Controllo totale della filiera, export, internazionalizzazione: è il tessile di Albini!

di Laura Magna ♦︎Con 130 milioni di fatturato, la multinazionale vende in 86 Paesi, con oltre 9 milioni di metri di tessuti in 20mila varianti diverse. Ora punta su nuove tecnologie ed e-commerce. Focus sostenibilità: tracciabilità dei tessuti, garanzia di organicità e terzisti certificati. Albini_next: laboratorio di innovazione che ha sede nel Kilometro Rosso. L'associazione ad Afil. Ne parliamo con Stefano Albini

Conosciuti in tutto il mondo, i tessuti Albini, realizzati nelle 7 sedi del Gruppo, di cui 4 in Italia, sono i più richiesti nel loro mercato di riferimento, che è quello della camiceria di alta gamma. E lo sono grazie a un’impostazione basata sul controllo totale della filiera, dal campo di cotone, alla colorazione, fino al tessuto finito. Collezione dopo collezione, anno dopo anno. «I nostri tessuti spiccano da sempre per bellezza e stile. Ma da più di dieci anni abbiamo aggiunto altri plus: sostenibilità e tecnologia», dice a Industria Italiana il presidente del gruppo Stefano Albini.

 







Cotone dal campo alla confezione, per un fatturato di 130 milioni

Conosciuti in tutto il mondo, i tessuti Albini, realizzati nelle 7 sedi del Gruppo, di cui 4 in Italia, sono i più richiesti nel loro mercato di riferimento, che è quello della camiceria di alta gamma. E lo sono grazie a un’impostazione basata sul controllo totale della filiera, dal campo di cotone, alla colorazione, fino al tessuto finito

Il contesto è quello di un distretto del tessile che in Lombardia vale 12 miliardi, coinvolge 15mila imprese e 97mila addetti (Sistema Moda Italia con Liuc Business School). Il fatturato di Albini Group, con oltre 9 milioni di metri di tessuti, in 20mila varianti diverse, venduti in 86 paesi in tutto il mondo, si aggira sui 133 milioni (dato 2021) avendo praticamente recuperato il dato pre Covid a circa 140 milioni, dopo un 2020 difficile in cui il fatturato ha perso il 30% fermandosi a 98 milioni di euro. «Il 2021 è stato un anno di ripresa – dice Albini – soprattutto negli ultimi sei mesi. Abbiamo avuto da maggio un boom di ordinativi. E i mesi da settembre a dicembre sono bastati per tornare di fatto ai ritmi pre Covid, grazie anche alla riorganizzazione in atto in azienda, con la focalizzazione sulle aree di business a maggior valore aggiunto. Attualmente siamo in una fase positiva, ovviamente la guerra e tutto quanto connesso sul fronte geopolitico ed energetico continuano ad essere elementi di incertezza sul mercato, aggiungendo altre sfide al lavoro quotidiano».

Albini potrebbe risentire in maniera lieve di questo clima sia perché opera appunto nel lusso che per definizione è un settore resiliente, sia perché ha appreso la lezione della pandemia. Ovvero che i cigni neri sono un imprevisto prevedibile e che bisogna corazzarsi per essere pronti a riposizionarsi e ripartire. «Il tema dei costi delle materie prime non si risolverà in breve termine, ma siamo positivi e abbiamo progetti che ci pongono anche di fronte in una posizione migliore rispetto al pre pandemia. Alla pandemia abbiamo infatti risposto immaginando proposte innovative per i clienti e mantenendo il servizio elevato a cui sono abituati. Altri nostri concorrenti hanno fatto più fatica. Noi abbiamo rafforzato il posizionamento commerciale: esportiamo in più di 80 paesi al mondo e conosciamo approfonditamente tutti i mercati». L’Italia in quanto patria dell’alta moda resta il mercato più importante, seguita da Francia e Usa e poi da Germania, Uk e Spagna. E infine dal Giappone che è un cliente molto importante.

 

Struttura da multinazionale, anima da artigiani

Il fatturato di Albini Group, con oltre 9 milioni di metri di tessuti, in 20mila varianti diverse, venduti in 86 paesi in tutto il mondo, si aggira sui 133 milioni (dato 2021) avendo praticamente recuperato il dato pre Covid a circa 140 milioni, dopo un 2020 difficile in cui il fatturato ha perso il 30% fermandosi a 98 milioni di euro

