L’industria? È alla base della transizione energetica. Le visioni di Terna, Enel, Edison, Acea

di Laura Magna ♦︎ Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e ottenere 85 GW di nuove rinnovabili entro il 203 non si può fare a meno dell'industria, che ospita i grandi impianti fotovoltaici e sviluppa le tecnologie per i sistemi di accumulo. Ma bisogna riformare il mercato elettrico e aumentare la capacità di stoccaggio. E sull'idroelettrico... Ne parlano i protagonisti del settore: Alperia, Ali Energia, Cleanwatts, Teon, Epq, Bepower, Energy Intelligence, Koelliker, Intellico, Tecnowatt, Maps, Digital Platform

La transizione energetica? Impossibile senza l’industria. Perché l’industria ospita i grandi impianti fotovoltaici che aumentano in maniera impattante la produzione da Fer; perché dall’industria arrivano le tecnologie per sistemi di accumulo (non sono batterie, ma anche sistemi di pompaggio interamente made in Italy) necessari a superare il carattere di intermittenza della rete sempre più alimentata dalle rinnovabili; perché nell’industria si sperimentano le prime comunità energetiche e le Uvam (Unità Virtuali Abilitate Miste) che a tendere contribuiranno a stabilizzare la rete, modulando l’energia che immettono o prevelano, agendo da piccole reti decentrate virtuali.

Sono tutti elementi cruciali per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione ed efficienza energetica, ma soprattutto in grado di garantire la flessibilità che diventa necessaria con la continua elettrificazione dei consumi e con la diffusione di impianti non programmabili, che possono avere un impatto destabilizzante sulla rete. Se n’è parlato nel corso di una giornata dedicata a Milano, in occasione della presentazione dell’Electricity Market Report 2022 – la sesta edizione di un osservatorio realizzato da Energy&Strategy della School of Management Politecnico Milano con la collaborazione delle aziende del settore (da quella giornata sono tratti i virgolettati di questo servizio). Oltre ai principali player nazionali come Eni, Enel, Edison, Erg ma anche regionali come Acea e Alperia ha partecipato all’evento il gestore della rete Terna. Oltre a una serie di startup e operatori innovativi come Ali Energia, Cleanwatts, Teon, Epq, Bepower, Energy Intelligence, Koelliker, Intellico, Tecnowatt, Maps, Digital Platform.







Una giornata che è stata l’occasione per fare il punto dello status quo dell’energia in Italia. Intanto l’Ue continua a inasprire le condizioni del suo Fit for 55. E al 2030 mira a ridurre le emissioni del 55% (per arrivare aa zero nel 250); a produrre il 45% dell’energia da fonti rinnovabili e a migliorare l’efficienza energetica in valore superiore al 40%. Sono obiettivi realistici? Non per l’Italia, se non si applicano correttivi alle strategie in atto sul fronte della produzione da rinnovabili e se non si snellisce la burocrazia. Un dato su tutti è che il sistema italiano sta cambiando fisionomia, seppur lentamente. Aumenta la potenza installata da rinnovabili e cala da termoelettrico. Con un vulnus: il 17% delle emissioni legate alla produzione di energia in Italia deriva ancora dal carbone, da centrali che dovranno essere dismesse entro il 2025. Obiettivi davvero sfidanti anche alla luce della situazione attuale, che resta lacunosa nonostante le evoluzioni.

Lo conferma Pietro Pacchione, vice presidente di Elettricità Futura, principale associazione delle imprese che operano nel settore elettrico italiano afferente a Confindustria (518imprese associate, pari al 70% del totale, per 40.000 addetti; 75.000 MW di potenza elettrica installata e 1.150.000 km linee di distribuzione). «L’obiettivo che ci si pone a livello istituzionale è di avere al 2030 85 gigawatt di nuove rinnovabili che si sommeranno ai 65 già installati portando la quota di Fer all’84%. Ma serve adeguata capacità di accumulo, quantificabile in 80 GhW aggiuntivi, perché l’obiettivo si realizzi». Una grande opportunità di sviluppo per il Paese: allo scopo si stima saranno investiti 300 miliardi di euro che si trasformeranno anche in 470mila nuovi occupati. «Ma il vantaggio maggiore sarà ridurre la dipendenza dal gas: risparmieremo infatti 20 miliardi di metri cubi di gas – continua Pacchione – Il problema è che gli obiettivi non sono realistici: lo stato dell’arte ci dice che a fine anno avremo 3 gigawatt aggiuntivi contro i 10 stimati in base agli obiettivi». Cosa è necessario fare allora per accelerare? «Ci vuole – chiosa Pacchione – una pianificazione strategica più coerente con gli obiettivi, poi bisogna semplificare le autorizzazioni e la burocrazia e anche un testo unico; riforma organica del mercato elettrico, connessioni stabili ed efficienza; stabilità regolatoria».

