La nuova classe dirigente? Da costruire con skill tech, industria e automazione

Un articolo di Ermanno Rondi*, imprenditore nelle tecnologie avanzate (Incas) e titolare di diversi ruoli confindustriali in ambito formazione. Lo pubblichiamo non tanto per questi ruoli ma perché la sua posizione coincide totalmente con la nostra

In questi giorni si è aperto un interessante dibattito sul Corriere della Sera stimolato per primo da Ferruccio De Bortoli relativamente al ruolo della “classe dirigente”. Autorevoli esperti anche del mondo industriale hanno espresso idee ed opinioni, ma il filo che unisce tutti gli spunti ritengo sia la necessità di una visione di futuro. Dirigere significa dare una direzione, un indirizzo, ma anche avere coscienza e conoscenza degli strumenti necessari per raggiungere l’obiettivo che ci si prefigge. Il quesito, messo in questi termini, ha un’evidente risposta: l’essenza del ruolo risiede nel delineare una visione di futuro supportata dalla descrizione dei mezzi necessari e possibili per realizzarla. Senza un progetto si rischiano solo pericolose giravolte come quelle a cui stiamo assistendo di questi tempi.

Nel mio piccolo mi occupo da tempo di formazione per due principali motivi: un’azienda per crescere ha bisogno di talenti e la scuola ne è la fonte; il secondo e più significativo è che il fulcro di un’impresa, così come di un Territorio e dello stesso Paese, lo si costruisce preparando conoscenze e basi culturali necessarie per attuare qualsiasi percorso di crescita sociale ed economica. L’Education rappresenta le fondamenta di una costruzione in continuo divenire quale è qualsiasi intrapresa o aggregazione sociale ed economica. Per non subire il futuro bisogna costruirlo.







Con questi concetti in mente il compito della cosiddetta classe dirigente non si realizza in forme di mecenatismo che attengono alla sfera del singolo e per loro natura sono di dimensioni temporali ristrette, ma consiste, a mio avviso, nello sviluppare un’idea di futuro e predisporre le basi per edificarla.

Un progetto per la società di domani non è frutto dell’illuminazione di una mente fertile, seppure contributi di questo tipo aiutino a progredire più velocemente, ma la sintesi di un confronto che deve tenere in conto molti fattori, non ultimo la fattibilità del percorso. In questi anni grazie ai ruoli ricoperti in ambito Confindustriale, ho avuto il privilegio di gestire alcune ricerche focalizzate sull’analisi della trasformazione in atto. Inoltre il mio lavoro basato sulla tecnologia e l’organizzazione, con la sua trasversalità rispetto ai settori industriali e distributivi, mi ha aiutato, abbinando i due contributi, a configurare una sintesi che prendendo come punto di partenza il 2000 delinea un percorso verso un ipotetico 20xx di approdo alla nuova società.

Quali sono le richieste del mercato del futuro?

Nel 2000 il sentiment sociale era focalizzato su individuo ed autonomia inseriti in uno scenario caratterizzato da localismo, immigrazione contenuta, strutture decisionali geograficamente definite, innovazione materiale basata sull’acquisto di macchine, mezzi, strutture, con un mercato del lavoro vicinale. Ci saranno strade diverse, a volte contorte, con momenti di apparente ritorno sui propri passi, ma l’approdo finale non potrà che essere caratterizzato da una società multietnica spinta all’alta immigrazione che avrà necessariamente un corollario di partecipazione sociale ed una profonda sfida culturale perché multietnica non significa multiculturale. Avremo inoltre una forte interdipendenza decisionale il cui effetto è già significativamente visibile oggi, l’innovazione sarà continua e prevalentemente immateriale, il mercato del lavoro muterà profondamente diventando più flessibile, diffuso con una potenziale dicotomia tra high skills e basse competenze. Una così forte evoluzione cambierà il modo di rapportarsi, di produrre e distribuire, ma anche i fondamenti e la dimensione della democrazia che dovrà valutare, assimilare e gestire gli effetti dell’estrema interdipendenza delle sfere sociali, economiche e tecnologiche. L’infrastruttura tecnologica supporta e modifica i contenuti sociali.

