Ma esiste una via italiana all’Industry 4.0 ? E di che si tratta? Il tema alla Biennale Innovazione alla Biennale di Venezia

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di Laura Magna ♦ La terza edizione di Biennale Innovazione ha riunito imprenditori, docenti, studenti per condividere le idee e la loro trasformazione in modelli di business  in relazione alla definizione degli impatti strategici della Quarta Rivoluzione Industriale. 

Si è svolta al Campus economico di San Giobbe, a Venezia, la  Biennale Innovazione . Un’edizione tutta all’insegna dell’Industry 4.0, ccon l’obiettivo di individuare il percorso che le imprese italiane devono seguire, compiendo un cambiamento di struttura e di cultura tale che consenta loro di dotarsi di un modello di business nuovo, per guardare al futuro senza paura.

Con Industria Italiana   partner dell’evento,  la due giorni ricca di interventi (qui il programma ),  si è svolta nell’Aula Magna del Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, accanto allo Strategy Innovation Hub, luogo di incontro tra accademia e impresa, il primo al mondo con questa formula, nato con lo scopo di favorire la generazione e la condivisione di idee innovative e la loro trasformazione in modelli di business di successo in relazione alla definizione degli impatti strategici dell’Industry 4.0.







Carlo Bagnoli
Carlo Bagnoli, Professore Associato di Innovazione Strategica all’Università Ca’ Foscari

«iamo presentato questo nostro progetto, lo Strategy Innovation Hub, nel corso della Biennale . – dice a Industria Italiana Carlo Bagnoli, Professore Associato di Innovazione Strategica all’Università Ca’ Foscari, uno dei Direttori scientifici della manifestazione – In una palazzina di quattrocento metri quadrati abbiamo creato insieme a Sharp e all’azienda italiana della  domotica Nice una struttura dotata di tecnologie soprattutto di digitalizzazione. Vogliamo dare vita in questo luogo a un punto di ritrovo per le imprese sul tema dell’innovazione strategica, e in particolare modo sulle sfide portate da industria 4.0.

Questo hub – prosegue Bagnoli- cerca di connettere discipline umanistiche con scientifiche, non a caso ci definiamo “indisciplinati”; ma anche ricerca e azione, perché siamo dentro un campus ma coinvolgiamo gli imprenditori. Lo Strategy Innovation Hub vuole essere anche un punto di incontro generazionale tra coloro che già sono operativi nelle imprese e gli studenti, che dovranno innestare le loro energie fresche proprio in quelle organizzazioni in un futuro più o meno lontano».

Il progetto è molto innovativo perché di solito gli innovation hub sono stati creati in imprese o come acceleratori da soggetti istituzionali, mentre per Bagnoli «noi siamo i primi ad aver raccolto gli innovatori dentro l’università come luogo pubblico, di tutti, ma anche e soprattutto come sede di ricerca che produca una reazione. Si tratta di un primo tentativo, con al centro l’idea di creare una community di innovatori innestandoli in un campus universitario. Un ponte che aiuti le imprese a trasformare il paradosso tra stabilità e cambiamento e che ospiti incontri periodici e continuativi, al di là di quello annuale della Biennale.»

«Dunque eventi formativi, conferenze e workshop alimenteranno costantemente questo palazzo, la casa delle idee. E che questo approccio innovativo alla creazione veda la luce a Venezia, città costellata di ponti ed essa stessa ponte tra Oriente e Occidente, tra arte e impresa, tra memoria e immaginazione, non è un caso», continua Bagnoli.

La manifestazione

La prima giornata è stata dedicata al tema “Quali strategie per Industry 4.0” con quattro dibattiti. Dapprima la sessione “Industry 4.0 impacts on strategy” che proporrà i risultati emersi dalla ricerca condotta dal team di ricerca di KPMG e dall’ Università Ca’ Foscari: Ne parleranno Emma Sech, Active Researcher di Strategy Innovation, Carmelo Mariano, Partner di KPMG Advisory e Maurizio Massaro, Ricercatore dell’Università degli Studi di Udine.

E’ stata quindi la volta della sessione “Technology innovation offer“,  vale a dire come lo SMACT (acronimo di Social network, Mobile platform & apps, advanced Analytics and big data, Cloud e internet of Things) Competence Center delle Università delle Venezie potrà costituire un ecosistema capace di mettere in relazione le imprese significanti con gli attori dell’innovazione, per permettere alle prime di crescere quali-quantitativamente, traducendo in nuovi modelli di business le opportunità offerte dalle nuove tecnologie.