Nell’ambito del pacchetto Fit-for-55, la Commissione europea ha pubblicato una serie di nuove proposte per ridurre le emissioni GHG di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai valori del 1990

L’identikit della generazione elettrica in Italia

Simone Franzò, responsabile dell’Electricity Market Report 2022 realizzato da Energy e Strategy

La potenza installata di impianti fotovoltaici ed eolici nel nostro Paese è passata da 5 a 33 Gw nel giro di quindi anni, dal 2008 al 2021 (rispettivamente circa 22,5 GW e 11,3 GW). E in totale pesa per la metà dei 60 GW totali da fonti rinnovabili. Praticamente la stessa capacità installata da termoelettrico, che invece nel 2021 era pari a 77 GW, per il 77% da impianti alimentati a gas naturale e per il 17% da impianti a carbone, che andranno dismessi entro il 2025 (biomasse e impianti a olio combustibile pesano il 3% ciascuno). È chiaro che alla fonte di questo cambiamento ci siano le imponenti misure definite a livello comunitario per la decarbonizzazione, che la guerra ucraina e il blocco dell’export di gas russo (dal quale l’Italia dipende per il 40% del proprio fabbisogno energetico). Ma queste misure non sono bastate finora al raggiungimento dei target intermedi per raggiungere i target al 2030 e al 2050. E in proprio perché le fonti rinnovabili non sono sufficientemente diffuse: a fine 2021 quasi il 17% delle emissioni di anidride carbonica legate alla produzione di energia elettrica, che pesano per oltre un quinto (22%) su quelle complessive, derivava dall’uso di combustibili solidi, principalmente il carbone.

Insomma, ci sono luci e ombre che rendono la decarbonizzazione ancora lontana. E questo nonostante la quota di domanda elettrica – circa 310-320 TW/h all’anno nell’ultimo decennio – coperta dagli impianti termoelettrici tradizionali si sia ridotta dal 74% nel 2005 al 51% nel 2021, così come le relative emissioni di anidride carbonica, calate di quasi il 50% tra il 2005 e il 2021 (da 144,6 a 74,3 Mton; ma il 2021 ha registrato un’inversione di tendenza dovuta al maggiore utilizzo di gas naturale), mentre la quota di domanda soddisfatta tramite fonti rinnovabili è cresciuta dal 14% al 36%. «Se guardiamo alle tecnologie abilitanti, la loro evoluzione ci fa essere ottimisti riguardo alla effettiva possibilità di raggiungere gli obiettivi di policy – dice Simone Franzò, Responsabile dell’Osservatorio – ma allo stesso tempo non sarà facile per i diversi stakeholder disegnare un settore elettrico che al 2030 dovrà necessariamente essere molto diverso da oggi, anche provvedendo a ultimare un quadro normativo che risulta ancora incompleto sotto diversi aspetti. Una nota positiva però è rappresentata dallo spirito ‘collaborativo’ e ‘proattivo’ che si respira in questi mesi nonostante le difficoltà. Bisogna agire rapidamente, ma a mente fredda: le misure d’urgenza intraprese quando ormai non c’è altra scelta portano spesso a soluzioni non efficienti, mentre una corretta pianificazione per tempo (se l’espressione ‘per tempo’ ha ancora un senso a soli otto anni dal 2030) darà senz’altro risultati migliori».

