Aziende post Covid: parola d’ordine mettere al sicuro la supply chain

di Antonio Belloni e Mark William Lowe*♦︎ La pandemia ha fatto emergere tutta la fragilità delle catene di approvvigionamento. Se fino a ieri lo stimolo maggiore era la convenienza del fornitore, oggi è l’affidabilità. I rapporti commerciali con la Cina, le spinte geopolitiche e…

Le filiere produttive italiane hanno funzionato bene per anni. Si sono adattate e si adatteranno ai nuovi scenari economici globali, ma il Covid-19 ha svelato quanto siano ancora fragili ed aperte a rischi.

 







Stato e scarsità

Nel De Providentia di Seneca si legge che l’uomo forte considera tutte le avversità come esercizi. Così il terremoto iniziato con un’emergenza sanitaria globale ha mandato in frantumi ogni certezza, esposto ogni vulnerabilità, messo di fronte ad una prova estrema le capacità di risposta e di adattamento di tutte le imprese. Ma si è trasformato in un grande esercizio di cambiamento solo per poche, quelle forti e pronte per affrontarlo.

Ora, la concretezza dei fatti e un fin troppo diffuso appello alla resilienza hanno reso consapevoli anche tutte le altre che si dovrà cambiare. Ma per quanto? A quale condizione se quella iniziale sembra impossibile da ristabilire? E soprattutto, quanto tempo servirà per capire cosa accadrà nel prossimo decennio e per prepararsi di conseguenza?

Le prospettive a breve termine, che riguardano le catene produttive globali, delineate da un’analisi realizzata dall’Institute for Supply Management, parlano di:

  • tempi di realizzazione dei prodotti raddoppiati (222% per la Cina, 217% per la Corea e 209% per il Giappone, e 201% per l’Europa);
  • capacità produttiva ridotta al 79% in Usa, al 53% in Cina e al 50% in Europa.

È certo che singole imprese, interi settori, ed economie nazionali dovranno trovare il modo di adattarsi a una spinta che travolge tutti, e che ha portato fuori asse – non si sa ancora di quanti gradi – la globalizzazione fino ad oggi conosciuta.

Questa spallata preoccupa le aziende nella misura in cui si chiedono se il protezionismo crescerà, se le ambizioni nazionali si rafforzeranno, e quindi se e quali catene di fornitura finiranno sotto il controllo statale.

C’è infatti un nuovo elemento a rendere ulteriormente difficile il funzionamento già fragile dei gangli di fornitura globali: se prima questo era oggetto di interesse statale per ragioni di potenza – controllo la produzione di acciaio quindi controllo l’industria automobilistica, controllo i porti europei quindi ne controllo il commercio – oggi lo è anche per ragioni di scarsità, laddove c’è il controllo su un prodotto o una materia prima che sono improvvisamente insufficienti per ragioni sanitarie.


le aziende devono bilanciare meglio efficienza e velocità con resilienza e visibilità

 

Spinte politiche a cambiare fornitore  

Le sfide geopolitiche che nasceranno in seno a queste considerazioni, quali conseguenze avranno sui paesi – così come sulle imprese – con i problemi maggiori e con pochi soldi per risolverli? E in che modo la politica nazionale influenzerà le decisioni industriali? Un caso. Sarà probabile – nella nuova mappa di alleanze disegnata da una crescente guerra fredda tra Usa e Cina – che alcune nazioni industrializzate introdurranno alcune misure per incoraggiare le proprie imprese a ridurre i rapporti commerciali proprio con la Cina, ed altre faranno il contrario.

Nello stesso modo, qualche nazione sarà incoraggiata ad intrattenere rapporti più solidi con gli Stati Uniti ed i paesi nella sua rete di influenza, e qualche altra no. Ora le imprese si chiedono: quale effetto avranno queste sollecitazioni sui rapporti commerciali, produttivi e di fornitura, ormai consolidati con l’uno o l’altro interlocutore? In una direzione o nell’altra, infatti, oltre a cercare fornitori nuovi e alternativi per sopperire a scarsità improvvise come quelle causate dal Covid-19, è possibile che le imprese saranno gentilmente invitate a cambiare il proprio fornitore in funzione del suo passaporto.

 

Dal più conveniente al più affidabile

Prima di chiedersi se sia utile o giusto interrompere rapporti economici per ragioni politiche – cosa altro sono gli embarghi o i dazi? – va detto che è una questione di gigantesche proporzioni e complessità. Quanto sarebbe complicato far smobilitare le oltre 200 imprese della lista delle grandi americane di Fortune Global 500, presenti proprio a Wuhan, una delle province più industrializzate del paese ed epicentro della pandemia? Che fine farebbe, per esempio, tutto l’enorme debito americano in mano alla Cina, nell’eventualità che gli Usa tagliassero il cordone ombelicale economico disincentivando le forniture cinesi?

Sul piano industriale poi, la forzatura è ancora più drastica: le imprese che non compreranno più dalla Cina, dove troveranno gli stessi prodotti, sempre a prezzi cinesi? Se, infatti, il paradigma che ha guidato la scelta dei fornitori su scala globale è stato quello della ricerca di un vantaggio competitivo di costo, ora l’impresa, di fronte al pericolo della scarsità e di fronte al rischio politico, dovrà privilegiare l’affidabilità del fornitore, ovvero la certezza di ricevere la merce. Si chiede quindi un cambio di mentalità molto difficile e per certi versi quasi impossibile da applicare; basti pensare che moltissimi settori, come per esempio la meccanica, stanno avendo in queste settimane una reazione comune: non potendo o non volendo più lavorare con la Cina, cercano comunque fornitori asiatici perché sono gli unici a garantire i noti “prezzi cinesi”.

