delle sue maschere da sub divenute, durante le temperie della pandemia, un respiratore grazie a una valvola stampata in 3D da un’azienda italiana, Isinnova. Una duplice dimostrazione di come domanda e offerta, di fronte a shock come quello che stiamo vivendo, possano cambiare senza che questo significhi una trasformazione degli apparati o dei macchinari. E anche la tecnologia, che pure viene indicata come panacea di tutti i mali, non necessariamente può essere il salvagente cui aggrapparsi. Perché è vero, con i moduli di intelligenza artificiale e di machine learning applicati alle fabbriche si è potuto fare a meno della presenza degli operatori direttamente sul plant. Ma il processo di transizione è lungo e tutt’altro che completato.







«Contrariamente a quanto si potrebbe pensare – aggiunge Moioli – la tecnologia ti rende vulnerabile se non viene impiegata in maniera corretta, perché basta uno spostamento di un millimetro di alcune attività o ingranaggi e subito non funziona più niente. Se si prende una fabbrica tradizionale, automatizzata ma con il controllo ancora in capo all’uomo “presente” sul posto di lavoro, con il Covid questo meccanismo viene meno. E allora che cosa si fa? Si può provare a tenere botta, oppure cavalcare tecnologie e nuovi modelli di business per cercare di cambiare rotta. Teniamo conto, oltretutto, che la crisi economica che stiamo vivendo non è paragonabile a quella del 2008 non soltanto per portata del calo dei fatturati, ma anche perché quella del post-Lehman era una contrazione generalizzata, mentre oggi assistiamo ad interi comparti che hanno addirittura incrementato vendite e risultati».

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Il ruolo dell’intelligenza artificiale

Fabio Moioli, Head Consulting & Services di Microsoft Italia

«Ma l’automazione può renderci fragile?» prova a chiedere Moioli. E questo perché è un processo che è particolarmente efficace se si conoscono tutti i passaggi, altrimenti si rischia di bloccare. Ma noi ci stiamo muovendo da un mondo in cui dobbiamo capire i computer a uno in cui sono i computer a doverci comprendere. «In questo modo – aggiunge Moioli – possiamo dialogare in modo flessibile con le macchine. Serve intelligenza artificiale non per avere automazione ma per essere adattabile. In questo modo, introducendo l’Ai in ufficio, nelle macchine, si crea anti-fragilità. Finché ci affidiamo a una logica “push” in cui è tutto in mano ai computer, saremo molto meno flessibili e molto meno in grado di reggere i cambiamenti».

L’intelligenza artificiale ci porta dunque l’abilità di guardare il mondo da un differente punto di vista, rende il computer adattabile, tutto l’opposto dell’automazione “semplice”. La realtà mista, poi, è ancora più anti-fragile, perché unisce le peculiarità della macchina con la capacità di adattamento e di disruption dell’essere umano. Piuttosto che essere controllati attraverso rigide catene di comando, con l’introduzione dell’intelligenza artificiale i lavoratori dei diversi livelli vengono istruiti quotidianamente a diventare dei “problem-solvers”.

«Tradizionalmente – prosegue Moioli – i sistemi tradizionali It sono top-down, ma se si sviluppa qualcosa di completamente diverso, un “cigno nero”, la catena di controllo va in difficoltà. Se invece si utilizza un sistema basato sui dati, bottom-up, si è automaticamente anti-fragili, perché questo può portarci un grande impatto. Il Covid-19 ha mostrato che le aziende che hanno un sistema It molto tradizionale sono andate in crisi, mentre chi ha avuto un’organizzazione più agile è sopravvissuto meglio e con migliori risultati. Le aziende, purtroppo non sono molte, che hanno avuto un approccio anti-fragile alla crisi causata dalla pandemia, hanno osservato in questi mesi una crescita perché hanno saputo trasformare business, prodotti e operazioni, così come anche il mindset dei propri dipendenti».

