Piano 5.0 e distretti industriali: così si supporta l’uso dell’IA nelle imprese. Con Anitec-Assinform

di Barbara Weisz ♦︎ A fine 2023 il mercato dell’intelligenza artificiale in Italia arriverà a 570 milioni: +31% sull’anno precedente. Ma le Pmi sono in ritardo nell’applicarla: non valorizzano adeguatamente i dati che possiedono. I casi Moderna, Intesa Sanpaolo Innovation Center e Snam. Il white paper di Anitec-Assinform L'IA in azione: sintetizza lo stato dell’arte sull’IA. Ne parliamo con Marco Gay e Massimo Dal Checco

Il mercato dell’intelligenza artificiale è più che raddoppiato negli ultimi tre anni e continuerà a crescere a doppia cifra fino al 2026. Ma i volumi in Italia restano ancora abbastanza contenuti (da 250 milioni di euro del 2020 a 570 nel 2023), le imprese sono tendenzialmente in ritardo nell’applicarla, anche rispetto ai competitor europei, e soprattutto non riescono a valorizzare adeguatamente i dati che già possiedono. Invece, «l’analisi del dato è centrale per creare valore, perché vuol dire efficienza, produttività – sottolinea Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform – E’ uno degli indicatori di crescita che al nostro Paese manca rispetto agli altri da troppo tempo». Facciamo un esempio, preso dal white paper «l’IA in azione» della sigla Ict appartenente a Confindustria: i sensori che monitorano il funzionamento dei torni digitali restituiscono dati che vengono utilizzati dal tornio stesso. Ebbene, si legge nel report, «quegli stessi dati potrebbero essere utilizzati a valle per un’analisi sulle cause di deficit qualitativi del prodotto, generando quindi azioni correttive».

In realtà, qui il discorso si complica. I dati non sono solo il punto da cui le aziende devono partire, ma anche l’asset fondamentale per progettare ed allenare qualsiasi forma di intelligenza artificiale. Tecnologia che, prosegue Gay, «ha un impatto a 360 gradi, dalla vita del cittadino alla pubblica amministrazione all’impresa». Per questo bisogna capire che adottarla nel migliore dei modi «fa parte di una sfida globale» che si vince solo «lavorando insieme». Come? Innanzitutto, creando un’industria dei dati, cosa che l’Europa sta facendo con ritardo (nell’ambito dell’azione European Data Governance si attende, entro fine anno o inizio 2024, il Data Act), ma che fa la differenza tra essere solo un mercato o diventare protagonista con una propria filiera, un ecosistema. Qui si possono anche pensare soluzioni che valorizzino le peculiarità del tessuto industriale italiano. Marina Geymonat, Head of Enterprise Data AI and Analytics di Capgemini Invent, lancia l’idea di sviluppare algoritmi di IA in house, magari a livello distrettuale. Barbara Caputo, docente del Politecnico di Torino, insiste sullo stesso concetto, sottolineando che a livello di distretto possono essere messe a disposizione infrastruttura, competenze e sufficienti quantità di dati. Poi, ogni impresa può pensare a un ultimo miglio più verticalizzato. In secondo luogo, bisogna promuovere nelle imprese una maggior cultura tecnologica, perché al momento tendono a usare l’IA inconsapevolmente, per cui è importante fare azioni perché invece riescano ad applicarla «per aumentare il business – segnala Roberto Saracco, coordinatore del gruppo di lavoro sull’IA di Anitec-Assinform – Ci sono eccellenze e startup che già lo fanno», ma restano nella maggior parte dei casi criticità legate ad alcuni grandi temi: «la mancanza di risorse umane. E concetti digitali ancora poco metabolizzati, come ad esempio il metaverso industriale, che permette di effettuare simulazioni, utilizzare sandbox per sperimentare».







