Ucimu: l’Italia può vincere i mondiali della meccanica!

di Laura Magna ♦︎ A dirlo i dati di consuntivo 2020 - produzione di macchine utensili, robot e automazione a oltre 5 miliardi - e le previsioni sul 2021 - indice degli ordini del primo semestre a +88,2%. Ma bisogna rendere strutturali il credito di imposta per l’ammodernamento degli impianti e quello per gli investimenti in tecnologie 4.0. E sfruttare le riforme finanziate dal Pnrr. Gli ostacoli? Il rincaro dei costi delle materie prime e la scarsità dei componenti elettronici

L’Italia può vincere i mondiali della meccanica. Non è ancora tempo di festeggiare ma i dati relativi a produzione e consumo di macchine utensili e robot nel 2020 fanno ben sperare, insieme agli ordini in aumento nel primo semestre del 2021. Il futuro sarà roseo a patto di non abbassare la guardia e di  continuare a giocare, con politiche industriali forti a sostegno. Innanzitutto perché le macchine industriali e i robot italiani hanno contenuto il danno della pandemia rispetto ai principali competitor globali: «abbiamo fatto meglio di Germania e Giappone. Non ci possiamo ritenere soddisfatti, perché il crollo c’è stato. Ma i numeri complessivi danno una misura della nostra resilienza e della capacità di continuare l’attività nonostante le difficoltà. Dalla fine del 2020 abbiamo iniziato a raccogliere ordini a distanza». A dirlo è Barbara Colombo, presidente di Ucimu, l’associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robot, automazione e di prodotti a questi ausiliari.

Ucimu ha presentato i dati di consuntivo 2020 e le previsioni (molto buone) sul 2021 e suggerito alcune strategie di politica industriale per dare sostanza al trend. Secondo Colombo, bisogna dare largo ai giovani (imprenditori e lavoratori). Imprenditori che abbracciano l’industria 4.0 e rinnovano i processi con le macchine a controllo numerico, e attuano nuovi modelli di lavoro e organizzativi, grazie a competenze trasversali. E potenziali lavoratori che hanno bisogno di essere formati per avere le competenze richieste dalle aziende. Bisogna rendere strutturali il credito di imposta per l’ammodernamento degli impianti e quello per gli investimenti in tecnologie 4.0. e bisogna potenziare gli Its che sono la fucina dei nuovi talenti che devono essere inseriti nelle produzioni.







Ci sono dei possibili ostacoli sul cammino della ripresa, ma tutti superabili, se si attuano le strategie giuste. Va comunque tenuto conto che si tratta di un contesto economico inedito, come illustra Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo. «La ripresa è più rapida del previsto, con un’inflazione determinata dallo choc di offerta collegato ai lockdown mentre la domanda riprende quota. Gli Usa recupereranno tutto quanto perso già nel 2021, mentre per l’Europa e l’Italia si dovrà aspettare il prossimo anno». Ma l’Europa e l’Italia in particolare giocano una partita più importante: quella di sviluppare pienamente il proprio potenziale grazie alle riforme finanziate dal Pnrr. Riforme che non sono più derogabili e su cui si fonderà la tenuta dell’Europa, con l’Italia a fare da ago della bilancia in quanto massima beneficiaria delle risorse stanziate. Quanto all’industria, potrà fare da traino alla ripresa del Pil nei prossimi anni. «La meccanica crescerà molto più dell’economia, dell’11% nel corso del 2021 e di oltre l’8% nel 2022: a essa l’onere di colmare il gap di crescita con la Germania, che nell’ultimo decennio ha segnato un incremento annuo del Pil dell’1,8% contro il nostro 0,4%», continua De Felice.

La meccanica crescerà molto più dell’economia, dell’11% nel corso del 2021 e di oltre l’8% nel 2022: a essa l’onere di colmare il gap di crescita con la Germania, che nell’ultimo decennio ha segnato un incremento annuo del Pil dell’1,8% contro il nostro 0,4%. Fonte Intesa Sanpaolo

Gli ostacoli sulla via della ripresa: i prezzi delle materie prime e la scarsità dei componenti elettronici

E le macchine sono ben instradate sulla via della ripresa. «C’è un dato particolarmente positivo che è quello che riguarda il mercato interno: gli ordini di macchine nella prima parte del 2021 sono aumentati di oltre il 200%, rispetto al +57% di quelli in arrivo dall’estero, a indicare la grande fiducia delle imprese italiane», dice Colombo. «Non ci illudiamo: stimiamo che la produzione supererà i 6 miliardi, l’export i 3 miliardi e il consumo i 4 miliardi nel 2021. Non recupereremo tutto il terreno ma faremo un balzo per tornare ai livelli pre pandemia nel 2022».

