Cresce la dipendenza dell’Italia dalle importazioni di rottame: l’analisi di siderweb

La filiera richiede una qualità sempre maggiore tanto che i i distributori della materia prima si sono trasformati «da commercianti con un mero stoccaggio a vere industrie di trattamento industriale di rifiuti»

Stefano Ferrari, responsabile Ufficio Studi siderweb

Il mercato siderurgico interno fatica a tenere il passo con le esigenze delle acciaierie, che sempre più ricorrono a rottame ferroso importato. Secondo i dati di Federacciai, Fra il 2011 e il 2019 la produzione interna è calata da 13,7 a 12,5 milioni di tonnellate, mentre il fabbisogno interno è di 21,4 milioni di tonnellate.

Sempre in questo periodo, la produzione nazionale di acciaio è scesa del 19%: è calata del 57% quella da altoforno ed è cresciuta dello 0,7% quella da forno elettrico. È sceso in termini assoluti anche l’import di rottame: -9,6%, passando da 5,7 a 5,2 milioni di tonnellate. Nell’intervallo 2011-2020 «le importazioni di ferroleghe sono diminuite in maniera decisa, quelle di Dri (preridotto) sono invece raddoppiate e quelle di ghisa sono rimaste abbastanza stabili», spiega Stefano Ferrari, responsabile dell’Ufficio Studi siderweb.
Per assurdo, cresce anche l’export, per quanto in percentuale molto limitata: dalle circa 300mila tonnellate del 2011 si è arrivati nel 2020 a 660mila tonnellate.







Secondo siderweb, nell’immediato futuro la qualità del materiale acquisirà una maggiore importanza: «in generale il processo dovrà prevedere una macinazione ancora più fine del rottame, per una selezione più affinata; una selezione magnetica in base alla concentrazione di ferro, poi una selezione automatica assistita da sistemi di intelligenza artificiale. Questo può diminuire la concentrazione di rame, che “inquina” l’acciaio. In collaborazione con il Consorzio Ricrea, come Politecnico di Milano abbiamo lavorato a un sistema capace di recuperare i metalli pregiati, ad esempio lo stagno dalla banda stagnata, che hanno un valore e che invece se inseriti in colata finirebbero per inquinare la carica metallica, finendo poi nella scoria», ha dichiarato Carlo Mapelli, docente del Politecnico di Milano.

Secondo Cesare Pasini, vicepresidente del Gruppo Feralpi, stanno anche cambiando gli equilibri nel settore e non bisogna limitarsi a osservare la sola situazione nazionale: «Bisogna avere uno sguardo che va oltre la dimensione nazionale, perché ci sono macro-trend che riscrivono gli equilibri. Green economy e sviluppo di modelli circolari tra questi, così come l’incremento atteso della quota di acciaio prodotta da forno elettrico anziché da altoforno. Ecco perché il rottame ferroso è e sarà sempre più una materia prima strategica per l’ecosistema industriale di un Paese. Ancora di più per un Paese come l’Italia che ne è un importatore netto. È auspicabile che la Commissione europea tuteli questa risorsa per proteggerla dai fenomeni di esportazioni selvagge, che hanno spesso come meta nazioni con una sensibilità ambientale lontana da quella dell’Ue. Al tempo stesso, tutta la filiera del rottame è chiamata a fare uno scatto in avanti perché qualità, tecnologia, trasparenza e servizio sono condizioni necessarie per continuare a restare sul mercato».

Proprio per la crescente richiesta di qualità che arriva dalla filiera, i distributori di rottame si sono trasformati «da commercianti con un mero stoccaggio a vere industrie di trattamento industriale di rifiuti. I nostri operatori hanno acquisito maggiore sensibilità, perché sono aumentati i rischi e le responsabilità della gestione» anche in chiave di impatto ambientale, ha detto Paolo Pozzato, presidente di Assofermet Rottami. «Credo che i nostri impianti siano strutturati per lavorare in modo preciso per predisporre materiali di alta qualità per le acciaierie. E credo che, in futuro – ha aggiunto -, le aziende si divideranno in 4 fasce: quelle che si occuperanno della raccolta minuta a km 0; aziende medie e grandi più strutturate dal punto di vista commerciale, che faranno da collettori tra le piccole imprese e le acciaierie; una terza fascia di aziende specializzate di media taglia, capaci di gestire rifiuti inquinati, in grado di pulirli e selezionarli; infine i trasportatori, anello fondamentale della catena perché riducono i costi di trasporto, gestendo le tratte e i flussi».

Secondo Federico Fusari, direttore del Consorzio Ricrea, un ulteriore fattore di miglioramento del sistema di raccolta e riciclo degli imballaggi in acciaio (il Consorzio ne gestisce circa 500mila tonnellate l’anno, tra flussi domestici e industriali, rifornendo in modo strutturale le acciaierie) è «rendere uniformi i meccanismi di raccolta in Italia. C’è un Nord Est che è a livelli più elevati della Germania; ci sono altre regioni, al Sud ma anche al Nord, che invece sono indietro. C’è uno sforzo da fare sulle amministrazioni locali, perché recuperino gap e ritardi che giocano a sfavore del sistema. La collettività oggi ascolta i messaggi di sostenibilità ambientali, ma se ad essi non corrispondono azioni concrete subentrano lo scoraggiamento e la messa in dubbio della raccolta differenziata e del riciclo da parte del cittadino. In questo senso sarebbe inoltre «fondamentale coinvolgere giovani e giovanissimi, con attività pensate per loro».














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