Non solo astropreneurs: quale destino dell’aerospazio italiano, manifattura da 50 miliardi di euro? Con Bain

di Laura Magna ♦︎ Sono sei i driver di sviluppo del comparto: sostenibilità, intelligenza artificiale, soluzioni di mobilità avanzate, connettività, nuovi rischi, geopolitica. L’Italia conta oltre 20.000 aziende: come Leonardo, Avio, Fincantieri, Costruzioni Aeronautiche Tecnam, Magnaghi, Sime, Tekné, Sitael, D-Orbit. Siamo l’unico Paese al mondo con le capacità di costruire in casa un velivolo nella sua interezza: chassis, motore, elettronica avanzata. E su difesa e armamenti… Ne parliamo con Pierluigi Serlenga

Tra astropreneurs (i nuovi imprenditori privati dello spazio), voli a corto raggio e corsa agli armamenti, il macro settore aereospazio e difesa è in profonda trasformazione. Una trasformazione guidata da una stella polare: quella della sostenibilità, che in ottica industriale è l’altra faccia della medaglia della digitalizzazione. Lo spiega a Industria Italiana Pierluigi Serlenga, il nuovo managing partner per l’Italia e co-responsabile globale della practice Aerospace, defense & government services di Bain & Company.

Bain & Company ha redatto per Industria Italiana uno studio in esclusiva su questo fondamentale comparto manifatturiero, delineandone una panoramica complessiva e tracciando le sei direttrici dello sviluppo futuro (oltre alla sostenibilità, i driver saranno l’intelligenza artificiale, le soluzioni di mobilità avanzate, la connettività, i nuovi rischi e la geopolitica). È un’industria ampia e sfaccettata, con un valore di 50 miliardi di euro in Italia, 260 miliardi in Europa e tra 1,5 e 2mila miliardi nel mondo. Ed è trainante nelle economie manifatturiere come quella domestica, dove conta su oltre 20.000 aziende ed esprime campioni nazionali trasversali e diversificati (Leonardo, Avio, Fincantieri), a capo di filiere complesse di Pmi nella componentistica ad elevato valore aggiunto. Che fa sì che l’Italia sia l’unico paese al mondo con le capacità di costruire in casa un velivolo nella sua interezza, dallo chassis, al motore, all’elettronica avanzata.







 

I sei trend che guideranno lo sviluppo di aerospazio e difesa e spingeranno l’M&A in Europa

Pierluigi Serlenga, managing partner per l’Italia e co-responsabile globale della practice Aerospace, defense & government services di Bain & Company

Prima di addentrarci nell’analisi va fatta una premessa. Quando si parla di aerospazio e difesa il riferimento è in realtà ad almeno quattro industrie diverse. Quella dei costruttori di velivoli per voli commerciali, quella dello spazio vicino e remoto per applicazioni commerciali; la produzione di strumenti di difesa e i servizi per i governi. Le tecnologie e le aziende produttrici sono in parte le stesse per i quattro segmenti. E un fattore che le accomuna è anche il rafforzamento della sostenibilità (ambientale ed economica). «L’applicazione dei criteri Esg in ambito produttivo ha un impatto significativo su tutti i segmenti – sottolinea Serlenga – ma in particolare nei voli commerciali che già oggi si stanno orientando su sistemi di propulsione ibridi, su carburanti verdi e in generale sul miglioramento dell’efficienza. Anche le aziende della difesa che competono per fornire servizi e prodotti ai governi dovranno integrare sempre più criteri Esg per poter accedere alle gare pubbliche. Negli Usa, nelle gare pubbliche che hanno valori multimiliardari il department of Defense ha iniziato a introdurre requisiti esg, legati all’ambiente ma anche alla diversity e c’è grande sensibilità anche da parte dei mercati finanziari. È un trend di grande impatto reale, perché l’industria si adegua a partire dalla reportistica, per riformare il ciclo di vita dei prodotti arrivando all’introduzione di economia circolare sulle linee».