 

La tecnologia a supporto

Prima di tutto è necessario sgombrare il campo da un potenziale equivoco: la tecnologia e l’automazione tout-court non rendono un’impresa più forte ma, anzi, rischiano di farla ancora più fragile. Perché come un meccanismo perfetto, tutto è allineato e messo a punto con precisione. Ma, allo stesso tempo, non appena avviene un cambio, non appena si sposta l’equilibrio anche di un solo millimetro, l’intero sistema si blocca. «A questo proposito – aggiunge Moioli – l’Intelligenza Artificiale può fare magie per aiutare un’organizzazione ad essere antifragile. Stiamo passando da un mondo in cui dovevamo capire i computer a un nuovo mondo in cui i computer ci capiscono. Con l’Intelligenza Artificiale, ci stiamo spostando da un mondo in cui la tecnologia e l’automazione erano cieche nei confronti del mondo reale a un nuovo mondo in cui i computer percepiscono il mondo, rilevano nuovi modelli e cigni neri, trovano nuove correlazioni e tendenze, in qualche modo prevedono il futuro, si adattano e possono quindi aiutarci a evolverci in un’ottica di antifragilità».

Il Coronavirus è stato un incredibile incentivo al cambiamento per il mondo dell’automazione: non è più pensabile fare tutto in presenza, e le aziende hanno avuto una spinta incredibile a una digitalizzazione che, in tempi normali, avrebbe richiesto anni. Questo concetto è applicabile ai temi più disparati: allo smart working, ad esempio, con le piattaforme di videoconferenza come Teams, Zoom o Webex che hanno decuplicato il traffico. Le aziende, insomma, hanno più bisogno del digitale rispetto a prima.

«Il discrimine fondamentale – prosegue Moioli – è capire come cambiano le esigenze del mercato e anche della clientela. Anche senza il Covid, Blockbuster non si è accorto dell’arrivo di Netflix ed è fallito. Le tecnologie ti possono rendere almeno resiliente perché l’intelligenza artificiale, a differenza degli altri strumenti “tradizionali”, automatizza in modo flessibile, consente di integrarsi con il mondo. Ma la resilienza significa, banalmente, “sono tosto e resisto, ma rimango come prima”. Le start-up di successo spesso tendono ad essere anti-fragili; le grandi organizzazioni a volte tendono ad essere fragili ed è per questo che potrebbero fallire di fronte a interruzioni. Dobbiamo muoverci verso una “organizzazione adattabile basata sui dati” che abbracci continui miglioramenti e sia strutturalmente “antifragile”. Per diventare anti-fragile, la tua organizzazione deve sviluppare e mantenere meccanismi avanzati basati sui dati per ascoltare clienti e dipendenti, oltre a brillanti sistemi di gestione dei problemi. Invece di essere controllati attraverso rigide strutture di comando, i dipendenti a tutti i livelli vengono formati ogni giorno per essere rapidi nella risoluzione dei problemi. Siamo in un mondo in cui aumentano le interruzioni e i cambiamenti inaspettati. Il Covid-19 ne è un triste e drammatico esempio. A causa del Covid-19 e della drammatica accelerazione dell’interruzione in generale che vedremo nei prossimi anni, è necessario stabilire e gestire sistemi ICT anti-fragili. In risposta al Covid-19, stiamo vedendo aziende e organizzazioni in generale avere reazioni e impatti completamente diversi. Molto spesso, coloro che si basano su un nucleo antifragile devono affrontare questo disturbo. Le organizzazioni anti-fragili vanno oltre la resilienza o la robustezza. Diventano più forti con stress, volatilità, cambiamenti improvvisi inaspettati».