 

Cos’è essenziale?

Queste sono solo alcune delle conseguenze del Covid-19 sul mondo dell’impresa, e tra queste molte ancora sono incerte. L’unica certezza si trova nella necessità di trovare e scegliere le azioni da compiere per proteggersi da futuri shock. Tra le tante, quella prioritaria è mettere in sicurezza i propri fornitori, mantenendo la continuità aziendale con un occhio, e cercando le soluzioni per non farsi più trovare impreparate con l’altro.

I modelli di catene di approvvigionamento fondamentali per le nostre industrie e per i nostri processi manifatturieri ci hanno servito efficacemente per anni, ma la pandemia ci ha dimostrato come siano ancora fragili ed aperti ai rischi. Stiamo ancora affrontando questi rischi con capacità tradizionali, tra cui sicuramente c’è anche quella di creare magnifiche Task Force; ma serve un approccio in grado di concentrarsi su cosa per l’impresa sia di importanza critica. Cos’è e cosa non è essenziale? Quanto è vulnerabile ciò che per l’impresa è essenziale? E, una volta compreso, come si può pianificare una strategia per proteggerlo?

La vulnerabilità della supply chain si verifica in cinque dimensioni. Fonte McKinsey

 

Materie prime e funzioni

Farsi queste domande porta a considerare quali componenti, quali materie prime, prodotti e processi siano indispensabili all’azienda, e quindi quali siano elementi critici-essenziali. Rispondervi in modo professionale conduce a un audit, uno studio che definisce due concetti chiave:

  1. Quali sono i materiali e i componenti cruciali, senza i quali la nostra azienda non può funzionare;
  2. Quali materiali e componenti sono cruciali perché la nostra supply chain è a rischio di rottura.

Le due domande sembrano simili, ma la loro differenza è fondamentale: la prima risposta definisce un bisogno, la seconda l’esposizione al rischio, ed è decisiva per sviluppare una strategia finalizzata a mettere in sicurezza la continuità di una fornitura.

 

Forniture a rischio

Tra i livelli di rischio a cui oggi è esposta una fornitura, quelli più attuali sono il rischio geopolitico e il rischio sanitario, con il loro carico di effetti imprevisti e di effetti domino. Quello sanitario in particolare, presentatosi come completamente inatteso – non sapevamo di non conoscerlo – ci dice molto sulla necessità di analizzare esattamente le informazioni che dovrebbero prevenirlo, e così le loro fonti. Il ferro, per esempio, è un componente chiave per la realizzazione dell’acciaio, ed è soggetto a oscillazioni di prezzo e disponibilità che non sono tutte determinate solo dalla domanda.

Di recente è stato infatti il Covid-19 la causa della chiusura di una delle sue principali fonti di approvvigionamento, il complesso minerario Itabira dell’impresa Vale, in Brasile. Ma altre possibili cause di rottura della catena di fornitura potrebbero includere la chiusura di un porto o la crescita delle accise in Brasile. Quindi appare chiaro immediatamente perché i produttori abbiano bisogno di fonti alternative di approvvigionamento; ma è meno immediato comprendere come sia necessario abituarsi a monitorare l’affidabilità e la sicurezza di un fornitore, includendo tra i rischi le oscillazioni dei rapporti politici con il suo paese di provenienza, i ritardi dovuti a problemi sanitari, ed eventuali divieti.

 

Rafforzare i punti fragili

Se accettiamo che sia necessaria una revisione al nostro rapporto con le catene di fornitura, la revisione che serve qual è e come possiamo implementarla? Il punto da cui partire è una mappatura dei fornitori, in cui stilare un identikit per ognuno, elencando e descrivendo i suoi punti di vantaggio, di svantaggio, e di affidabilità. Una matrice di rischio aiuterebbe infatti a tenerli monitorati, qualificando volta per volta le variazioni che possono segnalare un pericolo o anche giustificare una breve variazione.

Certo, non tutte le imprese italiane hanno un albero di fornitori con ramificazioni fitte e lunghe come quelle di Volkswagen, da richiedere una mappatura complessa; ma tutte, anche le più piccole, hanno fornitori di petrolio ed elettricità, acciaio o plastica, tecnologia e connessioni, suscettibili di rischi o vulnerabili. L’urgenza di questi mesi ha messo improvvisamente al primo posto la necessità di diversificazione per evitare un’eccessiva concentrazione geografica. La dipendenza da fornitori di un solo paese o una sola regione si è infatti dimostrata pericolosissima.

Una differenziazione ben pianificata e una buona strategia di monitoraggio aiutano nel complesso a adottare una mentalità più aperta nei confronti dei fornitori, che include la valutazione dei rischi di embarghi, sanzioni, rischi logistici e di trasporto, e magari anche qualche rottura imprevedibile come una emergenza sanitaria. Non sono importanti solo i prezzi. Perché in alcune situazioni nemmeno l’oro può pagare ciò che ci serve.

 

* Antonio Belloni è Strategic Advisor presso Company Note; Mark William Lowe è Socio Anra e Membro dell’Advisory Board, Pyramid Temi Group














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