L’infrastruttura tecnologica supporta e modifica i contenuti sociali

Sul fronte più specifico delle imprese assisteremo ad una evoluzione altrettanto profonda, ma molto più veloce. La smart factory la si può descrivere rispetto a 4 punti di vista: l’azionista ricercherà resilienza in aggiunta a profittabilità, crescita ed immagine; il mercato vorrà velocità e flessibilità e non solo affidabilità e prezzo; gli stakeholders ricercheranno sostenibilità influenzando in questo senso pesantemente il mercato ed i collaboratori non avranno il trattamento economico come primo obiettivo, ma sceglieranno il posto di lavoro in funzione di fattori che attengono alla sfera personale quali formazione, sicurezza, conciliazione lavoro/famiglia/affetti e valuteranno l’azienda rispetto alla sua attrattività data da prospettive, sensibilità sociale, innovazione, attenzione ai rapporti interni ed esterni. In questa nuova fabbrica il modello produttivo abbandonerà il classico paradigma fordista di tipo push per arrivare progressivamente ad una logica pull; di conseguenza l’organizzazione da gerarchica muterà in funzionale con logiche di responsabilità a matrice. Processi digitalizzati, responsabilità diffusa, collaborazioni integrate ed interdipendenza gestita su reti ridondate saranno i caratteri della manifattura nei prossimi anni. Per realizzare questa evoluzione serve avere coscienza del percorso di mutamento necessario e specialmente avere le persone, il capitale umano, in grado di immaginarlo prima e gestirlo poi.

La smart factory la si può descrivere rispetto a 4 punti di vista: l’azionista ricercherà resilienza in aggiunta a profittabilità, crescita ed immagine; il mercato vorrà velocità e flessibilità e non solo affidabilità e prezzo; gli stakeholders ricercheranno sostenibilità influenzando in questo senso pesantemente il mercato ed i collaboratori non avranno il trattamento economico come primo obiettivo, ma sceglieranno il posto di lavoro in funzione di fattori che attengono alla sfera personale quali formazione, sicurezza, conciliazione lavoro/famiglia/affetti e valuteranno l’azienda rispetto alla sua attrattività data da prospettive, sensibilità sociale, innovazione, attenzione ai rapporti interni ed esterni

Anche il lavoro subirà una profonda trasformazione con forti rischi di creare aree di sottosviluppo e sfruttamento; la cosiddetta GIG economy ne è un esempio con piattaforme immateriali che ne rappresentano la sintesi dando origine a business con costo marginale zero per cui molto attrattivi dal punto di vista finanziario. Da un lato si aprono opportunità per lavori molto qualificati, ricercati, ben retribuiti con un significativo corollario di attenzioni; dall’altro attività marginali, low skills, che possono portare a tensioni sociali non indifferenti se non si interviene con strumenti flessibili di protezione sociale. In questa fase diventa importante gestire questa evoluzione in senso non protezionistico favorendo la crescita e l’autonomia dei nuovi lavori e della trasformazione di quelli tradizionali, garantendo invece dignità a quelli meno attrattivi, con un mercato del lavoro per queste figure che avrà più offerta che domanda, ma comunque necessarie anche nel nuovo mondo.

Tratteggiato questo scenario emerge chiaramente il problema di preparare questa transizione che ha in sé fortissime tensioni sociali ed economiche se non si predispongono gli strumenti per comprendere e gestire il nuovo mondo. La formazione è lo strumento per eccellenza perché le basi culturali per un pensiero aperto e dinamico si costruiscono nella scuola che opera nel periodo più fertile degli individui e deve essere per definizione super partes. Il nostro Paese ha esempi di scuole di eccellenza, ma purtroppo, come evidenziato da tutte le analisi, la media formativa non è adeguata a supportare il cambiamento che stiamo affrontando. La didattica è ancorata al modello socratico con lezioni frontali, uno a molti, basata sulle discipline corredate da testi figli dell’era Gutenberg, con vincoli spazio/temporali che in questi mesi hanno mostrato tutta la loro vulnerabilità.

