La rivoluzione culturale si fa in laboratorio. Parola di Sew Eurodrive e Liuc

Di Renzo Zonin ♦︎ Innovare è una necessità imprescindibile, e la multinazionale tedesca propone in partnership con la business school dell’ateneo lombardo un Industrial Innovation Lab, una scuola per manager in cui si mettono in gioco competenze e strategie. Imparando la lezione dalle grandi aziende che hanno sfruttato le crisi per cambiare: da Apple a Tesla, da Amazon a SpaceX. O magari seguendo i consigli di Julian Birkinshaw, della London Business School

Mancano gli skill, manca il know-how, non abbiamo abbastanza ingegneri, ci servono più periti. Quante volte abbiamo sentito questo cahiers de doléances negli ultimi anni? Stavolta è diverso: per la prima volta, un’azienda ha avuto il coraggio di dire che quello che manca maggiormente è la cultura del cambiamento. Di più: la cultura manageriale del cambiamento. Perché puoi anche mettere in squadra i migliori ingegneri, i tecnici più preparati, i designer più creativi, ma se poi il tuo management è legato a formule e modelli di business di fine ‘900, il tuo percorso di trasformazione digitale, il tuo viaggio verso l’industria 4.0, inizia con il freno a mano tirato, e rischia di interrompersi bruscamente alla prima difficoltà.

A mettere al centro la questione “culturale” del management è Sew Eurodrive, azienda tedesca da 17.000 dipendenti leader nella meccatronica, con quartier generale italiano a Solaro. Per dare un contributo alla soluzione del problema, Sew ha creato una partnership con la Liuc Business School, la scuola di alta formazione dell’ateneo di Castellanza con cui già collaborava su altri fronti, per realizzare l’Industrial Innovation Lab, un laboratorio culturale finalizzato ad aiutare l’evoluzione dell’industria in Italia.







 

Un laboratorio dedicato al top management

Giorgio Ferrandino, general manager di Sew Eurodrive

Negli ultimi anni abbiamo visto nascere molte iniziative congiunte fra atenei e aziende private. Ma questa volta siamo davanti a qualcosa di diverso. «Vogliamo creare un ecosistema imprenditoriale sostenibile, rispettoso dell’ambiente e delle persone, e favorire l’evoluzione dell’industria manifatturiera e degli attori che essa coinvolge – ha spiegato Giorgio Ferrandino, general manager di Sew Eurodrive – Per conseguire tale scopo, e per far fronte alle sfide imposte dall’avvento delle nuove tecnologie, Sew Eurodrive e Liuc Business School intendono generare un movimento di cambiamento culturale, attraverso la creazione di un Laboratorio, capace di contribuire alla trasformazione delle piccole e medie imprese, presenti sul territorio italiano, in organizzazioni agili, innovative e sostenibili».

Quali saranno gli ambiti operativi del Laboratorio lo spiega Elena Tosca, direttrice del Master in Meccatronica & Management e membro del team del Centro sul Cambiamento, la Leadership e il People Management della Liuc. «Industrial Innovation Lab è gratuito. I costi di gestione del progetto e di realizzazione delle attività sono sostenuti dai fondatori, Sew Eurodrive e Centro sul Cambiamento, la Leadership e il People Management della Liuc Business School. Intendiamo lavorare su tre dimensioni. Prima di tutto sulle persone, proponendo le competenze e i valori etici alla base di un sistema impresa dinamico e responsabile, che possa tutelare l’ambiente e le generazioni future. Poi sulle tecnologie, accreditando l’innovazione tecnologica come fattore che abilita il rinnovamento culturale, organizzativo, produttivo e allo sviluppo di nuove competenze. Infine sui modelli di business e di management, sostenendo un contesto aziendale che supporta l’adozione di soluzioni innovative per superare le sfide del cambiamento e favorire la sostenibilità economica dell’impresa. Il Laboratorio si rivolge a imprenditori, amministratori delegati/direttori generali, direttori di funzione e responsabili risorse umane di piccole e medie aziende».

Per conseguire questi obiettivi, il Laboratorio utilizzerà vari strumenti e ha in programma molteplici iniziative. Le principali sono l’assessment online, che permette a un’azienda di valutare il proprio livello di readiness alla trasformazione; un blog, con articoli, interviste e contenuti scaricabili, pubblicati con cadenza mensile al fine di agevolare la condivisione, fidelizzare i membri e sensibilizzare i nuovi partecipanti; tavole rotonde, webinar e appuntamenti on line; l’organizzazione di workshop e di un convegno annuale; la pubblicazione di libri e di articoli scientifici o divulgativi; e infine la messa a punto e la divulgazione di una serie di best practice

 

L’innovazione, secondo Birkinshaw

Elena Tosca, direttrice del Master in Meccatronica & Management e membro del team del Centro sul Cambiamento, la Leadership e il People Management della Liuc

Alla presentazione del nuovo laboratorio è intervenuto anche Julian Birkinshaw. Questi insegna alla London Business School della quale è anche Deputy Dean. È inoltre membro della British Academy, dell’Academy of Social Scientist e della Academy of International Business, e ha scritto 15 libri su argomenti di management e innovazione. Ha inoltre fondato, insieme a Gary Hamel, il Management Innovation Lab (Mlab), frutto di una partnership fra ambienti accademici e aziendali orientato ad accelerare l’evoluzione del management.