Infine, ci vuole il Piano Industria 5.0, insistono sia Marco Gay sia Massimo Dal Checco, intervistati da Industria Italiana. «Deve essere pensato in maniera più allargata rispetto a prima, non va limitato ai beni materiali o immateriali ma al progetto di innovazione, che è molto più ampio», sottolinea il vice presidente di Anitec-Assinform. E «deve avere al centro gli abilitatori di trasformazione digitale» e «i parametri Esg», aggiunge Gay. Approfondiamo tutti questi spunti, emersi nell’evento “IArevolution: l’intelligenza artificiale per un’impresa più competitiva e sostenibile”, durante il quale sono stati presentati il white paper sull’IA in azione (clicca qui per scaricare il white paper), le esperienze concrete di Moderna Italia, Intesa Sanpaolo Innovation Center, Snam, ed è stato alimentato un ampio dibattito con le istituzioni (Lorenzo Basso, Commissione Ambiente, Transizione ecologica, energia, lavori pubblici, comunicazioni, innovazione tecnologica, del Senato della Repubblica, Massimiliano Capitanio, Commissario Agcom, Mario Nobile, Direttore Generale AgID), associazioni e think tank (Guido Lobrano, Senior Vice President and Director General for Europe ITI, Information Technology Industry Council, Alessandro Marrone, Responsabile del Programma “Difesa” IAI, Istituto Affari Internazionali).

 

Il mercato dell’IA in Italia

Partiamo dai dati precisi sugli investimenti delle imprese in IA. Come detto, le cifre sono relativamente contenute, ma in forte crescita: secondo il Rapporto “Il Digitale in Italia 2023”, l’intelligenza artificiale valeva 435 milioni di euro nel 2022, ovvero lo 0,6% del mercato digitale italiano. A fine 2023 arriverà a 570 milioni di euro, +31% sull’anno precedente, e la quota di aziende che indicano un utilizzo importante dell’IA in molti processi passerà dal 4% al 14%, mentre viceversa diminuirà sensibilmente il numero di imprese che non utilizzano l’IA o la utilizzano in minima parte. I maggiori investimenti si concentrano nel finance (il 66,7% entro 2023 effettua investimenti in IA) e nei servizi, 60%, mentre le aziende dell’industria sono più prudenti, 45,5%, così come grande distribuzione e retail, 44,4%. Il mercato continuerà a crescere del 28,9% annuo fino al 2026, quando varrà 1,2 miliardi di euro. Continua a essere un volume contenuto, se si pensa che l’intero mercato digitale italiano a fine 2022 valeva 77 miliardi di euro. Ad essere indietro, sono soprattutto le piccole e medie imprese e le pubbliche amministrazione locali.

Quindi, la prima evidenza è che nell’intelligenza artificiale bisogna investire di più, sottolinea Saracco. Le imprese dovrebbero focalizzarsi sui vantaggi che derivano dall’utilizzo di questa tecnologia in azienda. Se viene «gestita bene, alimentata con dati verificati, e applicata nei vari settori, dalla vita di tutti i giorni alla pubblica amministrazione all’impresa – sottolinea Gay -, dà risultati in termini di valore aggiunto e quindi produttività e competitività, e consente di competere meglio nelle filiere in cui siamo inseriti».

In Italia l’Intelligenza artificiale rimane ancora scarsamente utilizzata dalle aziende, soprattutto nel segmento Pmi. Secondo dati Istat del 2021, solo il 6,2% delle imprese con almeno 10 dipendenti ha dichiarato di utilizzare sistemi di Intelligenza artificiale, contro una media dell’8% nell’Unione europea; in particolare, la percentuale di piccole imprese (10-49 addetti) si attesta al 5,3%, contro il 24,3% delle grandi imprese (250 e più addetti). Fonte NetConsulting

L’analisi dei dati con l’IA

La cosa importante è analizzare i dati con i giusti strumenti. «I Big Data senza strumenti di analisi avanzata non producono risultati e, viceversa, senza dati di alta qualità, l’IA non può funzionare correttamente o generare risultati accurati». Un’impresa digitalizzata ha a disposizione molti dati, ma in base alle stime una percentuale che va dal 60 al 95% dei dati disponibili non viene di fatto sfruttata. Questo dipende da diversi fattori:

  • mancata percezione della loro utilità,
  • difficoltà oggettiva di utilizzo,
  • spesso i dati non sono considerati una risorsa ma un by – product di un processo ed esauriscono il loro valore all’interno del processo stesso, come dimostra l’esempio sopra riportato del tornio,
  • le varie sorgenti producano dati in formati diversi non pensati per usi diversi da quelli per cui sono stati generati.

