Non è un paese per… start-up di giovani

di Piero Formica ♦︎ L'Italia è agli ultimi posti nell'imprenditoria under-40. Colpa della burocrazia, di un sistema che non funziona, di un meccanismo che penalizza la voglia di fare. Ma soprattutto di una stagnazione economica che spinge i giovani a inseguire il mito del posto fisso. E se le università non funzionano...

L’autore è un economista e accademico italiano. Fondatore dell’International Entrepreneurship Academy, è Professore di Economia della conoscenza e Senior Research Fellow dell’International Value Institute presso la Maynooth University in Irlanda. Presso il Contamination Lab dell’Università di Padova e la Business School Esam di Parigi svolge attività di laboratorio per la sperimentazione dei processi di ideazione imprenditoriale. Il professor Formica ha ricevuto nel 2017 l’Innovation Luminary Award conferitogli dall’European Union Open Innovation and Strategy Policy Group. Piero Formica è membro dei comitati di redazione di Industry and Higher Education; International Journal of the Knowledge Economy; International Journal of Social Ecology and Sustainable Development; Journal of Global Entrepreneurship Research; South Asian Journal of Management; and Frontiers in Education. Scrive per l’edizione digitale di Harvard Business Review ed è editorialista delle edizioni del Nordest del Corriere della Sera.

 







Houston, abbiamo un problema con l’innovazione. E no, non si tratta della solita retorica intorno alla difficoltà di fare impresa in Italia. Il busillis riguarda il fatto che i giovani sono sempre meno incentivati a lanciarsi in un’attività imprenditoriale, e preferiscono guardare al “posto fisso”. Un sondaggio del luglio 2018 sul lavoro che si vorrebbe fare vede, in Italia, la preferenza accordata al pubblico impiego (col 28% delle risposte, 13 punti percentuali in più rispetto a tre anni prima), mentre solo il 10% (tre punti in meno sul 2016) aspira ad essere imprenditore. Anche tra gli studenti che hanno raggiunto l’alto gradino dell’istruzione universitaria, non ha grande attrattività la creazione di impresa. Secondo i dati di fonte Ocse, tra i fondatori di start-up innovative in Italia, gli studenti universitari sono il 6% contro il 13,6% del Canada e il 9,4% della Germania. Per di più, l’eccesso di adempimenti burocratici è un virus che fiacca i nuovi imprenditori e li spinge – per circa il 30% stima il rapporto Start-up HeatMap Europe 2016 – a imboccare vie di fuga verso l’estero.

Dunque sono in calo i giovani imprenditori (dai 30 ai 49 anni), mentre sono in aumento, i cinquantenni e sessantenni. Tra uni e gli altri, un saldo negativo nell’ordine delle 200mila unità secondo i dati riferiti a 3 milioni di ditte individuali prese in esame dal Registro delle imprese. Nel Nordest, locomotiva della crescita trainata dall’export, fatto pari a 100 il 2015, nel 2020 l’indice dei titolari e amministratori di impresa settantenni è balzato a 115 e a 110 quello per la fascia di età 50-69 anni. In discesa, invece, gli indici per i 30-49 anni (sotto 95), e per i ventenni (sotto 85). Invecchia, dunque, la popolazione imprenditoriale. Anche la natalità delle imprese è in sofferenza. Nel quinquennio 2015-2020, se il totale delle imprese attive per profilo imprenditoriale è caduto dello 0,1%, le aziende giovanili hanno subìto un calo del 13,4%; quelle artigiane, del 5,2%. Nel Nordest, le imprese attive flettono del 2%, le giovanili del 11,4% e le artigiane del 4,8%.

Questo scenario dalle tinte grigie ci riporta al “Manifesto per l’imprenditorialità e l’innovazione per sostenere la crescita nell’UE” (http://startupmanifesto.eu), pubblicato da imprenditori di successo emergenti nell’economia della rete Internet. Si legge nel manifesto: «I giorni in cui ci si affidava alle grandi aziende e al governo per la creazione di lavoro sono finiti. Molti dei milioni di posti di lavoro persi negli ultimi cinque anni non torneranno come prima. L’imprenditoria, che è stata un motore di crescita negli Stati Uniti, non è stata coltivata in modo efficace o sistematico in Europa. Per creare più affari e nuove imprese ci vuole più che un cambiamento di politica. Ci vuole un cambiamento di mentalità. [….] Dobbiamo assicurarci di avere le politiche, le modalità di funzionamento e le ambizioni di successo. Dobbiamo affrontare il fatto che l’Europa continentale attualmente non crea nuove attività destinate alla crescita né produce, a differenza di altre parti del mondo, imprenditori fiduciosi dell’ambiente che il proprio paese prefigura per le nuove imprese».

Le start-up sono il motore principale della creazione di posti di lavoro in Europa?