Nessuna illusione perché vi sono due fenomeni che rischiano di minare la ripresa avviata: il rincaro dei costi delle materie prime da un lato, e la scarsa disponibilità di componenti elettronici dall’altro. «Il rischio – che assolutamente non possiamo permetterci di correre – è che questi due fenomeni raffreddino il ciclo positivo degli investimenti, soprattutto sul mercato domestico ove gli incentivi 4.0 stanno dando buoni frutti», continua la presidente. Per l’aumento dei costi di acciaio e ghisa, l’84% delle metalmeccaniche italiane ha dovuto affrontare forti pressioni che nel 60% dei casi determinerà sia aumento dei prezzi di vendita sia una riduzione dei margini. La scarsità di componenti elettronici, dai Cnc alla sensoristica, ha reso difficile finalizzare le produzioni e a fine 2020 ha costretto in settori come l’automotive a mettere in Cassa integrazione i lavoratori, nonostante la ripresa in corso.

Vi sono due fenomeni che rischiano di minare la ripresa avviata: il rincaro dei costi delle materie prime da un lato, e la scarsa disponibilità di componenti elettronici dall’altro. Il rischio è che questi due fenomeni raffreddino il ciclo positivo degli investimenti, soprattutto sul mercato domestico ove gli incentivi 4.0 stanno dando buoni frutti. Per l’aumento dei costi di acciaio e ghisa, l’84% delle metalmeccaniche italiane ha dovuto affrontare forti pressioni che nel 60% dei casi determinerà sia aumento dei prezzi di vendita sia una riduzione dei margini. La scarsità di componenti elettronici, dai Cnc alla sensoristica, ha reso difficile finalizzare le produzioni e a fine 2020 ha costretto in settori come l’automotive a mettere in Cassa integrazione i lavoratori, nonostante la ripresa in corso. Fonte Intesa Sanpaolo

Le linee di politica industriale di Ucimu: rendere strutturali gli incentivi all’acquisto di macchine utensili

Barbara Colombo, presidente di Ucimu

«Dobbiamo tenere alta l’attenzione e fare che questi fenomeni non rallentino il ciclo positivo in atto», continua la presidente di Ucimu. Come? Colombo ha la soluzione ed è in fondo semplice. «Il 2019 non era stato anno brillante e avevamo registrato un calo. Poi, il mercato ha ripreso a crescere grazie agli incentivi di Transizione 4.0, che è un’ottima notizia anche per la manifattura perché le macchine utensili sono tecnologie abilitanti che trasferiscono tecnologia al prodotto e creano processi efficienti e rendono le industrie competitive in un contesto sempre più internazionali». Il fatto che si vendano macchine vuol dire che processo di ammodernamento delle fabbriche che è stato avviato 5 anni fa prosegue. E le macchine si vendono. Lo attesta l’indagine condotta dalla stessa Ucimu e presentata a giugno.

«Il numero di nuove macchine istallate è cresciuto in particolare tra il 2015 e il 2019: sono state acquistate 60mila unità contro le 30mila nel quinquennio precedente. Più del 60% delle macchine è dotato di controllo numerico contro il 30%. È cresciuto anche il livello di automazione e integrazione degli impianti. La trasformazione digitale ha interessato soprattutto le imprese medio grande, le pmi hanno fatto investimenti più limitati, ma è normale per almeno due ragion». Ovvero la liquidità: gli investimenti in nuove tecnologie di produzione, specie se di ultima generazione, sono costosi e pesano sui budget delle realtà di dimensione ridotta che devono quindi spalmare su periodi più ampi i loro acquisti. Il secondo, non meno importante, legato alla cultura: occorre tempo per comprendere tutte le dinamiche legate a questa transizione e vincere il timore di dover pensare anche a una riorganizzazione del modo di lavorare.