Ovviamente per adeguarsi alle richieste di sostenibilità, in particolare ambientale, l’industria dovrà spingere ancora di più sulla digitalizzazione. «Prevediamo che l’intelligenza artificiale possa causare grande discontinuità in tutti i segmenti e in particolare nella difesa e nei servizi governativi – continua Serlenga – con l’Ai è strettamente interconnessa la nuova smart mobility, che imporrà cambiamenti nelle linee produttive di velivoli che siano adatti al volo autonomo e verticale. Infine la geopolitica e i nuovi rischi connessi determineranno le strategie di business di diversi operatori». Queste trasformazioni in corso determineranno una serie di conseguenze anche in termini di consolidamento. «I player europei – dice Serlenga – devono darsi una lista di priorità e concentrarsi sulle nicchie di mercato che generanno maggior domanda e che dunque hanno un evidente vantaggio competitivo, dall’elettronica per la difesa ai velivoli a trazione green. D’altro canto, dovranno costruire alleanze con nuove aziende e startup dirompenti e dovranno farsi poli aggregatori di una necessaria nuova fase di consolidamento per restare competitive in un mercato che resta molto Usa-centrico».

I sei trend che guideranno lo sviluppo di aerospazio e difesa e spingeranno l’M&A in Europa

Aviazione commerciale e difesa: chi sono i principali player europei e come evolvono i due mercati

Il widebody 777X di Boeing con motori GE9X, su cui sono montati componenti Avio Aereo

«Il mercato europeo è cresciuto a un tasso annuo del 3% tra il 2014 e il 2019. Poi la pandemia ha avuto un forte impatto e i primi dieci player hanno subito un calo medio della capitalizzazione del 29% dalla fine del 2019 all’inizio del 2021 (nonostante la resilienza dei ricavi della Difesa)», ricorda Serlenga. Entrando nello specifico dei segmenti, per l’aviazione commerciale il cambiamento è iniziato proprio con la pandemia e con i lockdown (che in Cina proseguono a danno dell’economia) che hanno ridotto all’osso i voli sul lungo raggio. In generale i voli commerciali non sono mai riusciti a recuperare i livelli pre Covid e la recessione in arrivo non promette nulla di buono per il futuro. Resistono e si prevede continueranno a tenere solo i voli a corto raggio, pertanto i costruttori europei (i principali sono Boeing e Airbus) stanno spingendo la produzione di velivoli narrow body, che superano già i wide body. Per questi grandi carrier lavora tutta la filiera italiana delle pmi di aviazione e aerospazio. Quanto all’ambito della difesa, sembra essere diventato un imperativo dei governi sia europei sia Usa l’aumento della spesa. «Un elemento di grande portata e importanza è la crisi geopolitica russa ucraina – precisa Serlenga – che ha un impatto più in Europa che negli Usa. La guerra ha fatto scaturire la necessità di riconsiderare in senso positivo l’importanza della difesa come asset strategico nei Paesi europei e c’è stato un incremento dei budget asserviti alla difesa nel giro di pochissimi mesi. In particolare in Germania, Francia, Italia».

Impianto di produzione dell’Airbus A320

I budget per la difesa in Europa stavano in realtà già aumentando di circa il 3% all’anno in seguito all’annessione della Crimea nel 2014 e la spesa militare globale aveva superato per la prima volta i 2.100 miliardi di dollari nel 2021. Se i paesi Nato si allineassero ora tutti all’obiettivo di una soglia di spesa in difesa pari al 2% del PIL, al 2030 l’aumento dei bilanci militari europei sarebbe del +41% rispetto al 2021. La crescita dei budget per la difesa si tradurrà in ordini significativi ma anche aumenti dei costi e dei prezzi per i produttori di tutti i segmenti – dai missili e munizioni ai sistemi di difesa terrestri, navali, aerei ed elettronici – per i quali occorrerà prepararsi in modo proattivo, valutando anche i rischi per gli approvvigionamenti di parti e materiali. Infatti, nonostante già nel 2020 e 2021 le aziende presenti sia sul business civile che militare abbiano spostato il baricentro sul militare per compensare il calo del business sul fronte civile; oggi la fornitura di armi all’Ucraina genera un nuovo rischio: che la domanda sia superiore alle capacità produttive europee. Il che rappresenta evidentemente un nuovo rischio industriale da vagliare con attenzione.