Industria 4.0: fabbrica sempre più integrata e complessa basata su modelli di interazione tecnico/umanistici

Proprio la forzatura della formazione a distanza, messa in campo per necessità, seppur in modo disordinato ed anarchico, ha dato risultati non privi di efficacia facendo conoscere le possibilità di un’altra didattica. Accanto ad esperienze deludenti che perpetuavano il modello “studiate da pagina a pagina”, sono emerse docenze aperte e progredite, condite da voglia di sperimentare che sono da prendere ad esempio per delineare un nuovo modello di Education.

Il nuovo “coordinatore formativo” pone un tema, ne stimola ricerca e sviluppo sfruttando il web come fonte di informazioni, gestisce i risultati e conduce alla sintesi; insegna ai giovani ad imparare coinvolgendoli in un percorso formativo che sostituisce l’ascolto passivo con la selezione attiva delle informazioni, abitua al confronto ed al rispetto delle posizioni altrui e fornisce metodo per l’analisi e la sintesi. Il docente si trasforma da erogatore di contenuti a “coacher didattico” di una classe che non necessariamente deve essere sempre nello stesso luogo, si apre quindi ad un concetto di aula diffusa con la possibilità di gestire anche momenti formativi temporalmente diversi.

Per farsi un’idea dell’impatto nell’apprendimento basta pensare a quanto ci resta in mente al termine di un workshop di 3 o 4 ore; di solito una pagina è più che sufficiente per fissare i concetti che ci sono rimasti impressi; questo esempio di compressione tempo/concetti avviene in presenza una scelta volontaria, la partecipazione al convegno, dettata dall’interesse, è facile immaginare il livello di ritenzione formativa di un giovane studente che partecipa con scarso coinvolgimento, vista l’attuale strutturazione didattica, alle lezioni frontali in aula.

Accanto a questo nuovo modello di didattica partecipativa per generare competenza, oltre a conoscenza, è necessario un passo ulteriore; arricchire la parte tecnica con l’esperienza pratica. Anche su questo aspetto ci sono stati sviluppi interessanti: uno su tutti l’esperienza di Alternanza Scuola Lavoro (ASL). L’esperienza attuata ha impostato un’interpretazione più flessibile del concetto di work based learning tenendo conto del profilo sociale del Paese e della sua punto di partenza caratterizzato da scetticismo e scarsa propensione a mescolare teoria e pratica.

Come si sono evoluti i ruoli nella manifattura?

Negli ultimi due anni c’è stata però una marcata regressione dovuta ad una visione politicamente ideologica del problema; invece di migliorare lo strumento lo si è declassato, metodo tipico di chi non sa affrontare i compiti a cui è preposto. L’Italia soffre ancora di una visione Gentiliana della scuola che affonda le radici nel profondo, addirittura nella cultura degli anni mille dove il paradigma era: pratica=mani = lavoro manuale di pertinenza delle classi inferiori operative, mentre teoria=testa=lavoro intellettuale di pertinenza delle classi elevate. La competenza è invece fatta di conoscenza validata dall’esperienza e quest’ultima deriva dalla pratica dove si mettono in atto ed a fattor comune più discipline per ottenere il risultato ricercato. I risultati sottendono attitudine, determinazione, passione, in una parola: merito.

L’istituzione degli ITS è stata un primo eccellente risultato in questa direzione, con Scuola ed Impresa impegnate a lavorare insieme per formare, con docenze miste provenienti dai due mondi, ed alternanza tra teoria e pratica, i nuovi tecnici pronti per le future imprese Smart. Il grado di impiegabilità superiore all’80% e di coerenza rispetto agli studi fatti maggiore all’85% sono indicatori di assoluta eccellenza.