La quota di domanda elettrica – circa 310-320 TW/h all’anno nell’ultimo decennio – coperta dagli impianti termoelettrici tradizionali si sia ridotta dal 74% nel 2005 al 51% nel 2021, così come le relative emissioni di anidride carbonica, calate di quasi il 50% tra il 2005 e il 2021

La visione di Terna: non c’è transizione se non aumentano i grandi impianti e il potere di accumulo, ovvero senza l’industria

Tecnici di Terna impegnati in Lavori Sotto Tensione

In questo contesto è interessante la visione di Terna, attraverso le parole di Luca Marchisio, Head of System Strategy del gestore della rete italiano. «L’obiettivo – dice Marchisio – è la Produzione da fonti rinnovabili da 113 a 239 Twh dal 2019 al 2030. Con la parte del leone fatta dal solare che passerebbe da 23 a 101 Thw, seguito dall’eolico da 20 a 68 Twh. L’idrolettrico aumenta 46 a 51 Twh. Contestualmente la produzione da fonti convenzionali scende da 169 a 80 Twh con il gas che si dimezza da 138 a 75 Twh.Il notevole aumento della produzione Fer (+126 TWh rispetto al 2019) comporta una compressione della generazione a gas al 2030, ovvero 63 TWh in meno se il piano procede a regime. Mentre l’aumento del solare, se al 2030 il 40% della produzione Fer è rappresentato da quella fonte, comporta un incremento del ruolo dello storage». Senza sistemi di accumulo diffusi ed efficienti questo obiettivo sembra destinato a restare confinato nel libro dei sogni «Gli accumuli succhiano 30 thw e ne ri-immettono nel sistema 25 – continua Marchisio – l’energia prodotta dal fotovoltaico nelle ore centrali della giornata e non utilizzata da febbraio a settembre viene restituita al sistema elettrico nelle ore della sera. Ma gli accumuli anche più efficienti registrano una quota di dispersione… ed è un elemento da non sottovalutare».

Terna IoT4TheGrid, sensori

E bisogna agire su questi sistemi se il fotovoltaico sarà determinante per realizzare gli obiettivi di Fit-for-55. I conti sono presto fatti «Se 366 Thw è il fabbisogno annuo del paese – dice Marchisio – per arrivare al 65% di generazione da Fer al 2030 dobbiamo crearne 120 thw addizionali rispetto ai 120 di cui già disponiamo. Il fotovoltaico di grande dimensione è indispensabile per raggiungere il target. Solo 60 thw deriveranno dal solare sui tetti, pertanto il contributo dell’industria che è quella che si doterà dei grandi impegni sarà fondamentale». Lo stesso dicasi per gli accumuli: lo scenario prevede che saranno necessari quasi 100 GWh di accumuli aggiuntivi al 2030 per raggiungere gli obiettivi di policy e per contenere l’overgeneration. «Circa 71 GWh sono di tipologia utility-scale, circa 8 GWh sono già previsti dalle aste capacity market e 16 GWh sono batterie small-scale associate al fotovoltaico rooftop – precisa Marchisio – Anche in questo caso dunque serve incentivare impianti di grande dimensione». Conta molto anche la localizzazione: «La differenziazione dei profili del solare rooftop e utility scale mostra come 1 MW di fotovoltaico a terra installato al Sud riesca a produrre, a livello annuale, quasi il doppio di 1 MW installato su tetto al Nord. Tale risultato evidenzia l’importanza di considerare le producibilità delle diverse tipologie di solare nella pianificazione di uno scenario, oltre ad altri elementi quali i costi di installazione». Tenendo sempre a mente che «la flessibilità non è a costo zero. E per l’industria ci vogliono investimenti in tecnologia e approccio mentale. Perché non è core business per le aziende. E così è a maggior ragione per cittadini. Le procedure devono essere automatiche, seamless, trasparenti, altrimenti il business model non sarà mai sostenibile».