Si sostiene che le startup sono il motore principale della creazione di posti di lavoro in Europa. In Italia, a metà degli anni Dieci del secolo corrente, oltre il 47% delle startup era originato dalla macro regione Lombardia-Nordest. Nel secondo trimestre del 2020, quest’area rappresentava poco meno della metà delle startup innovative operanti nel paese. Alla messa a punto del motore, contribuiscono gli studenti universitari che volgono in azione imprenditoriale la conoscenza appresa e le relazioni intrecciate nel corso degli studi. In aggiunta all’occupazione, quel motore muove l’innovazione verso il traguardo dell’imprenditorialità al di là delle attività routiniere. Dalle indagini condotte dall’OCSE, insieme alla Francia e alla Spagna, la nostra popolazione studentesca dà un contributo che pone l’Italia in bassa classifica tra i paesi esaminati, nostri temprati concorrenti.

I numeri sono una misura del successo, mentre la qualità è ignorata non essendo quantificabile, argomentava il sociologo tedesco Max Weber. Un errore da evitare, astenendosi da esaltare il valore dei dati che siano favorevoli, sfavorevoli o discordanti. A proposito di quest’ultimi, altri studi giungono alla conclusione che la nascita di nuove imprese non necessariamente porta alla creazione di nuovi posti di lavoro. Ciò che conta davvero è mettere a fuoco la qualità dell’imprenditorialità emergente. Lo sviluppo vigoroso e sostenibile dipende da quelle imprese innovative che spostano in avanti la frontiera dell’economia, trasformando e alzando la capacità di produrre beni e servizi. Pensiamo alla tecnologia digitale che prevale sul modello d’impresa ritagliato sull’hardware che è stato in Italia e Germania al centro del miracolo economico del dopoguerra. Ci permettono di ridurre il ritardo sin qui accumulato le startup innovative che salgono sul treno del commercio elettronico, dell’internet delle cose e dell’intelligenza artificiale. I loro fondatori sono alla ricerca di nuovi modi per sfruttare commercialmente i percorsi digitali scoperti da qualcun altro.

La nostra popolazione studentesca dà un contributo che pone l’Italia in bassa classifica tra i paesi esaminati

In prospettiva, i progressi della scienza hanno il potenziale di rivoluzionare diversi campi di attività, aprendo inedite strade all’imprenditorialità ad alta tecnologia. La rivista Scientific America cita, per esempio, la trasformazione dell’anidride carbonica in materiali comuni, il cemento a basse emissioni di carbonio per combattere il cambiamento climatico e la medicina digitale. In misura maggiore dia altre iniziative imprenditoriali, le startup che entrano nei terreni più sfidanti della scienza e dell’innovazione necessitano di capitale finanziario e umano. Oggi, siamo ancora distanti dall’altezza dei princìpi di George Doriot. Il pioniere franco-americano del venture capital si sentiva fortemente coinvolto nell’impegno profuso dal fondatore dell’impresa. Sostenere il suo talento e infondere linfa vitale nel team della startup erano compiti che Doriot assolveva con una visione a lungo termine. Una visione che bandiva la crescita dopata della startup e premiava la sua crescita fisiologica, al pari di un bimbo da mantenere in ottima salute. Doriot usava dire che «Quando si ha un figlio, non si chiede quale rendimento ci si può aspettare […] se si costruiscono grandi imprese, i risultati arriveranno». Forti di questa convinzione è possibile prendere decisioni di investimento fondate su aspettative a lungo termine. Siamo distanti da questa visione e pure nell’investimento di breve-medio termine il venture capital in Italia ha investito 1/7 e 1/6, rispettivamente, delle controparti tedesche e francesi, come ha rilevato l’Osservatorio Startup Hi-tech del Politecnico di Milano.

 

Il capitale umano è tra i fattori che più influenza la nascita e la scelta localizzativa delle startup ad alta intensità tecnologica. Gli imprenditori high-tech si concentrano sullo sviluppo di tecnologie sconosciute. Le loro imprese sono più simili a una spedizione, quindi gli esploratori e gli esperti di tecnologia (come ricercatori e scienziati) sono il nucleo del team. Costoro hanno più probabilità di essere individui che imparano oltre i confini disciplinari. La loro propensione alla transdisciplinarietà si riscontra nei consigli di amministrazione. Piuttosto che concentrarsi su un unico imprenditore, come è comune nelle aziende tradizionali, è un gruppo di imprenditori in evoluzione che raccoglie e condivide le conoscenze per prepararsi alle sfide future, sconosciute. Secondo Startup Heatmap Europe (www.startupheatmap.eu), l’accesso ai talenti altamente qualificati è rilevante o molto rilevante per la gran parte di questi fondatori, il 23% dei quali ha avviato la propria iniziativa imprenditoriale in un paese diverso da quello di origine. La probabilità che i fondatori si trasferiscano oltre confine è cinque volte più alta rispetto alla media dei cittadini dell’Unione Europea. Le città in cui s’incrociano le due correnti dei talenti e dei fondatori d’impresa si propongono come fulcri di connettività. A connettere intervengono la comunanza d’intenti, anziché la prossimità geografica, e la crescita del capitale intellettuale, imprenditoriale e finanziario. L’alta propensione dei talenti, degli aspiranti e neo-imprenditori alla mobilità internazionale sta contribuendo a dare alla connettività l’immagine di un’unica e fitta rete d’imprenditorialità innovativa con tanti anelli e nodi intrecciati tra loro.