La sessione a seguire  è stata “Market innovation need”.  Un indagine sui diversi aspetti strategici dell’Industry 4.0: Riccardo Sabatini, Scientist di Human Longevity Inc., ha parlato  di classificazione del genoma e di medicina personalizzata; Anna Amati, Vice-President di METAGroup, di ecosistemi imprenditoriali all’interno dei contesi urbani nell’era della digitalizzazione; Lucio Lanza, Managing Director di Lanza TechVentures,  ha trattato la velocità esponenziale della disponibilità tecnologica. Cybersicurezza e business continuity i temi trattati invece da Emanuele Cordero di Vonzo, CEO di Assiteca. Conclusioni di  Luisa Arienti, Amministratore delegato di SAP Italia.

Massimo Klun, Amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Forvalue S.p.a. e Carlo Bagnoli, Professore di Innovazione Strategica dell’Università Ca’ Foscari Venezia nell’ultima sessione di venerdì “Strategy innovation fit” hanno parlato dell’attività dello Strategy Innovation Hub all’interno del Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari Venezia: una piattaforma di confronto fisica e virtuale per favorire la generazione e la condivisione di idee innovative e del legame necessario fra imprese, banca e accademia.

Il cuore di Biennale Innovazione è rappresentato dalle sessioni del sabato, che hannp visto  alternarsi interventi in stile Ted Talk, momenti di confronto per la diffusione di idee di valore con ospiti d’eccezione e che rappresentare il meglio dei loro settori, e “Tavoli di lavoro” (le imprese verranno portate a discutere fra di loro intorno a tavoli ristretti intorno alle personali aspettative strategiche). Introdotte da Mattia Crespi, Research Affiliate di Institute for the Future,  sono state dedicate a quali potranno essere i modelli di business del futuro. A seguire,  l’esposizione di quattro modelli di business innovativi indotti dall’Industry 4.0, basati ciascuno su rivoluzioni derivanti da tre grandi impatti strategici attesi.

Produzione

Fabrizio Dughiero, Professore di Elettrotecnica dell’Università degli Studi di Padova, ha introdotto gli interventi intorno al modello di business basato sulla Paradox Transformation. Gabriele Caragnano, Partner Industry 4.0 Operations Leader di PwC, ha parlato di mass customization: il superamento delle economie di scala dovuta alla maggiore flessibilità e capacità di evolvere dei sistemi produttivi abilita modelli di business Long Tail, permettendo l’adattabilità e la conformità dei prodotti alle mutevoli esigenze dei consumatori, senza rinunciare all’efficienza della produzione in serie.

Ciò permette di trasformare il paradosso “produzione (industriale) in larga serie vs. prodotto (artigianale) personalizzato”Giorgio Basile, Presidente di Isagro ha parlato di licensing: l’opportunità di trasformare i big&open data prodotti dalle nuove tecnologie digitali in conoscenza abilita modelli di business Intellectual Property-based, incentrati sulla creazione di standard tecnologici aperti e sulla loro monetizzazione attraverso servizi di Licensing rivolti a OEMs e competitors.

Consumo
Con riferimento al Consumo Alessandra Poggiani, Direttore Generale di Venis s.p.a., ha introdotto  gli interventi intorno al modello di business basato sui Data & Analytics.

Scambio
Allo Scambio sono dedicati gli interventi intorno al modello di business identificato come As-a-Service-Business-Model. Nicola Michelon, Chief Executive Officer di Unox s.p.a., parlerà di servizi Add-on hardware: l’internet of service permette alle imprese che hanno una conoscenza profonda dei propri prodotti industriali e di consumo di offrire anche a distanza servizi complementari (es.: manutenzione predittiva) finalizzati a supportare i clienti nell’ottimizzarne l’utilizzo. La raccolta e successiva monetizzazione dei dati necessari all’erogazione di questi servizi “fisici” può permette poi di generare ulteriori ricavi continuativi.

Distribuzione
Stefano Micelli, Professore di International Management dell’Università Ca’ Foscari Venezia, ha moderato gli interventi intorno al modello di business basato sulle platforms.