 

Le politiche energetiche europee e la rete italiana alle prese con il boom dei prezzi

Un elemento chiave per comprendere come dipanare le strategie è il contesto. Va rilevano che nell’ultimo anno la Commissione europea ha molto accelerato sulle sue policy di decarbonizzazione, sulla scorta dell’emergenza gas che deriva dal conflitto russo-ucraino. Così sono stati introdotti nuovi meccanismi che dovranno consentire il raggiungimento della neutralità climatica al 2050. In particolare, nell’ambito del pacchetto Fit-for-55, la Commissione europea ha pubblicato una serie di nuove proposte per ridurre le emissioni Ghg di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai valori del 1990. Inoltre, in seguito allo scoppio della guerra è stata presentata la bozza di un piano di investimenti da 210 miliardi di euro (cosiddetto “RepowerEU”) con cui l’Europa intende rinunciare entro 5 anni all’importazione di fonti fossili dalla Russia, tagliando due terzi dell’import entro la fine di quest’anno: nel piano sono presenti numerose proposte coerenti con gli obiettivi di decarbonizzazione, tra cui rafforzare le misure di efficienza energetica a lungo termine (dal 9% fissato dal pacchetto Fit for 55 al 13%) e rivedere al rialzo (dal 40% al 45%) gli obiettivi al 2030 della direttiva sulle energie rinnovabili. Tutto questo mentre sul mercato italiano, il prezzo dell’energia è schizzato, aumentando dell’815% tra gennaio 21 e settembre 22. Il riferimento è al Pun, Prezzo Unico Nazionale, ovvero il prezzo di riferimento dell’energia elettrica in Italia acquistata alla borsa elettrica. Dopo un primo picco di 281 €/MWh si è verificato a dicembre, poi superato a marzo 2022, con lo scoppio della guerra in Ucraina, da un valore mensile medio di 308 €/MWh. In estate il prezzo è salito ancora, arrivando a oltre 540 €/MWh in agosto (+383% rispetto ad agosto 2021). Confrontando la media oraria del Pun durante i primi otto mesi del 2022, si osserva un netto allontanamento dai valori registrati negli anni precedenti.

Capacità installata di FER per zona di mercato al 2030

La situazione ha portato a contromisure a livello comunitario (tra cui l’Intervento di emergenza per contrastare gli alti prezzi dell’energia approvato il 30 settembre, entrato in vigore il primo dicembre) e nazionale, con una serie di interventi a tutela di famiglie e imprese. Tuttavia, un accordo a livello comunitario per calmierare i prezzi non è ancora stato raggiunto. E in ogni caso, secondo Luca Bragoli, chief Regulatory & Public Affairs Officer di Erg «sono necessarie modifiche strutturali che vanno pensate prima di essere messe a terra, per non bloccare lo sviluppo del mercato. L’Ue ha definito nelle sue misure di emergenza un tetto sui ricavi di mercato a 180 euro a megawattora per i produttori di energia elettrica, limite che dovrebbe essere rispettato e che dovrebbe essere attuato anche in Italia. Mentre i ragionamenti del governo vanno nella direzione della tassa sugli utili delle aziende del settore, che il consiglio destina all’oil & gas. In questo modo il rischio è di bloccare gli investimenti: quello che succede ogni volta che c’è incertezza regolatoria». Dunque che fare? «Dobbiamo programmare su base pluriennale meccanismi di asta con cap coerenti con la tecnologia attuale e un orizzonte di 3-5 anni – dice Bragoli – Dobbiamo cercare di traguardare l’ordinario per fare qualcosa di straordinario (che è mettere a terra 10 giga watt ogni anno)».

L’obiettivo che ci si pone a livello istituzionale è di avere al 2030 85 gigawatt di nuove rinnovabili che si sommeranno ai 65 già installati portando la quota di Fer all’84%. Ma serve adeguata capacità di accumulo, quantificabile in 80 GhW aggiuntivi, perché l’obiettivo si realizzi

Batterie? Non solo: i sistemi di pompaggio made in Italy vengono in soccorso alla transizione