Ci sono sostanzialmente due ambiti i cui vengono generati i dati. L’IoT (Internet of Things), internet delle cose, e l’IoB (Internet of Behaviors), relativo alle persone ed ai comportamenti. Quest’ultimo comprende gestione dei processi aziendali, e interazioni tra persone interne ed esterne all’azienda, dirette o mediate da macchine. Tutto questo rappresenta un’occasione per creare nuovi prodotti, servizi, ma necessita anche di profondi cambiamenti organizzativi e di infrastrutture.

Due terzi delle aziende del Finance intervistate e il 60% di quelle dei servizi prevedono investimenti in IA, più caute invece le aziende dell’industria (45,5%) e di grande distribuzione e retail(44,4%). Per quanto riguarda le singole tecnologie IA, tra il 2022 e il 2023 si osserva un incremento soprattutto in Intelligent data processing, Natural language processing e Chatbot. L’RPA (Robotic Process Automation) è il principale tipo di soluzione nell’industria, nel finance, in grande distribuzione e retail e Energy. I servizi, invece, utilizzano maggiormente Chatbot e assistenti virtuali (vista l’importanza dell’interazione con il cliente). Fonte NetConsulting

Perché Anitec-Assinform insiste sul Piano Industria 5.0

Marco Gay, presidente Anitec-Assinform

Per questo Anitec-Assinform insiste sulla richiesta di un Piano Industria 5.0 che consenta al Paese di fare un salto tecnologico necessario per sviluppare il potenziale del secondo sistema imprenditoriale europeo. Il piano, secondo Marco Gay, dovrebbe «avere al centro gli abilitatori della trasformazione digitale e, siccome si parla di 5.0, l’impatto esg», sottolinea Gay. E poi, aggiunge Dal Checco, «va pensato in maniera più allargata rispetto a prima. Non bisogna limitarlo ai beni materiali o immateriali ma al progetto di innovazione, che è molto più ampio e comprende un salto». Fino ad oggi, «la parte più semplice da utilizzare è stato il credito d’imposta. Gli incentivi sono importanti soprattutto per le pmi, le grandi aziende stanno già investendo, non hanno bisogno né di incentivi né di formazione».

 

Grandi imprese e IA: Moderna, Intesa Sanpaolo Innovation Center e Snam

Ne sono un esempio i casi presentati in occasione di IArevolution. Moderna, azienda farmaceutica che tutti conoscono per il vaccino anti Covid, utilizza l’intelligenza artificiale sulla base dati per la ricerca. Attualmente, spiega Jacopo Murzi, General Manager di Moderna Italia, «stiamo utilizzando l’intelligenza artificiale in tutti i cases utili per innovare le nuove molecole. A Seattle c’è un ufficio per sviluppare modelli internamente, con l’ausilio di fornitori esterni». Intesa Sanpaolo Innovation Center è una società partecipata dal gruppo bancario per sviluppare innovazione non solo per la banca, ma anche a supporto dei clienti corporate. Spiega Laura Li Puma, Head of Artificial Intelligence Lab: «Abbiamo anche rapporti con le startup, due laboratori di ricerca applicata su IA e neuroscienze. Facciamo ricerca applicata su casi reali, anche per capire cosa vuol dire introdurre tecnologie nei processi aziendali. Coinvolgiamo anche colleghi esperti di tematiche relative a privacy e aspetti legali».

Snam invece, racconta Irene Sardellitti, Head of AI & Design Services, sta investendo nell’IA per raggiungere gli obiettivi Esg. «Principalmente, per dare valore ai dati, ad esempio per aiutarci nella previsione della domanda di gas. Abbiamo raffinato modelli per rendere più flessibile il sistema di approvvigionamento». L’utility dell’energia ha anche un dipartimento che sviluppa algoritmi di intelligenza artificiale generativa, e punta sull’integrazione fra IA e robotica. «Abbiamo già 50 droni che volano sulla rete del gas, e stiamo introducendo i robot quadrupedi per la manutenzione».