 

Filippo Astone, Direttore di Industria Italiana, modererà il dibattito conclusivo
Filippo Astone, direttore di Industria Italiana e conduttore su Radio 24 del programma Fabbrica 2.4., modererà il dibattito finale

La tavola rotonda conclusiva: Business Model Innovation for Made in Italy 4.0

L’innovazione è cambiamento, è discontinuità e rischio. Ma è qualcosa che nelle imprese deve necessariamente declinarsi in un approccio pragmatico e in soluzioni tecniche efficaci ed efficienti. Il confronto vivo di Biennale Innovazione produce risultati tangibili in termini di aspettative  per gli impatti sui Business Models derivanti dall’Industry 4.0. I risultati emersi che delineano la via per l’Italia all’Industry 4.0. sono stati  discussi  sabato nel tardo pomeriggio, nella tavola rotonda conclusiva della Biennale, moderata da Filippo Astone, direttore di Industria Italiana e conduttore su Radio 24 del programma Fabbrica 2.4.

Una discussione   focalizzata sulle imprese nazionali di cui Astone, per tanti anni in forza al Mondo, il settimanale illustrato del Corriere della Sera, è esperto avendo pubblicato sei libri dedicati alle vicende del capitalismo italiano: Gli Affari di Famiglia (Longanesi, 2009), Il Partito dei padroni (Longanesi, 2010), Italia Low Cost (Aliberti, 2011), Senza Padrini (Tea 2011), La Disfatta del Nord (Longanesi, 2013), La Riscossa – Fabbriche e Europa per far decollare l’economia italiana (Magenes, 2014). L ‘ultimo pubblicato è Industriamo l’ Italia – Viaggio nell’ economia reale che cambia.

Tra i partecipanti alla tavola rotonda conclusiva  Stefano Barrese, Responsabile della Divisione Banca dei Territori di Banca Intesa Sanpaolo; Michele Parisatto, Amministratore Delegato di KPMG Advisory; Giuliano Busetto, Country Sector Chief Executive Officer di Siemens Industry; Matteo Marini, Presidente di ABB S.p.a.; Agostino Santoni, Chief Executive Officer di Cisco Italy e Alberto Baban, Presidente Piccola Industria Confindustria. Insieme metteranno a confronto i diversi percorsi delle “Vie per l’Italia all’Industry 4.0”. In base ai risultati della ricerca e delle impressioni e indagini emersi durante i tavoli di lavoro, il prof. Carlo Bagnoli, responsabile scientifico del progetto e ideatore dell’evento, traccerà un decalogo per guidare la ridefinizione strategica dei modelli di business delle imprese italiane

I temi del dibattito finale

Innanzitutto di come la trasformazione digitale del manifatturiero modifichi il modo di fare industria attraverso l’introduzione di soluzioni avanzate che consentono alle imprese di re-interpretare il proprio ruolo impattando lungo l’intera catena del valore. E poi soprattutto della definizione di una via italiana a Industry 4.0, nella convinzione che le trasformazioni in atto possono offrire molte opportunità per le filiere produttive italiane, sia sul fronte dell’efficientamento dei processi, della riduzione dei costi e del miglioramento della produttività, sia in termini di ripensamento dei prodotti, di nuovi servizi, di migliore capacità di reagire in breve tempo alle esigenze del mercato.

Il programma completo di Biennale Innovazione, con l’elenco di tutti gli interventi e i temi specifici, è disponibile qui. Ma per qualche anticipazione di quello che accadrà nel weekend veneziano Industria Italiana ha sentito alcuni dei principali protagonisti della due giorni.

 

Michele Parisatto
Michele Parisatto, partner di KPMG Advisory

La via italiana alla quarta rivoluzione industriale

Qual è l’approccio che le nostre aziende devono seguire per diventare 4.0? «L’Italia è il secondo paese manifatturiero in Europa. In questa prospettiva l’Industry 4.0 rappresenta una grande opportunità per un upgrade complessivo dell’infrastruttura digitale delle nostre imprese», dice uno dei partecipanti alla discussione conclusiva della Biennale Michele Parisatto, partner di KPMG Advisory, che però poi invita a un sano realismo.

Perché «a fronte di poche grandi imprese che hanno le risorse finanziarie e le competenze per agganciare la sfida, c’è poi tutto il tessuto delle nostre PMI, nella maggioranza dei casi rappresentato da aziende che dispongono di sistemi informativi obsoleti e non all’altezza dei nuovi paradigmi tecnologici. Dunque va fatto in primis un lavoro importante di assessment del parco tecnologico esistente e di valutazione del grado di maturità digitale. In generale c’è un primo problema di come portare l’Industry 4.0 nella PMI italiane che rappresentano la spina dorsale del nostro capitalismo industriale».