Batterie a fuel cell

Qualcosa di straordinario che si ottiene, anche secondo l’Osservatorio di Energy&Strategy innanzitutto attraverso il ruolo dei sistemi di accumulo di energia elettrica che sarà fondamentale nell’evoluzione del sistema elettrico, nei tre principali ambiti d’installazione – residenziale, commerciale e industriale, utility-scale (anche accoppiati a impianti di generazione). Gli impianti di accumulo sono necessari perché le Fer sono per definizione energie intermittenti (disponibili sono in certe ore del giorno), e quindi necessitano di essere costantemente acculate per risolvere il problema dell’energy-time shifting ed essere integrate nella rete, ma anche per abilitare il customer energy management. «Ognuna delle tecnologie esistenti di accumulo è più o meno adeguata a svolgere una data funzionalità – dice Franzò – ma le alternative valide sono diverse. In generale, le tecnologie di accumulo possono essere di tipo meccanico, elettromagnetico, elettrochimico e chimico: quelle maggiormente in uso attualmente sono di tipo elettrochimico (batterie a ioni di litio e a flusso di vanadio) e a pompaggio idroelettrico». Per quanto riguarda il mercato, negli ultimi anni a livello europeo si è assistito a un fortissimo incremento delle installazioni di sistemi di accumulo elettrochimico, con più di 5 GW installati a fine 2022. Gli Stati che hanno registrato i numeri più alti sono Gran Bretagna e Germania, seguiti da Irlanda e Francia. Si legge nel report che «in Italia, a fine 2021 risultavano oltre 75.000 sistemi di accumulo connessi alla rete, in crescita del 130% rispetto al 2020. Le connessioni a fine giugno 2022 corrispondono a 720 MW di potenza per 1.362 MWh di capacità (ovvero un Energy-to-Power ratio medio pari a 1,9 h). Nei primi sei mesi del 2022 sono stati installati circa 47.000 SdA (+33% rispetto all’intero 2021), con forte prevalenza della tecnologia a ioni di litio, quasi unicamente di taglia residenziale per effetto del Superbonus 110%». Circa le installazioni di grande taglia, attraverso l’asta relativa al servizio di Fast Reserve, il 10 dicembre 2020, sono stati aggiudicati 250 MW di potenza di SdA che devono entrare in funzione entro la fine del 2022. Inoltre, l’asta del Capacity Market relativa al 2024 si è distinta per l’assegnazione di una larga fetta di Cdp nuova in accumulo. In particolare, a livello nazionale è stato assegnato 1,1 GW di Cdp in sistemi di accumulo elettrochimico, il 29,7% del totale.

Colonnina di ricarica Enel X Way

Le attese per il futuro sono piuttosto importanti. Il Piano Nazionale Italiano per l’Energia e il Clima individua obiettivi al 2030 pari a 6 GW di accumulo centralizzato (utility-scale) fra elettrochimico ed idroelettrico (con rapporto tra capacità/potenza di 8h) e 4 GW di accumulo distribuito. Tuttavia, gli “scenari congiunti Terna-Snam” indicano che per essere in accordo con gli obiettivi del Fit-for-55 saranno necessari 94 GWh aggiuntivi di capacità di accumulo, in particolare 71 TWh relativi a installazioni utility-scale, 15 TWh a impianti distribuiti e 8 GWh già assegnati tramite il Capacity Market. Se le classiche batterie sono il sistema di accumulo più noto e diffuso, i sistemi di pompaggio a idrogeno sono una delle alternative più valide. «Con i sistemi di pompaggio di nuova generazione stimiamo un potenziale aggiuntivo di 8 gigawatt al 2030 rispetto ai 7 già installati – dice Edison, Luca Pompa, Head of Power Production & Wholesale Market Regulation – Sono sistemi diversi da quelli esistenti. Sono di dimensioni più contenute e possono garantire prestazioni di flessibilità avanzate che li rendono simili a batterie e adatti alle esigenze del sistema. Gli impianti svolgono sia il servizio di time shift ma anche si regolazione di frequenza. Altri vantaggi sono nella durata che è di 30 anni in media e nel mantenimento della capacità di stoccaggio. Inoltre sono investimenti con caratteristiche di sostenibilità, non solo ambientale. Gli impianti sono interrati con un impatto limitato, anche dal punto di vista di sostenibilità sociale ed economica nella fase di esercizio. E rispetto alle batterie possono essere sviluppati con tecnologia 100% italiana e non sono dipendenti da materie prime importate dall’estero, come terre rare o litio». Un fattore non di poco conti. Infatti uno dei maggiori ostacoli alla diffusione dei sistemi di accumulo, è legato proprio alla disponibilità di risorse e alla logistica, che causa l’aumento dei prezzi anche degli storage elettrochimici, mentre tradizionalmente i costi delle batterie tendevano a decrescere. Questo problema si lega all’incertezza sui potenziali ricavi generati da un sistema di accumulo in futuro, in un mercato in rapidissima evoluzione, rendendo rischiosa una valutazione di investimento. Entrambi i temi puntano sulla principale criticità connessa alla diffusione dei sistemi di accumulo, ossia la sostenibilità economica degli investimenti.