Le specificità italiane: una Filiera di eccellenza

ATR 72 500 at Leonardo Pomigliano D’Arco (NA) plant. Copyright: © Leonardo S.p.A. and subsidiaries

Abbiano accennato che l’Italia ha alcune specificità industriali uniche nell’ampio settore dell’aerospazio e difesa. Si tratta di un’industria molto frammentata ma che nella sua interezza vale 16 miliardi di euro, occupa 180mila persone ed è quarta in Europa e settima al mondo. E copre l’intera filiera: dalla ricerca e sviluppo (in cui in media viene investito il 20% del fatturato) alla progettazione, alla produzione, alla componentistica. È un sistema dominato da grandi campioni nazionali come Leonardo e Fincantieri e una struttura di Tier 1 e Tier 2 con grandi competenze e posizionamento di eccellenza sui mercati internazionali. «Questi Player rivestono importanza strategica per natura degli azionisti (quota rilevante dello Stato), dimensione industriale, contenuto tecnologico e mercati serviti (governo, PA, difesa e sicurezza) – continua Serlenga – e si caratterizzano per essere capofiliera di una struttura piramidale ad alta intensità tecnologica con una catena di fornitura costituita da pmi, ma anche microimprese che fatturano un milione o poco più, estremamente specializzata e locale».

I fornitori e subfornitori sono dunque un mare magnum. I distretti più forti sono in Campania e in Lombardia. Quanto ai nomi delle aziende fornitrici, ne citiamo alcuni, senza alcuna pretesa di esaustività. Per esempio le Costruzioni Aeronautiche Tecnam, azienda fondata in Campania nel 1986 e attiva nella produzione di parti di aeromobili per Boeing e Atr) e con una propria gamma di velivoli (il gruppo ha consegnato oltre 5.500 aerei in tutto il mondo). Nel napoletano ha sede anche Magnaghi Group, con attività in Brasile e Stati Uniti, e all’attivo la produzione di oltre 20mila carrelli di atterraggio per più di 7mila velivoli. A Novara Sime fa tornitura e fresatura per Airbus. Di elettronica e sistemi si occupa Tekné che a Chieti (dove ha acquisito il locale stabilimento di Thales Italia Spa) fa progettazione, produzione, trasformazione, allestimento, commercializzazione ed assistenza di veicoli (industriali, speciali, militari, per trasporto persone). «La dimensione media dei player è inferiore a quella di altri paesi europei – dice Serlenga – ed è probabile che il mutato contesto del mercato spinga verso fusioni e acquisizioni. Le aziende europee metteranno sempre più a fattor comune le proprie forze, ma anche jv e alleanze. La situazione attuale di crisi porterà a portare il business oltre i confini nazionali e questo creerà nel medio lungo periodo campioni sovranazionali capaci di stare sul mercato globale in modo più pronto».

Il comparto aerospazio e difesa è un’industria ampia e sfaccettata, con un valore di 50 miliardi di euro in Italia, 260 miliardi in Europa e tra 1,5 e 2mila miliardi nel mondo. Ed è trainante nelle economie manifatturiere come quella domestica, dove conta su oltre 20.000 aziende ed esprime campioni nazionali trasversali e diversificati (Leonardo, Avio, Fincantieri), a capo di filiere complesse di Pmi nella componentistica ad elevato valore aggiunto. Che fa sì che l’Italia sia l’unico paese al mondo con le capacità di costruire in casa un velivolo nella sua interezza, dallo chassis, al motore, all’elettronica avanzata
Sistemi e componenti di Fincantieri

Qualche tentativo è stato fatto “per esempio nel mondo del sistema di atterraggio dei carrelli ma si andati poco lontano. È un tema non tanto di incapacità o non competitività delle tecnologie di queste aziende che spesso sono leader mondiali e forniscono altri grandi player in giro per il mondo ma di tenuta. Nei periodi di debolezza economica, le piccole imprese soffrono e questo va a scapito anche dei capofiliera: senza consolidamento è a rischio la catena produttiva dei grandi player, come Leonardo e Fincantieri. «Entrambi hanno una visione molto evoluta della loro supply chain e la gestiscono con un concetto di partnership e non con la logica della negoziazione pura e dello squeezing dei termini contrattuali, incluso il prezzo – afferma Serlenga – questa è l’ottica giusta: lavorando in partnership, facendo codesign e coproduzione nei programmi internazionali si condivide anche il rischio e nonostante l’estrema sproporzione nei numeri sono pari». La conformazione della filiera italiana è stata un vantaggio con la deglobalizzazione e la rottura delle supply chain. «Essendo un sistema piuttosto locale, regionale ed europeo non ha avuto e non avrà problemi sulle forniture di componenti sia di base sia a valore aggiunto. Alcune speciality arrivano dagli Usa ma non vedo tantissimi rischi. Certamente per i sistemi avionici c’è un tema di materie prime, non tanto acciaio e alluminio che arrivano da Usa e Giappone, quanto le leghe che provengono da Russia e Ucraina. Ma questo problema è più ampio e non si risolve all’interno della filiera aerospace. Dunque il tema non è tanto di un’ulteriore riprotezione della filiera in Europa dove c’è già copertura, ma di mantenere le capacità nazionali e favorirne la naturale evoluzione in termini dimensionali e soprattutto l’internazionalizzazione», afferma il capo italiano di Bain & Company.

