Toffoletto De Luca Tamajo: chi non si vaccina rischia grosso. Anche il licenziamento

Non esiste un obbligo di vaccinazione, ma le aziende possono prendere misure contro i dipendenti che la rifiutano. L'analisi dello studio legale

Aldo Bottini, partner di Toffoletto De Luca Tamajo

La pandemia ha riportato in voga un tema molto dibattuto, quello dell’obbligo delle vaccinazioni. Come deve comportarsi un datore di lavoro nel caso un dipendente rifiuti di sottoporsi al vaccino anti-Covid? A fare il punto sulla situazione è uno studio condotto da Ius Laboris, alleanza di specialisti in diritto del lavoro attiva in 59 Paesi, con la collaborazione dello studio legale Toffoletto De Luca Tamajo. Un’analisi che ha analizzato il tema dell’obbligatorietà delle vaccinazioni in 17 Paesi, fra cui l’Italia.

Quello che emerge è che l’approccio è molto differente da stato a stato e, sebbene nessun Paese abbia introdotto un vero e proprio obbligo, in molti Paesi i datori di lavoro possono prendere una serie di misure, anche disciplinari, per quei dipendenti che rifiutano la vaccinazione. UK, Stati Uniti, Brasile, Francia, Olanda ammettono la facoltà dei datori di impedire ai dipendenti non vaccinati di accedere fisicamente al luogo di lavoro, concordando con i lavoratori una modalità alternativa per svolgere la prestazione, per esempio in lavoro agile o mutando mansioni, oppure usufruendo di un congedo. In Polonia, Austria e Germania è invece consentito il trasferimento temporaneo del dipendente in un luogo più sicuro.







Il licenziamento per chi rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione è considerato illegittimo in Belgio, Irlanda, Lussemburgo, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Argentina e Messico, ed è previsto come misura di extrema ratio da Austria e Brasile. E in Italia? Nella Penisola, così come in UK, Germania, Olanda, Russia e Stati Uniti, il datore può ritenere temporaneamente inidoneo a rendere la prestazione in sicurezza il lavoratore che, potendolo fare, non si vaccini e quindi allontanarlo o esonerarlo senza retribuzione. Qualora poi l’assenza dal lavoro, per il suo prolungarsi e/o per l’indeterminatezza della sua durata, arrechi pregiudizio all’organizzazione aziendale, è ipotizzabile il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

«In Italia, come in gran parte dei Paesi, nessuno può essere obbligato a sottoporsi ad un trattamento sanitario senza una specifica regolamentazione legale» spiega l’avvocato Aldo Bottini, partner di Toffoletto De Luca Tamajo. «Le aziende, però, hanno l’obbligo di salvaguardare la salute e la sicurezza dei propri dipendenti e molte, come per esempio ospedali, supermercati e trasporti, hanno anche una responsabilità verso terzi. In quest’ottica, se il vaccino è considerato una misura di protezione sia personale che per la collettività, il datore di lavoro può considerare il lavoratore che non si sottopone alla profilassi temporaneamente non idoneo allo svolgimento della sua mansione perché impossibilitato a renderla in sicurezza, per sé e per gli altri. Per incentivare la vaccinazione, le aziende possono implementare momenti formativi per sensibilizzare i lavoratori. Alcuni Paesi, soprattutto nel Nord Europa, permettono ai datori di lavoro di destinare un premio ai dipendenti che si sottopongono al vaccino, anche se potrebbe essere considerato un trattamento discriminatorio verso chi, per esempio, non può essere vaccinato».

Un altro tema su cui si sofferma lo studio è quello della protezione dei dati sanitari. Solo in pochi Paesi, tra i quali  Brasile, Germania e Polonia, i dati dei lavoratori relativi all’effettuazione o meno del vaccino possono essere utilizzati dal datore di lavoro. In altri, come Repubblica Ceca, Russia, Messico, possono essere trattati solo in specifiche condizioni, ad esempio previo consenso del lavoratore o se necessari allo svolgimento della prestazione. In Italia e in Lussemburgo questi dati possono essere trattati solo dal medico competente per stabilire l’idoneità o meno del lavoratore. In Olanda, sebbene la legge nazionale sia molto rigida sul trattamento dei dati sanitari impedendo il tracciamento dei soggetti vaccinati, il datore di lavoro può richiedere al medico aziendale di conoscere le percentuali dei dipendenti sottoposti a vaccino, un dato utile per eventuali azioni informative che sono fortemente consigliate in tutti i Paesi.














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