Il piano Calenda è un primo passo ma da solo non porta all’obiettivo. Anche perché, prosegue Parisatto «l’Industry 4.0 non è una questione meramente tecnologica, con impatti solo in termini di aumento di produttività o di riduzione dei costi (che pure sono significativi). Sarebbe un clamoroso errore strategico leggere questo cambiamento solo da questa angolatura». C’è un’enorme discontinuità legata all’innovazione tecnologica, secondo Kpmg, per cui la quarta rivoluzione incide in modo rilevante sull’intero business model delle imprese.

Basti pensare a come i D&A, l’IoT e le predictive analysis modificheranno in profondità le relazione con i clienti, accentuando ad esempio la componente di servizio, per aziende che fino ad oggi sono state guidate prevalentemente da logiche di prodotto. La via è un approccio integrato e olistico. «Da un punto di vista organizzativo è fondamentale ad esempio abbattere i sylos aziendali tra funzioni, creando degli ambienti collaborativi che siano in grado di valorizzare le interdipendenze. Le aziende italiane inoltre per accelerare il loro percorso verso l’Industry 4.0 devono anche abituarsi a collaborare con soggetti terzi (Università, Start Up, Società di Consulenza, Provider Tecnologici) che possono facilitare l’adozione delle nuove tecnologie, accelerando la business transformation.

Per Parisatto  quindi  « servono nuovi modelli d’impresa basati su logiche aperte, “ecosistemi” in grado di valorizzare competenze provenienti da tanti soggetti diversi. Gli impatti sulle aziende sono in ogni caso rilevanti e per questo l’Industry 4.0 rappresenta anche una notevole sfida “intellettuale” rispetto ai classici paradigmi del pensiero manageriale». Insomma, c’è molto lavoro da fare, secondo Kpmg, e per questo è importante che «al di là degli slogan, si inizi a superare la fase di sperimentazione e si intraprenda una fase esecutiva con progetti pilota, che possono avere un valore seminale per avviare processi di business transformation nelle aziende, passando concretamente dalle parole ai fatti».

 

Giuliano Busetto
Giuliano Busetto, CEO delle Divisioni industriali di Siemens in Italia.

Le soluzioni tecniche

Le soluzione tecniche per attuare la trasformazione delle aziende italiane sono già disponibili. Le offre per esempio il colosso tedesco Siemens, che nel suo core business ha le attività di automazione e digitalizzazione e che sulla manifattura italiana punta molto (ne avevamo parlato qui ). «Siemens mette a disposizione delle PMI e delle grandi aziende italiane soluzioni integrate di automazione e software industriale per gestire e ottimizzare tutta la catena di creazione del valore. L’obiettivo non è solo quello di fornire strumenti innovativi ma anche di supportare i clienti accompagnandoli, passo dopo passo, nel cammino evolutivo verso la manifattura 4.0», dice Giuliano Busetto, CEO delle Divisioni industriali di Siemens in Italia.

Con la propria Digital Enterprise Software Suite Siemens offre una piattaforma di prodotti, soluzioni, servizi e competenze integrate lungo l’intero ciclo di vita del prodotto; dalla sua ideazione alla progettazione, pianificazione e ingegnerizzazione dei processi produttivi, fino alla produzione e i servizi. Questo è possibile grazie a sistemi software come Teamcenter, NX e Tecnomatix per il PLM (Product Lifecycle Management), Simatic IT per il MES (Manucturing Execution System) , integrate con le piattaforme di automazione e controllo delle famiglie Simatic e Sinumerik per la Totally Integrated Automation.

Supportate dalla potente suite di ingegneria TIA Portal, forniscono soluzioni a 360°, in grado di soddisfare le esigenze dell’industria manifatturiera e di processo e di sostenere lo sviluppo di nuovi modelli di business, nei più svariati settori industriali, garantendo inoltre importanti vantaggi competitivi.«La quarta rivoluzione industriale fa riferimento a uno scenario in cui l’uso pervasivo delle tecnologie digitali aumenterà la competitività e l’efficienza delle imprese manifatturiere.- dice Busetto- In estrema sintesi consiste nella naturale evoluzione del processo manifatturiero basata su un nuovo e innovativo scenario tecnologico in cui esseri umani, macchine e “cose” per la gestione intelligente dei sistemi manifatturieri (i cosiddetti cyber-systems) sono e saranno sempre più collegati in tempo reale ed in modo permanente.»