Albini è un gruppo strutturato, una piccola multinazionale. Il cotonificio è sotto il controllo della holding. A lato, c’è Albini Energia, uno spin off di cotonificio Albini, una esco che progetta impianti, e si occupa di cogenerazione, sistemi di riutilizzo di acqua nel finissaggio. Sotto il cotonificio, c’è il ramo de “I cotoni di Albini”, con 53 milioni di fatturato nel 2021, che vende filati, e lo fa presidiando la filiera, dalla coltivazione del cotone alla realizzazione della filatura che vendiamo ai produttori di maglieria. Per dar forza alla spinta commerciale, nell’ultimo decennio sono state inoltre inaugurate le sedi commerciali di Albini Trading Shanghai e le sedi commerciali di Usa e Hong Kong. «In Egitto abbiamo un importante polo produttivo perché nella regione si coltiva uno tra i più bei cotoni al mondo per lunghezza del filo e lucentezza del filato. Deitfur è invece una tessitura operativa in Repubblica Ceca che era uno dei nostri migliori fornitori e che noi abbiamo acquisito. In Italia si svolge tutta la parte concettuale, la tintoria, la tessitura e sono concentrati i servizi, la logistica, il finissaggio».

Nel 2010 il gruppo ha lanciato il suo primo e-commerce sul quale oggi passa il 90% del business della linea Bespoke, rafforzata poi con la creazione della app Fabric Butler. «La linea Bespoke è il su misura che è il nostro “cliente principale” se mettiamo assieme tutte le vendite, che pesano sul fatturato totale circa il 6%. Abbiamo 400 clienti come piccoli sarti o negozi che ricevono il cliente che vuole la camicia su misura. Il cliente visiona e ordina online il tessuto, noi garantiamo la spedizione entro 24/48 ore. Attraverso l’app il cliente può successivamente ordinare anche in autonomia e riceverlo dal suo sarto per farsi confezionare una nuova camicia».

 

La sostenibilità come motore di innovazione

Albini è molto attenta alla sostenibilità. Dalla tracciabilità dei cotoni alla garanzia della loro organicità e del rispetto dei diritti umani nei luoghi di lavoro dalla raccolta sul campo di cotone fino alla creazione del tessuto. Per cui terzisti e stabilimenti a cui ci rivolgiamo devono essere tutti certificati.

La pandemia è stata l’occasione per riposizionarsi in base alle richieste dei clienti. Albini, da leader di mercato nel suo settore, ha sempre innovato in termini di prodotto e stile. «La nostra collezione era sempre quella di spicco in tutte le fiere e faceva da benchmark per tutte le altre – dice il presidente – ma a un certo punto, circa dieci anni fa, non bastava più. Abbiamo dovuto aggiungere nel tempo altri plus oltre alla bellezza e ci siamo rivolti ai temi della sostenibilità, quindi dalla tracciabilità dei cotoni alla garanzia della loro organicità e del rispetto dei diritti umani nei luoghi di lavoro dalla raccolta sul campo di cotone fino alla creazione del tessuto. Per cui terzisti e stabilimenti a cui ci rivolgiamo devono essere tutti certificati. Valutando che il processo di produzione fosse il più pulito possibile». Ambiente e società, dunque, al centro dell’attenzione, per quella che è una delle filiere più inquinanti dell’industria. «La sostenibilità è diventata elemento fattuale e concreto, un vero e proprio asset spendibile». Sul fronte dell’ambiente Albini Group ha investito sia internamente spingendo sull’efficienza energetica, con autoproduzione di energia elettrica da solare, eolico e idroelettrico, sia in termini di innovazione di processo.

 

Albini_next, il think tank che sta rivoluzionando la produzione tessile con le start up industrializzata

Albini è un gruppo strutturato, una piccola multinazionale. Il cotonificio è sotto il controllo della holding. A lato, c’è Albini Energia, uno spin off di cotonificio Albini, una esco che progetta impianti, e si occupa di cogenerazione, sistemi di riutilizzo di acqua nel finissaggio

E in questo contesto è nato a fine 2019 il progetto Albini_next, un vero e proprio laboratorio di innovazione che ha sede nel Kilometro Rosso di Bergamo e che sta rivoluzionando l’innovazione sostenibile della filiera tessile. «Già tutte le sostanze chimiche che utilizziamo erano certificate secondo tutti gli standard internazionali, con Albini_next abbiamo fatto molti passi in avanti sui coloranti, che sono un tema delicato in quanto essendo a contatto con la pelle devono garantire la massima salubrità e sicurezza». I progetti in corso di sviluppo sono diversi, ma tutti hanno dei tratti comuni. «Cooperiamo con altre aziende, università, startup e centri di ricerca di altri brand del lusso. Questi ultimi sono molto interessati a cooperare con chi come noi conosce la filiera a monte… ma abbiamo collaborato anche con un’azienda che fabbrica lavatrici per capire come limitare uscita delle microfibre che causano inquinamento. Abbiamo allargato il nostro business e oggi firmo almeno tre accordi di collaborazione al mese». Una volta selezionata l’idea, Albini_next la sviluppa nelle strutture industriali di Albini, rendendo possibile la messa a terra in tempi rapidi e costi relativamente contenuti per quella che è a tutti gli effetti una start up.