 

e potenziare la formazione tecnica

E per cambiare la cultura è necessario potenziare la formazione: «Chiediamo sia allungata e semplificata l’operatività della misura del credito di imposta per la formazione che oggi, nel calcolo, contempla anche il costo del formatore, così da assicurare alle imprese (di tutte le dimensioni) un corretto supporto per l’aggiornamento del personale. Solo così gli investimenti in tecnologie di nuova generazione potranno realmente assicurare all’impresa miglioramento della produttività e l’efficienza necessaria a vincere la sfida internazionale».

D’altra parte, l’inserimento di giovani preparati nelle aziende del settore, sia tra le schiere dei white collar che dei blue collar è fondamentale. «I giovani, per formazione naturale, sono nati con le tecnologie digitali a portata di mano, per questo la loro impostazione è già orientata a un nuovo modello di lavoro. Sono più flessibili e hanno competenze trasversali ormai imprescindibili per chi opera nell’ambito dei settori caratterizzati da elevato contenuto tecnologico e alta complessità del business quale è il nostro». E torna prepotente il tema degli Its: nel 2020-2021 sono stati 831mila gli studenti iscritti a un istituto tecnico, pari al 30% del totale degli alunni delle scuole secondarie. Sono invece risultati 18mila gli iscritti nei 110 Its, «ancora troppo pochi rispetto alla reale esigenza del metalmeccanico del paese – dice Colombo – Se correttamente supportati dalle risorse del Pnrr, gli Its diverranno veri e propri avamposti ove saranno formate le nuove risorse indispensabili per assicurare futuro alle nostre aziende».

Il gap dell’Italia nel digitale. Fonte Intesa Sanpaolo

I buoni numeri delle macchine italiane

I numeri dei produttori di macchine italiane sono complessivamente positivi, e segnaletici di una tenuta generale dell’industria. Non sorprende che nel 2020 anche questa industria abbia registrato un calo deciso di tutti i principali indicatori economici. Ma c’è una buona notizia: e cioè che non abbiamo perso posizioni nella classifica internazionale, dove restiamo saldamenti quarti tra i produttori e gli esportatori, e quinti nella classifica dei Paesi consumatori. E, inoltre, il 2021 fin dai primi mesi ha confermato la ripresa dell’attività sia in Italia che all’estero, come emerge dai dati relativi all’indice degli ordini. Più in dettaglio, secondo i dati di consuntivo elaborati dal Centro Studi & Cultura di Impresa di Ucimu, nel 2020, la produzione di macchine utensili robot e automazione, si è attestata a oltre 5 miliardi di euro, registrando un calo del 20,4% rispetto al 2019. Le consegne dei costruttori sul mercato interno sono calate di oltre il 20,3%, a 2,3 miliardi, similmente l’export si è attestato a 2,8 miliardi (-20,5%).

Nel 2020, i principali mercati di sbocco dell’offerta italiana sono risultati tutti in calo. Nell’ordine per volume di vendite: Stati Uniti (374 milioni -11,3%), Germania (289 milioni, -23,1%), Cina (224 milioni, -26,1%), Francia (158 milioni -32,2%), Polonia (143 milioni, -17,2%), Turchia (100 milioni, +29%), Russia (100 milioni, -16%), Spagna (95 milioni, -34,1%). Infine il consumo italiano di macchine utensili è crollato del 26,6% a 3,5 miliardi, proseguendo il trend negativo avviato nel 2019. Ma nel 2021 le attese sono di una crescita del mercato del 10,9%, a 5,7 miliardi di euro. L’export si dovrebbe attestare a 3,1 miliardi di euro, il 9,4% in più rispetto al 2019. Anche il consumo crescerà sfiorando i 4 miliardi di euro, ovvero il 10,9% in più rispetto al 2020. La vivacità della domanda italiana farà da traino per le consegne dei costruttori, attese in crescita a 2,6 miliardi (+12,7%), e per le importazioni che dovrebbero attestarsi a 1,3 miliardi (+7,6%).