Nei primi sei mesi del 2022 sono stati installati circa 47.000 SdA (+33% rispetto all’intero 2021), con forte prevalenza della tecnologia a ioni di litio, quasi unicamente di taglia residenziale per effetto del Superbonus 110%». Circa le installazioni di grande taglia, attraverso l’asta relativa al servizio di Fast Reserve, il 10 dicembre 2020, sono stati aggiudicati 250 MW di potenza di SdA che devono entrare in funzione entro la fine del 2022

Le Uvam e l’apertura del Mercato dei Servizi di Dispacciamento

Centrale idroelettrica di Edison a Palestro (PV)

Tre anni fa è stata avviata in Italia la sperimentazione del Progetto Pilota Uvam, emblema del processo di apertura del Mercato dei servizi di dispacciamento (Msd). Le Uvam, Unità Virtuali Abilitate Miste, sono aggregazioni di siti in grado di modulare la propria produzione e il proprio consumo di energia elettrica, andando a rappresentare di fatto un impianto di generazione/consumo virtuale. La sperimentazione delle Uvam nasce proprio dalla volontà di consentire a diverse tipologie di risorse di partecipare al mercato dei servizi di dispacciamento (tra queste risorse possono essere anche inclusi gli impianti fotovoltaici residenziali collegati a un sistema di accumulo) in un progetto più ampio che mira a distribuire, anziché a centralizzare, la regolazione del Sistema elettrico nazionale. L’Osservatorio ha effettuato un bilancio dei risultati finora raggiunti rilevando tre fasi nel processo. «Durante la prima fase (2019) si era vista una crescente partecipazione degli operatori alle aste che ha portato alla saturazione del contingente dal mese di ottobre – si legge nel report – che ha determinato una diminuzione del prezzo medio ponderato nei mesi finali dell’anno. Anche nella seconda fase (2020) si è confermato il forte interesse: il contingente disponibile è stato infatti saturato già con l’asta annuale e un elevato livello di saturazione del contingente si è verificato anche nelle aste mensili di inizio 2021; il prezzo medio ponderato, di conseguenza, ha subito un ribasso rispetto al 2019 sia per le aste annuali/infrannuali sia per quelle mensili». Le Uvam funzionano in base a un regolamento stilato da Terna, che prevede – secondo l’ultimo aggiornamento di maggio 2021 – un meccanismo di asta e due aree di assegnazione sono due (A, comprendente Nord e centro Nord e B, equivalente a Centro Sud, Sud e Isole) oltre a diverse fasce energetiche (pomeridiano, serale 1 e 2).