A questi esempi virtuosi mancano alcuni tasselli oggi a portata di mano per dare un’ancora più ampia prospettiva di cambiamento ai percorsi formativi. La definizione di un modello collaborativo ed integrato tra ITS e Laurea Professionalizzante ed il completamento della riforma della Formazione Professionale del ciclo secondario superiore. Università ed ITS hanno vissuto una stagione di antagonismo, ma l’obiettivo è la definizione di ruoli complementari ed integrati: gli ITS originano da una visione Territoriale e preparano con un imprinting operativo, le lauree traggono spunto da una visione di filiera con un imprinting più gestionale. Le università, in collaborazione con gli ITS di riferimento, dovranno valutare i crediti formativi dei percorsi di questi ultimi ed organizzare le opportune passerelle per consentire collegamenti ed aspirazioni. La chiave di volta è mantenere questi percorsi con riferimenti a strutture di governo mix scuole/imprese e non lasciati all’autoreferenzialità di un solo attore.

La formazione professionale, sia statale (FP) che territoriale (IePF) ha avuto un primo stimolo di riforma, ma manca totalmente nella parte attuativa. È anche necessario un salto culturale per togliere l’alea di “scuola per attitudini deboli” che penalizza non poco le scelte dei giovani. Un percorso professionale ha la stessa dignità e, anche grazie con l’ausilio delle tecnologie, apre prospettive di sviluppo dei progetti di vita pari a quelle ottenute con i classici Istituti Tecnici.

Il nuovo “coordinatore formativo” pone un tema, ne stimola ricerca e sviluppo sfruttando il web come fonte di informazioni, gestisce i risultati e conduce alla sintesi; insegna ai giovani ad imparare coinvolgendoli in un percorso formativo che sostituisce l’ascolto passivo con la selezione attiva delle informazioni, abitua al confronto ed al rispetto delle posizioni altrui e fornisce metodo per l’analisi e la sintesi. Il docente si trasforma da erogatore di contenuti a “coacher didattico” di una classe che non necessariamente deve essere sempre nello stesso luogo, si apre quindi ad un concetto di aula diffusa con la possibilità di gestire anche momenti formativi temporalmente diversi

In aggiunta a questi primi semi di cambiamento le scuole a carattere privato potranno dare una spinta ulteriore al percorso cogliendo le nuove opportunità e la spinta al cambiamento, penso a quanto stimolo possono dare grandi Università come Bocconi, Luiss e Liuc nel loro mondo, così come le organizzazioni per la formazione professionale. In ultimo le Academy aziendali o Territoriali di filiera potranno aggiungere un ulteriore tassello alla nuova Education grazie ad uno stretto connubio tra aziende e centri formativi.

Credo quindi che il compito della “classe dirigente”, ma preferirei definirli come gli “Indicatori di direzione”, non sia sostituirsi alla classe politica, ma sviluppare un’idea di futuro, definire strumenti e competenze necessari per realizzarla e confrontarsi con Società e Politica per renderla possibile.

Ovviamente stante la profondità della trasformazione che stiamo affrontando le tematiche che emergono sono molteplici e, continuando con la metafora dell’edificio, se l’Education ne rappresenta le fondamenta mancano muri, tetto, impianti ed arredamento, ma, sempre a fil di metafora, servono evidentemente architetti sociali ed impresari politici per costruire la casa comune di domani; entrambi parte della Classe Dirigente indicatrice di direzione. Una sfida fantastica per un Paese come il nostro che ha fatto della creatività, dello stile e della bellezza il suo mantra e segno distintivo.

 

* Ermanno Rondi è responsabile education Confindustria Piemonte, già presidente di Confindustria Biella e presidente gruppo tecnico formazione professionale ed alternanza scuola lavoro in Confindustria














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