C’è un dato molto importante dietro questi puri numeri: che è tornata la fiducia, soprattutto nel nostro Paese. L’indice degli ordini del primo semestre 2021 ha segnato un aumento dell’88,2%: gli ordini interni sono cresciuti del 238% rispetto al periodo gennaio-giugno 2020; gli ordini esteri hanno registrato un incremento del 57,5% rispetto al primo semestre 2020. Certamente c’è da considerare che la base di confronto è la più bassa di sempre, perché riguarda il periodo gennaio-giugno 2020 che, oltre alla generale riduzione dell’attività dovuta alla pandemia, comprende un mese intero (aprile) di completo blocco delle attività a causa del lockdown. Ma sono numeri importanti che fanno ben sperare per un rimbalzo rilevante 2022, anno nel quale questi ordinativi saranno contabilizzati.

I numeri dei produttori di macchine italiane sono complessivamente positivi, e segnaletici di una tenuta generale dell’industria. Non sorprende che nel 2020 anche questa industria abbia registrato un calo deciso di tutti i principali indicatori economici. Ma c’è una buona notizia: e cioè che non abbiamo perso posizioni nella classifica internazionale, dove restiamo saldamenti quarti tra i produttori e gli esportatori, e quinti nella classifica dei Paesi consumatori. E, inoltre, il 2021 fin dai primi mesi ha confermato la ripresa dell’attività sia in Italia che all’estero, come emerge dai dati relativi all’indice degli ordini. Fonte Ucimu

Una congiuntura straordinaria anche nella ripresa, la view di Intesa Sanpaolo

E sono numeri importanti anche alla luce della congiuntura straordinaria che stiamo vivendo, che non ha nulla a che vedere con una delle crisi più recenti. Ci troviamo in una congiuntura speciale, in cui le categorie classiche, la ripresa, l’inflazione, hanno significati diversi dalla norma. Lo spiega Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo. «È una ripresa più rapida di tutte le attese. Gli Usa recupereranno i livelli pre Covid già nel 2021, l’area Euro e il Giappone nel 2022. L’Italia la Spagna saranno le più lente, con il recupero che si avrà nella seconda parte del 2022. Anche l’inflazione è peculiare, non è generata dalla domanda né dai costi del lavoro vista l’ampia disoccupazione. È un’inflazione legata alla ripartenza un po’ disordinata e caratterizzata da vari colli di bottiglia, dal mondo dei trasporti, alla scarsa disponibilità di alcuni materiali e alla speculazione sui prezzi».

La decarbonizzazione porterà una domanda extra di metalli conduttori come rame e titanio che stanno sperimentando fenomeni di accumulo che crea scarsità di offerta e pressione sulle quotazioni: da questi fenomeni dipende l’inflazione. «Dunque si tratta di un’inflazione non di lunghissima durata ed è improbabile una spirale prezzi/salari perché abbiamo la riserva di lavoratori che non sono occupati», dice De Felice. «Dovremmo uscire da qualche mese da questi up and down, dal terzo trimestre. Ci aspettiamo un aumento del commercio globale superiore al 12%, con tensioni legate a tempi di consegna allungati, ai costi di trasporto dei container e difficoltà un po’ più accentuate del previsto».

Ci troviamo in una congiuntura speciale, in cui le categorie classiche, la ripresa, l’inflazione, hanno significati diversi dalla norma. Fonte Intesa Sanpaolo

Pil globale: nel 2021 si torna a crescere (grazie agli impulsi fiscali)

E la crescita del Pil globale nel 2021 è stimata al +6,2% dopo il -3,5% del 2020. Asia e Usa sperimenteranno un rimbalzo maggiore. Molto dipende dalle campagne vaccinali: l’1% della popolazione dei paesi a basso reddito è stata finora vaccinata rispetto a un totale mondiale del 25%. Ma c’è anche un altro fattore, ovvero il fatto che questa volta i governi di tutto il mondo hanno fatto le scelte giuste di politica di bilancio. «Le misure di sostegno emanate tra il gennaio del 2020 e il marzo di 2021 hanno portato a investire nella ripresa quote importanti del Pil – dice De Felice – gli Usa sono al 25% del pil, mentre l’Europa in media ha investito il 9%. La ripresa sembra proporzionale a quanto stanziato. Infatti gli Usa contribuiscono con + 7,5% nel 2021 rispetto alla perdita del 3,5% nel 2020. L’area euro guadagnerà il +4,5% rispetto al -6,7%, ma quello che rileva è che l’Europa ha cambiato approccio, dimostrando un senso di unità e identità e indirizzo di politica economica. La Germania stessa che aveva spazio fiscale ha speso di più per sostenere la crescita».