Bioraffineria Eni di Gela

Da maggio 2021 a settembre 2022 le aste per l’assegnazione del prodotto pomeridiano e del prodotto serale 1 «hanno visto un elevato livello di saturazione del contingente sia per l’Area A che per l’Area B (anche in questo caso, ciò ha determinato una riduzione del prezzo ponderato medio rispetto alla base d’asta) mentre per il prodotto serale 2,  caratterizzato dalla presenza di un “cap” di prezzo delle offerte da parte dei Balance Service Provider pari a 200 €/MWh (rispetto ai 400 euro del serale 1, ndr), non è stata assegnata nessuna quantità durante l’asta annuale e la partecipazione alle aste mensili nel 2022 è risultata minima, soprattutto per effetto della contemporanea crescita dei prezzi dell’energia». Dopo l’ultimo aggiornamento è diminuito anche il numero delle Uvam abilitate: al primo settembre 2022 ne risultavano abilitate 211, in netto calo rispetto alle 272 di luglio 2021 (-22%). Anche il numero di soggetti coinvolti è sceso a 414, circa un terzo rispetto a luglio 2021. Come nelle precedenti rilevazioni, il 70% delle Uvam è composto da un unico soggetto, e sono diminuite quelle che ne aggregano numerosi. E come funzionano? Negli ultimi due anni le “chiamate” da parte di Terna a scopo di test o per uso reale dell’energia sono sensibilmente aumentate: tra agosto 2021 e luglio 2022, ad esempio, si evidenziano 1.315 ordini di dispacciamento inviati da Terna non a scopo di test, per circa 7 GWh in totale. Tuttavia, risultano peggiorate le performance della Uvam in risposta alle attivazioni rispetto a quanto registrato nel 2021. In gergo tecnico si dice che le Uvam possano risolvere i problemi di congestione della rete essendo abilitate ai servizi di dispacciamento nella modalità a salire (a scendere), ovvero siano in grado di modulare in incremento (in decremento) l’immissione o modulare in decremento (incremento) il prelievo. Allora, nelle chiamate “a salire” si registrano circa 2.670 MWh di inadempimenti (il 38% delle quantità accettate). Nel 33% dei casi l’ordine di dispacciamento è stato eseguito fornendo almeno il 90% della quantità accettata, mentre nel 16% ci si è fermati il 70% e il 90%. Nell’11% dei casi l’ordine non è stato eseguito neppure parzialmente. Le attivazioni “a scendere” mostrano risultati migliori: forti inadempimenti solo nel 7% dei casi, mentre le altre chiamate presentano un’elevata quota di adempimento. Numeri che dicono quanto sia lunga ancora la strada da percorrere.

 

Strumenti di flessibilità: le energy community (e l’Italia fa da apripista)

Le comunità energetiche sono una voce a cui il Pnrr ha destinato 2,2 miliardi di euro per l’Italia. Anche gran parte delle Regioni italiane (14) hanno già emanato dei provvedimenti e stabilito in che modo e con quale intensità intendano supportarne la diffusione: tra gli strumenti più comuni, agevolazioni per finanziarne la costituzione e la progettazione tecnico-economica, anche attraverso appositi servizi di consulenza per predisporre la documentazione e i relativi progetti. In sintesi, una comunità energetica consiste in un’associazione tra cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali e piccole/medie imprese che decidono di unire le proprie forze con l’obiettivo di produrre, scambiare e consumare energia da fonti rinnovabili su scala locale. È un tema molto sentito, ma che stenta a decollare. Perché? Il primo ostacolo alla diffusione è certamente di carattere normativo: l’incertezza, infatti, ha portato ad attendere i provvedimenti definitivi prima di intraprendere iniziative concrete e allocare investimenti. Inoltre, è manca una procedura semplificata ed esistono difficoltà operative per effettuare lo scorporo in bolletta.

Un giusto mix di eolico e solare può portare vantaggi dal punto di vista tecnico ed economico in un’ottica di decarbonizzazione del sistema

«Nell’industria le comunità energetiche esistono già – così l’head of electricity market regulation di Eni Massimiliano Brunetti – nell’automotive, nella carta, nella chimica e hanno avuto anche la legittimazione anche a livello europeo. Un’opportunità nel breve termine ci sarà nella sperimentazione sull’auto bilanciamento, che diventa possibile con il decreto legislativo 210/21 istitutivo dei sistemi di distribuzione chiusi. In sostanza si tratta reti elettriche private, che distribuiscono energia elettrica all’interno di un sito industriale, commerciale o di servizi condivisi geograficamente limitato e, al netto di particolari eccezioni espressamente previste, non riforniscono clienti civili. Si tratta di aggregare risorse locali di generazione dei consumi nell’ambito della cabina primaria di rete pubblica o nell’ambito di sistemi chiusi. L’aggregatore si assume l’onere di tenere il consumo entro certi parametri ed è una possibilità per fornire servizi a Terna. Anche se auspico qualche correttivo, in particolare sui criteri di ammissione che oggi sono troppo ristretti».

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 7 dicembre 2022)














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