Valore della produzione ed attivo delle start-up innovative. Fonte Mise Unioncamere

Le startup innovative sono, dunque, nuove specie imprenditoriali. La loro culla è la smart city. È questa la città della conoscenza che, al pari degli esseri umani, possiede strategie cognitive cui ricorre avviando il processo di acquisizione di conoscenze e comprensione dei fenomeni mediante il pensiero, i sensi e l’esperienza. Intelligenza, creatività, conoscenza, apprendimento e l’essere digitale, ubiqua, ibrida sono i connotati che le sono stati attribuiti. Con l’ausilio delle tecnologie, la smart city fa girare la ruota delle applicazioni delle sue strategie, in un campo ampio che comprende la mobilità urbana, l’eco-ambiente, l’istruzione, la salute. Milano e Bologna rientrano nella seconda decina tra le prime 50 smart city nel mondo e ospitano, a metà del 2020, il 22% delle startup innovative del paese. È qui in embrione la formazione di un ecosistema dinamico e adattativo che crea, incanala e trasforma le idee in un’innovazione efficace. L’imprenditorialità si trasforma grazie ad organizzazioni e individui che interagiscono tra loro e con altri organismi dell’ambiente esterno coinvolti nella sfera d’influenza dell’ecosistema. Il flusso di conoscenza è il mezzo di collegamento. Risorse, prospettive, aspirazioni e impegni sono condivisi al fine di perseguire un futuro profittevole per tutti, con l’ambiente fisico e la realtà virtuale collegati tramite l’estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti.

 

Cubbit, la tecnologia tutta italiana che sfida i giganti del web riciclando Internet

https://www.cubbit.io/about-cubbit

Cubbit trasforma il cloud grazie ad una tecnologia che ricicla le risorse internet inutilizzate e restituisce agli utenti il controllo totale sui propri file. Questo perché con Cubbit i dati non sono più in un unico data center, ma sparsi nelle case degli utenti che diventano i nodi di un grande network distribuito. Gli utenti entrano a far parte di questo network tramite la Cubbit Cell che dà immediatamente accesso a un cloud unico nel suo genere: senza invasioni della privacy né abbonamenti mensili e rispettoso dell’ambiente.

 

Oval rende la gestione dei propri risparmi semplice e divertente

Con chi collaborano le start-up? Fonte Osservatorio digital transformation del Politecnico di Milano

Oval è una startup FinTech che consente a singoli individui di gestire i loro risparmi tramite i dispositivi mobili, come smartphone o tablet, disintermediando i gestori patrimoniali. Diversamente da una piattaforma di trading tradizionale, Oval consente di cominciare ad investire in prodotti finanziari anche con somme molto ridotte. L’interfaccia semplice ed intuitiva consente di avvicinare ulteriormente gli utenti al mondo della finanza. In più, Oval è recentemente entrata nel mondo dei pagamenti elettronici, consentendo agli utenti di pagare direttamente con il cellulare utilizzando i risparmi gestiti tramite app.

 

Sirius mette in contatto chi cerca finanziamenti per attività a scopo sociale con chi li vuole finanziare 

Il numero di dipendenti delle start-up innovative. Fonte Mise Unioncamere

Sirius è una piattaforma online finalizzata ad accoppiare organizzazioni, tendenzialmente no profit, che sono alla ricerca di finanziamenti per portare avanti iniziative di carattere sociale, e aziende profit o privati interessati a finanziare questo tipo di iniziative, per esempio nell’ambito di una strategia di CSR. L’idea è nata da una coppia di giovani imprenditori osservando la grande confusione generata dalla gara di solidarietà seguita alla tempesta Vaia: tantissime iniziative frammentate e sconnesse, che facevano fatica a massimizzare l’impatto degli importanti sostegni stanziati da aziende e privati cittadini. Durante la pandemia del COVID-19 la piattaforma, appena lanciata, ha cominciato a dare i primi importanti risultati, aggregando i finanziamenti destinati a numerose strutture ospedaliere.

 

UniSMART avvicina le imprese alla collaborazione attiva con il mondo accademico, valorizzando la ricerca applicata

Distribuzione provinciale delle start-up innovative. Fonte Mise Unioncamere

Tramite UniSMART, le imprese possono rapportarsi alla ricerca ed ai talenti dell’Università di Padova. UniSMART si fa carico di rispondere alle necessità degli imprenditori attingendo alle risorse universitarie: dallo studio di una nuova soluzione di cyber security con un team di dottorandi e professori all’organizzazione di un hackathon con gli studenti per la selezione del personale. Con un fatturato in forte crescita, UniSMART testimonia quanto siano richieste dal tessuto imprenditoriale le competenze universitarie.














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