L’Italia tra i primi 10 Paesi utilizzatori di robot industriali

Il traino della manifattura nel Vecchio Continente

Dati che fanno immaginare che in Europa siamo solo all’inizio: la crescita, secondo De Felice, apparirà dal terzo trimestre con un aumento del Pil nel prossimo biennio tra il 4,5 e il 5%. Con una dinamica particolare intra-settoriale: la manifattura non ha subito il secondo lockdown che ha vissuto invece il comparto dei servizi e quindi ci sarà «un temporaneo spostamento dei consumi dai prodotti ai servizi. Poi la manifattura riprenderà quota e sosterrà il recupero». Anche per l’Italia la situazione è simile: l’ultimo dato della produzione industriale è distonico sia rispetto agli indici di fiducia sia rispetto agli ordini.

In particolare a maggio 2021 Istat stima un calo dell’1,5% rispetto ad aprile. Nella media del periodo marzo-maggio il livello della produzione cresce comunque dell’1,2% rispetto ai tre mesi precedenti. Nel medio termine, De Felice ne è convinto, l’industria sarà trainante. Alla fine del 2021 secondo l’economista il totale della produzione industriale sarà ancora sotto livelli pre Covid dell’1,7%, ma al 2025 saremo in aumento del 17%. Il settore della meccanica crescerà molto più della media, segnando un aumento dell’11,4% nel 2021, e dell’8,1% nel 2022. Sarà soprattutto la domanda interna a essere forte.

L’industria potrà fare da traino alla ripresa del Pil nei prossimi anni. Fonte Intesa Sanpaolo

L’occasione da non perdere del Pnrr

«Avremo un effetto rimbalzo, ma abbiamo soprattutto il Pnrr che ci mette sulla strada di riforme e investimenti. Ci stiamo giocando la capacità non tanto di crescere nel biennio, ma ci giochiamo il futuro dal 2025 in avanti. L’occasione da non mancare è quella di alzare il potenziale di crescita in termini di tensioni sociali, occupazione di giovani, donne e sviluppo del Mezzogiorno». L’Italia è cresciuta nei dieci anni pre covid dello 0,4% anno, la Germania dell’1,8%. E sono due economie simili, basate sulla manifattura, ed export led. «La differenza sta nel fatto che il nostro sistema industriale è più ricco e flessibile, ma anche più frammentato. Vedremo se in futuro il tema della dimensione resterò sul tavolo – dice De Felice – ma in mezzo tra lo 0,4 e l’1,8 ci sono posizionamenti che possiamo conquistare. A frenare l’industria italiana non è tanto la dimensione e nemmeno il sistema fiscale, ma è la complicazione del sistema legislativo e della giustizia. Granelli di sabbia che rallentano la capacità degli imprenditori».

Un’opportunità che non possiamo mancare: l’Europa ha fatto un grande passo avanti e il Recovery italiano vale il 37% del totale europeo, contro un peso dell’economia dell’11%. Ma rileva che i sussidi all’Italia valgono il 21% di quelli erogati complessivamente e i prestiti il 73,9%. «Stiamo chiedendo tre quarti dei prestiti complessivamente erogati ai paesi dell’eurozona. Su di noi c’è una responsabilità gigantesca perché far funzionare questo piano articolato, fatto di riforme e investimenti, è fondamentale per l’Italia e per l’Europa per andare avanti nel processo di integrazione. Il Next generation è stata una vittoria: stiamo stato bravi a convincere i frugali, ma se non terremo fede agli impegni presi non potremo avere nulla da pretendere». «Se non ora quando? – conclude De Felice – anche perché è vero che l’Italia nell’indice della digitalizzazione è fanalino di coda, ma ci sono sottosettori, come l’ebusiness in cui spicchiamo: l’Italia è davanti a ogni Paese e in particolare per meccanica ed elettrotecnica». Non solo: se guardiamo i numeri sulla diffusione dei robot, siamo sopra la media mondiale di 113 per 10mila addetti. Ne abbiamo 212, e siamo sotto solo a Germania e Giappone. «Anche sul fronte della transizione green l’industria dice la sua: il 60% dei brevetti green appartiene al settore della meccanica. Nel complesso però i brevetti green sono il 5% del totale».














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