 

I progetti di colorazione naturale in sviluppo grazie a Albini_next

A fine 2019 nasce il progetto Albini_next, un vero e proprio laboratorio di innovazione che ha sede nel Kilometro Rosso di Bergamo e che sta rivoluzionando l’innovazione sostenibile della filiera tessile

I progetti che sono già stati presentati sono quattro. Il primo si chiama Off the Grain e deriva dalla collaborazione con Riso Gallo, una delle più antiche industrie risiere italiane. Il risultato è una nuova tipologia di tintura ricavata da una particolare varietà di rise nero coltivato in Lombardia e Piemonte. Il riso giunge a maturazione tra settembre e ottobre, quando viene raccolto e sottoposto a una serie di processi tra cui il lavaggio e la bollitura. L’acqua che rimane viene smaltita, in quanto non più utilizzabile per la filiera alimentare: Albini_next la recupera e la trasforma in una tintura naturale. La tecnica di colorazione garantisce, in fase di tintura, un risparmio idrico compreso tra il 30% e il 40% rispetto ai procedimenti tradizionali. «Ci sono voluti vari tentativi ma alla fine siamo riusciti a creare quattro diverse tipologie di tintura nelle nostre vasche per tingere i nostri filati in diverse gradazioni di beige e anche in marrone, con un colorante che anziché derivare dal petrolio è naturale e made in Italy».

Ancora, da Albini_next sono usciti coloranti re-Oxyde che derivano dal processo di ossidazione del ferro, «che otteniamo a partire da residui di lavorazione dell’industria che produce macchinari per la casa, lavatrici e lavastoviglie». Il processo ha inizio con il recupero degli scarti di lamiera utilizzati per la creazione di elettrodomestici. Questi materiali ferrosi di scarto vengono ossidati e trasformati in polvere. La polvere viene successivamente additivata a una pasta che rende il prodotto pronto per essere impiegato nelle successive fasi di tintura. Il risultato è un pigmento inorganico in tre diverse colorazioni (rosso, nero e giallo). Tale pigmento viene infine ancorato alla fibra per mezzo di un polimero bio-based. Per aumentare la gamma colori, Albini_next ha scelto di utilizzare anche il colore blu che, diversamente dagli altri colori, non è un ossido da riciclo ma si ottiene da una miscela di ossidi. E infine, nel campo dei colori, l’ultimo progetto è il Grounded Indigo, una tintura ricavata dalla Indigofera suffruticosa, una pianta coltivata tramite pratiche di agricoltura rigenerativa nelle regioni del Tennessee, del Kentucky e della Florida meridionale. Anche questa ricerca è stata condotta con la collaborazione con Stony Creek Colors, produttore americano dell’unico indaco al mondo 100 % plant-based certificato Usda BioPreferred (lo standard che valuta il contenuto biobased di un prodotto).

Tutte le sostanze chimiche che Albini utilizza erano certificate secondo tutti gli standard internazionali, con Albini_next abbiamo fatto molti passi in avanti sui coloranti, che sono un tema delicato in quanto essendo a contatto con la pelle devono garantire la massima salubrità e sicurezza

«Per ottenere il colore indaco del denim – dice Albini – si usano procedimenti prettamente sintetici: noi lo ricaviamo da una pianta, che viene coltivata con agricoltura rigenerativa ovvero in modo che non si esauriscano le risorse del suolo. I processi che utilizziamo hanno un impatto positivo per il clima e l’ambiente». Una volta raccolta, la pianta di indaco viene trasformata in colorante tramite tre fasi: la prima è l’estrazione con l’acqua; in seguito l’acqua si separa dalla biomassa, il Ph viene regolato e si ottiene un liquido di colore giallo. A contatto con l’aria il colorante si ossida e da giallo si trasforma nel classico colore indaco. Infine il pigmento viene essiccato e macinato in polvere. «Albini_next è riuscito a industrializzare la ricetta chimica corretta per applicare la tintura direttamente sul filato e garantire, allo stesso tempo, che l’intero processo sia coerente con la sostenibilità della produzione dell’indaco naturale». Un ultimo progetto, in un ambito diverso, è un olio che deriva dalla canapa «che abbiamo usato al posto di silicone in fase di finissaggio per dare una mano morbida al tessuto». Si chiama HempFeel e deriva dalla collaborazione con Montex Italia, azienda cosmetica che usa anche un derivato della canapa sativa come ingrediente dei suoi prodotti. «Si tratta – spiega Albini – di un olio vegetale, biodegradabile al 95%, che non contiene siliconi e non rilascia microplastiche e che conferisce al tessuto una mano incredibilmente morbida e delicata. Inoltre, dopo diversi lavaggi la mano del tessuto non cambia significativamente».














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