«Elemento fondamentale e reale prerequisito per questo cambiamento é la digitalizzazione dei processi di manufacturing e la trasformazione digitale dei processi aziendali. Senza un adeguato livello di digitalizzazione le nostre aziende non saranno in grado di sostenere la graduale evoluzione verso il nuovo paradigma produttivo, a maggior ragione considerando la scala delle stesse nel nostro Paese», spiega Busetto, rimarcando un concetto che ricorrerà spesso negli interventi dei protagonisti della Biennale: l’ innovazione deve pervadere le organizzazioni in ogni loro propaggine.

«L’innovazione per Siemens è al tempo una vera vocazione e linfa vitale. Basti pensare ai crescenti livelli di investimenti in Ricerca e Sviluppo, che contraddistinguono il nostro gruppo a livello mondiale: 4,7 miliardi di euro nell’ultimo esercizio fiscale, pari a quasi il 6% del fatturato globale, con trend in crescita», continua Busetto. «Oltre che negli investimenti in R&S l’innovazione si esprime nella visione, che ha portato ad esempio ad anticipare notevolmente gli attuali sviluppi digitali nel contesto industriale, con acquisizioni per 10 miliardi di euro in realtà software nel mondo dal 2007 ad oggi.

Tutto questo- prosegue Busetto- ci ha permesso di posizionarci in prima fila negli attuali sviluppi verso il futuro della produzione, giocando ruoli da protagonisti anche in Italia con progetti di punta richiamati in qualche modo anche a Venezia nell’ambito di Biennale Innovazione: dal ruolo di primo piano nel workflow completo di progettazione e produzione per la bellissima Maserati Ghibli fino all’innovativa imbarcazione “Scossa” dell’operatore Alilaguna, il mezzo di navigazone ideale per la laguna di Venezia con la sua propulsione elettrica silenziosa e sostenibile.

Ciò dimostra- conclude Busetto – che innovare vuol dire anche anticipare e modificare gli approcci al mercato, come facciamo qui in Italia anche con il centro tecnologico avviato a Piacenza nel 2011, un hub che copre e dimostra – con una reale smart factory costituita da macchine, robot ed dotazioni digital – l’intero percorso della produzione per clienti, scuole, università. Tra queste ad esempio il Politecnico di Milano, di cui ospitiamo ogni anno un corso per gli studenti del terzo anno di Ingegneria Meccanica, con circa 200 ingegneri finora formati».

emanuele-cordero-di-vonzo

I rischi da affrontare e la  cybersecurity

Ma se le opportunità sono tante, altrettanti sono i rischi insiti nella trasformazione digitale, rischi peraltro spesso sottovalutati. Le nuove sfide che implica la digitalizzazione non sono così evidenti alle aziende, anche a quelle che la via dell’innovazione l’hanno già intrapresa. «L’innovazione digitale modifica la mappatura dei rischi di un’azienda », dice a Industria Italiana Emanuele Cordero di Vonzo, consigliere delegato di Assiteca Spa, il maggior broker assicurativo italiano.

«Le innovazioni si accompagnano sempre a nuovi rischi: quelli che erano i rischi valsi fino a poco tempo fa, e da almeno un secolo, si stanno radicalmente modificando. L’impresa manifatturiera e anche i servizi, prima di questa rivoluzione, dovevano proteggere gli asset e il loro valore da eventi esterni che potevano creare una distruzione, come un incendio o altre calamità di questo tipo. Oggi questo tipo di rischio si è ridotto e il trasferimento assicurativo diventa più agevole e meno costoso; mentre aumento il rischio legato alla cybersecurity.

La dipendenza informatico-digitale allarga questo rischio a tutte le funzioni operative dell’azienda e anche all’esterno dell’azienda stessa, per esempio sulla catena degli approvvigionamenti, che parte dai fornitori di materie prima e finisce con la vendita dei prodotti finali. L’azienda può essere fragile, lo vediamo in continuazione, non c’è giorno anche in Italia in cui appaia qualche situazione che ha a che fare con l’intrusione in sistemi informatici».