 

Aerospazio: l’ingresso dei privati e la “democratizzazione” della tecnologia

Simulatore spaziale Sitael

Anche l’industria dell’aerospazio italiano (che in molti casi coincide sul fronte produttivo con le altre due) è organizzata nella stessa maniera. Con poli regionali forti, come Torino e Bari, centri nevralgici della new space economy. L’Asi (Agenzia Spaziale Italiana), con un miliardo di euro all’anno di budget e un approccio sistemico continua a essere di fatto l’abilitatore di tutto l’ecosistema e l’interesse a livello istituzionale cresce, come dimostra anche il Pnrr che al comparto stanza 1,29 miliardi di euro. Insieme alle già citate Avio e Leonardo (con Thales Alenia Space e Telespazio), in Italia operano medie imprese eccellenti da Sitael, specializzata nella costruzione di piccoli satelliti come Argotec ad Altec che si occupa di servizi logistici di supporto alla Stazione Spaziale Internazionale. Oltre a una serie di pmi e startup (da T4I, basata a Padova, nelle tecnologie di propulsione, alla comasca D-Orbit, focalizzata nei trasporti di satelliti, o ancora la triestina Picosats, nello sviluppo di tecnologie per microsatelliti. E le napoletane, Latitudo 40 e Sidereus Space Dynamics, attive nell’utilizzo dei dati geospaziali e nei lanciatori di nuova generazione). E anche in questo caso, l’Italia presidia l’intera filiera dei device spaziali, dal software, al motore, al lanciatore, allo chassis. Sul fronte dell’aerospazio i cambiamenti strutturali sono iniziati prima della pandemia. La space economy ha globalmente un valore stimato tra i 350 ai 450 miliardi di dollari. Sono oltre 400 miliardi di dollari secondo il provider di dati Statista. Di questi enorme giro di affari, l’80% deriva da aziende di tipo prettamente commerciale. Un report di Morgan Stanley, dal titolo Space: Investing in the Final Frontier prevede che il settore raggiungerà la dimensione di mille miliardi di dollari nei prossimi anni.

ION Satellite Carrier. Molti Ion (così di chiamano le piattaforme satellitari che muovo i carichi dei clienti nello spazio, ndr) di D-Orbit vengono lanciati con il Falcon9 di SpaceX. Ma anche con lanciatori europei, tra cui spicca il Vega dell’italiana Avio

La ragione sta primariamente nell’ingresso dei privati. Un quinquennio fa da ambito di ricerca pubblica e militare lo spazio è diventato alla portata delle imprese private: lo Space Act di Obama diede il là a questa liberalizzazione nel mercato dei lanciatori, che prima erano in mano alle agenzie spaziali e alle grandi aziende e sviluppate intorno a grandi commesse di Nasa negli Stati Uniti e di Esa in Europa. Con l’apertura ai privati, dai pionieri Jeff Bezos, Elon Musk, Richard Branson e le loro Blue Origin, SpaceX e Virgin Galactic, sono nate decine di società focalizzate su progetti a rapido sviluppo e con scopo commerciale, gli “astroprenuers”. I progetti di lancio anno dopo anno sono aumentati in maniera esponenziale perché nel frattempo i costi della tecnologia si sono abbassati in maniera drastica (e la tecnologia ha offerto sempre più opportunità di realizzare in pratica la visione degli imprenditori). Le direttrici dello sviluppo sono chiare nei due settori della new space economy: l’upstream che è la tecnologia che serve per andare nello spazio e produrre servizi tramite lo spazio; e il downstream, ovvero i servizi a terra – nell’agricoltura, nel settore assicurativo, nella logistica, nel marketing, in situazioni di disaster recovery, nel monitoraggio di infrastrutture – che si possono fornire usando l’aerospazio, captando i dati dallo spazio.














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