Naturale poi che ogni azienda debba avere un percorso diverso e un livello di complessità diverso. Basti pensare che questa crisi economica (ancora da verificare sul lungo periodo) è totalmente difforme da quella del 2008, che colpì in maniera indiscriminata quasi tutti i settori. «Stavolta – aggiunge Moioli – vediamo una decrescita settoriale di cui non avevamo mai sentito parlare. Un colpo tremendo per alcuni comparti come il turismo, un autentico “boost” per altri. E poi c’è di nuovo la capacità di adattamento: se il salumiere, per esempio, è in grado di elaborare una mailing list di clienti, di fare ordini online, di effettuare consegne a domicilio e via dicendo, modifica il proprio modello di business di fronte a nuove esigenze e riesce perfino a incrementare il fatturato».

Essere anti-fragili vuol dire essere in grado di evolversi nell’accezione darwiniana del termine: cambiare pelle, cambiare modello di business, cambiare destinazione d’uso dei propri prodotti

 

La fabbrica del post-Covid: antifragile e amante del dato

Come detto, il Coronavirus ha accelerato un processo già in atto nelle fabbriche in cui al concetto di automazione, introdotto ormai quasi mezzo secolo fa anche se poi progressivamente “aggiornato”, sta sostituendo quello di adattabilità. «Oggi usiamo telecamere – chiosa Moioli – per riconoscere i difetti dei prodotti, per capire se ci sono problemi in un’ottica di sicurezza. Collezioniamo i dati e li portiamo nel cloud. Prima queste informazioni venivano tenute nel macchinario stesso e costringevano l’operatore a recarsi di persona nel plant per poterle raccogliere. Ora abbiamo la possibilità di lavorare da remoto, di creare delle vere e proprie cabine di regia. I dati, se messi a fattor comune, consentono di vedere le differenze di performance, di dare suggerimenti, di svolgere da remoto anche la parte di manutenzione predittiva. Con dati e machine learning la tecnologia diventa previsionale, in un processo end-to-end. L’intelligenza artificiale, inoltre, è in grado di percepire il mondo, è come un chatbot che comprende le diverse domande, una tecnologia bottom-up generata dai dati».

L’Ai soprattutto nella sua versione Augmented Intelligence consente di replicare pattern tipicamente umani, superando le rigidità della “vecchia” automazione

Che cosa significa essere anti-fragili

Nel suo libro del 2012, appunto “Antifragile”, Nassim Nicholas Taleb definisce il principio di antifragilità come l’attitudine di alcuni sistemi di modificarsi e migliorare a fronte di sollecitazioni, fattori di stress, volatilità, disordine. Un sistema antifragile abbraccia l’imprevisto, l’incertezza, ne assume positivamente il rischio. In informatica l’antfragilità indica la capacità di cambiare, di accettare le richieste di cambiamento, di migliorare attraverso l’apprendimento. «La natura – prosegue Moioli – ama la casualità e il caos e nel tempo gli organismi antifragili vincono sempre sul fragile. La nostra evoluzione si basa su questo. In qualche modo, la natura ama il caos e da millenni utilizza piccole correzioni e modifiche per sopravvivere come ecosistema».

La distinzione fondamentale che deve essere operata, dunque, è quella tra resilienza e antifragilità. Perché non si tratta soltanto di capire che l’oggetto o il servizio è resistente ai cambiamenti (anche una palla di ferro lo è), ma come questi cambino al mutare delle condizioni e del sistema in cui operano: se la palla di ferro di cui sopra, a seguito di un cambiamento dei modelli di business, acquista valore, allora non è soltanto resiliente, è antifragile. «Un bell’esempio di questo concetto – conclude il manager di Microsoft – siamo noi, l’evoluzione della specie umana con un’idea darwiniana. Nessuno si è messo a pianificare l’evoluzione genetica, ma un cambiamento randomico ha determinato la selezione della specie migliore e più efficace. E lo stesso sta funzionando con la tecnologia, perché chi ha abbracciato un cambiamento in maniera corretta ed efficace, se è capace di integrarsi con un sistema le cui regole sono cambiate, può ottenere una trasformazione ancora più redditizia».

Ripubblicazione dell’articolo del 17/9/2020














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