Un fenomeno che negli Usa è già stato affrontato da almeno dieci anni e che in Italia è invece recente perché recente «è la digitalizzazione dei processi industriali, che sta avvenendo oggi.- sottolinea il consigliere delegato di Assiteca Spa – Le aziende stanno valutando ora gli investimenti in digitalizzazione in quanto tali, ma a nostro parere non sanno ancora gestire o accompagnare questi eventuali investimenti in processi digitalizzati con delle valutazioni degli eventuali rischi a cui si espongono. Il DNA delle PMI italiane fa sì che siano molto attente al prodotto e all’innovazione tecnologica che consente di avere un prodotto innovativo ma non sempre a cogliere che al di là di questo bisogna ammettere con consapevolezza che tutto questo non è a rischio zero, ma può essere accompagnato da un rischio anche di molto superiore a quello che un’azienda è in grado di percepire.»

«Poi c’è anche da dire- aggiunge Cordero di Vonzo,- che fino a ieri l’azienda piccola o media era un’azienda che bastava a se stessa, che produceva e cercava di vendere con le sue proprie forze. Oggi la digitalizzazione e il mondo internet che consente di essere presente virtualmente con prodotti in tutto il mondo interconnette a tante altre situazioni a cui devo prestare attenzione. I rischi che corro sono connessi a rischi legati a sistemi di distribuzione e acquisto che dipendono dalla maggiore digitalizzazione. C’è un rischio sistemico che non si ferma alle mure domestiche delle aziende e che obbliga a disegnare un’organizzazione di reazione che porti a un aumento della resilienza dell’azienda», conclude di Vonzo.

Giorgio Basile
Giorgio Basile, presidente azionista di Isagro

Il caso di Isagro (l’innovazione nelle PMI)

Le difficoltà delle PMI nell’attuare la rivoluzione sono evidenti, ma nel mare magnum delle aziende che restano indietro spicca qualche esemplare, caratterizzato da un’ innovazione in maniera talmente forte da poter dare lezione ai big mondiali con i quali riesce a competere. E’ questo il caso di Isagro, media azienda che opera nella produzione di farmaci per le piante e che ha un giro di affari di 160 milioni di euro. «Senza innovazione avremo dovuto passare la mano», afferma Giorgio Basile, presidente azionista di Isagro. La cui idea di innovazione si è giocata finora su diversi piani.

«La nostra caratteristica è che facciamo ricerca di nuove molecole. O meglio discovery: scopriamo nuove molecole e siamo gli unici soggetti non grandi che fanno questo mestiere. I nostri concorrenti sono soggetti come Bayer, Basf, Syngenta. Il più piccolo è 15-20 volte noi. Ci manca la dimensione non tanto per scoprire ( che è una dote), ma per sviluppare. L’ordine di grandezza è questo: con 15 milioni si fa l’invenzione che nell’arco di 4-5-6 anni genera qualcosa di sviluppabile. Fin qui ce la facciamo, ma lo sviluppo richiede 150 milioni addizionali. Questa cifra è fuori dalla nostra portata, perché si avvicina al nostro giro di affari complessivo. Allora abbiamo esteso la nostra capacità innovativa al fatto che abbiamo trovato il modo di sfruttare la nostra proprietà intellettuale.

Dal 2013 – spiega Basile – diamo a terzi diritti parziali di sfruttamento della nostra proprietà intellettuale, parziale sia in senso geografico che in termini di possibilità di combinare la nostra nuova molecola con una molecola di un terzo ( una caratteristica del mondo dei farmaci). Questo terzo soggetto investe decine di milioni per realizzare nuove formulazioni e ne diventa proprietario, ma per 15-20 anni compra il principio attivo da noi. Ci facciamo dare una cifra iniziale, poi realizziamo ricavi nel lungo periodo attraverso la vendita del principio attivo e attraverso royalties, ricavi che dal 2013 al 2016 sono ammontati a 25 milioni di euro. Quello che non è banale è che nel mondo nessuno aveva fatto questo business model perché tutti inventano e sviluppano le molecole in house».

La scelta di innovare a consentito a Isagro di restare sul mercato e giocare nel campo dei colossi. «Ma non basta: come innovazione siamo la prima e unica azienda quotata in Italia che ha sfruttato lo strumento borsistico nuovo delle azioni sviluppo. Quindi siamo innovativi perché invetniamo molecole, perché abbiamo inventato un modello di business e perché ci finanziamo sul mercato con un modello nuovo», conclude Basile.

 














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