Complessivamente tra il 2022 e il 2023 crescerà in modo significativo l’uptake di soluzioni di IA in azienda, sia per numero di aziende che per intensità di utilizzo. Fonte NetConsulting

Come il piano 5.0 può aiutare le pmi

Le piccole e le medie imprese invece devono avere supporto e incentivi. «Anche perché le agevolazioni ci sono in Europa, e quindi per essere competitivi ne abbiamo bisogno anche noi», segnala Dal Checco. Lo dimostrano i dati Istat 2021, in base ai quali solo il 6,2% delle imprese con almeno dieci dipendenti utilizza sistemi di intelligenza artificiale, contro una media dell’8% nell’Unione europea. In particolare, la percentuale di piccole imprese (10-49 addetti) si attesta al 5,3%, contro il 24,3% delle grandi imprese (250 e più addetti). «In secondo luogo – prosegue Dal Checco -, le regole devono essere semplici».

Questi due parametri, «semplicità e concretezza», vanno coniugati nel Piano 5.0 «su progetti di innovazione», promuovendo così un vero e proprio salto digitale che sia strutturale. Infine, anche Dal Checco sottolinea come debba esserci il legame con il tema della sostenibilità, fra l’altro centrale nelle politiche europee. C’è «un elemento che lega questi due aspetti all’interno dell’impresa, ed è il dato. Oggi, e sempre più nei prossimi anni, le imprese saranno obbligate a fare il bilancio di sostenibilità, e per questo è importante avere i dati corretti. L’attenzione al dato ci sarà per obbligo di legge, e con la tecnologia è più facile avere dati puliti». In sintesi, «è un dare-avere fra un obbligo di legge, che poi ha una strategia più alta, e una grande opportunità di business che alla fine utilizzerà la stessa base dati».

La quota di aziende che indicano un utilizzo importante dell’IA in molti processi passerà dal 4% al 14%, così come la quota di aziende che non utilizzano l’IA o la utilizzano in minima parte, diminuirà sensibilmente. Fonte NetConsulting

L’IA e i distretti industriali

A livello di Sistema Paese, c’è il fatto che «l’IA è un’infrastruttura che non abbiamo – segnala Gay -. Grazie al lavoro che facciamo come acceleratore di startup e pmi innovative del digitale lo vediamo. Abbiamo però a disposizione una grande base di talenti, serve un’altrettanto grande determinazione di politica industriale. Dobbiamo come paese definire una strategia basata su infrastrutture di trasformazione ecologica e digitale di cui l’IA ha pieno titolo, visti numeri e protagonisti». Un’idea in questo tempo viene lanciata da Marina Geymoat, Head of Enterprise Data AI and Analytics di Capgemini Invent, realtà che aiuta le aziende a ripensare le strategie di integrazione dell’intelligenza artificiale: sviluppare l’IA a livello distrettuale. L’IA generativa al momento viene sviluppata solo dalle big tech. Si basa su «modelli molto grandi, che necessitano di un grande numero di dati per essere addestrati, e anche di un intenso lavoro di pulizia e lavorazione» segnala Barbara Caputo, che dirige l’hub sull’Intelligenza Artificiale dell’Università di Torino. Quindi, ci vogliono notevoli capacità computazionali, e competenze professionali per gestire gli algoritmi. Significa squadre di centinaia di ricercatori con skill che pochi al mondo hanno».

Il risultato sono algoritmi general purpose, molto generici, che rappresentano un punto di partenza per poi verticalizzare su linguaggi specifici o su applicazioni industriali. «E qui può essere importante pensare a un distretto che metta a disposizione infrastruttura, competenze, e adeguata quantità di dati» con un ultimo miglio che può eventualmente essere ulteriormente verticalizzato dalla singola impresa. Uno stimolo a «fare squadra in modo razionale», che potrebbe poi prevedere la creazione di sandbox, zone chiuse per sperimentare liberamente. L’Italia ha un tessuto industriale e produttivo con una classe dirigente caratterizzata da competenza e passione», e la transizione digitale in corso è un’opportunità da non perdere. I distretti «possono essere un aggregatore di necessità industriali delle imprese – aggiunge Gay -, un luogo dove rispetto a queste necessità si faccia anche formazione indirizzata a valorizzare quello che viene fatto. Quindi sono un buon punto di partenza perché nel cuore del distretto c’è la filiera industriale, che bisogna far crescere in modo esponenziale, partendo dalle sue caratteristiche». Dal Checco pensa alle comunità energetiche: «sono una grande opportunità per i distretti. La stessa cosa potrebbe avvenire per la tecnologia».














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