Secondo Birkinshaw, la chiave per capire come si fa l’innovazione è non limitarsi agli aspetti strettamente aziendali, ma allargare lo sguardo a quel complesso ecosistema che contribuisce a crearla, e che comprende un più ampio spettro di attività, imprese, università, che sono poi anche alla base dell’Industrial Innovation Lab. «La recente crisi determinata dal Covid ci ha fatto prendere coscienza del fatto che viviamo in un mondo di radicale incertezza – ha detto Birkinshaw – In realtà, il business ha sempre affrontato dei rischi, dai disastri dovuti al maltempo alle crisi di borsa, ma si trattava di rischi in qualche modo noti e quindi prevedibili e mitigabili con opportuni interventi (per esempio assicurandosi). Ma ci sono anche rischi imprevedibili, i cosiddetti “eventi di tipo cigno nero” come l’attentato alle Torri Gemelle, o appunto la pandemia di Covid. E sono questi eventi che rendono la vita di chi fa business particolarmente impegnativa».

Julian Birkinshaw, deputy dean della London Business School

In realtà, il mondo del business viene meglio descritto come un grafico altalenante, costellato da shock improvvisi ma anche da occasioni d’oro. «La pandemia per esempio ha decretato la chiusura di molte attività, ma altre invece hanno ottenuto grandi risultati. Oggi tutti usiamo software di videoconferenza come Zoom, ma in generale tutte le digital company stanno ottenendo grandi risultati, per loro la pandemia è stata un’occasione d’oro. Quello che voglio dire è che nel business dobbiamo pianificare tenendo presente che il futuro è un viaggio pieno di scossoni, e che possiamo pensare all’innovazione come a qualcosa che può spingerci e aiutarci a superare gli eventi critici. I nostri corsi prima della pandemia erano principalmente in presenza, anche se avevamo una piccola componente di corsi in digitale. Improvvisamente, oggi ci ritroviamo con il 90% dei corsi erogati in modalità digitale» spiega. Inoltre, in periodo di crisi molte obiezioni che tipicamente bloccano il cambiamento vengono a cadere, facilitando quindi l’adozione di nuove soluzioni».

C’è tuttavia una domanda che bisogna farsi: se non si è in presenza di situazioni di crisi, perché innovare? Perché complicarsi la vita cercando nuovi modi di fare le cose, se tutto funziona? La risposta è che le cose cambiano nel tempo, e quello che oggi è un business profittevole potrebbe non esserlo più fra uno o dieci anni, per esempio a causa di un evento “cigno nero”. Se vi sembra impossibile, date un’occhiata alla slide che elenca le 10 maggiori società Usa nel 1995 e nel 2020. I due elenchi sono totalmente diversi: nessuna società del primo gruppo è rimasta nei primi 10, e viceversa le attuali prime 10 non figuravano nei Top Ten 25 anni fa – alcune di esse non esistevano nemmeno.

Le principali dieci aziende nel 1995 e nel 2020 per capitalizzazione

«Il motivo di ciò è che le aziende hanno una bassa inerzia, e quelle piccole in particolare sono ancora più esposte al vento del cambiamento, della “distruzione creativa”. L’innovazione è il carburante del successo a lungo termine. Se operiamo in un mondo competitivo – per le risorse, per le persone, per le idee – non abbiamo altra scelta che continuare a innovare, per trovare modi migliori di fare le cose, e per venire incontro sempre meglio alle esigenze dei nostri clienti. In sostanza, dobbiamo trovare il modo per perseguire quella “distruzione creativa” che ci permette di cavalcare l’onda, di somigliare più a Google e Apple piuttosto che a General Motors o Exxon. Ci sono quattro principi guida che consentono di realizzare l’innovazione. Non è una ricetta, ma diciamo che sono gli ingredienti, da usare in varie proporzioni, per ottenere l’innovazione cercata».

 

I quattro principi guida (più uno)

Il business si trasforma durante i momenti di crisi

Il primo principio per chi cerca l’innovazione è l’Openness, l’apertura: essere aperti a idee provenienti dall’esterno per riuscire a fare cose nuove. Un esempio di successo del concetto di apertura è rappresentato dalla Silicon Valley. In quella regione geografica sono nate e cresciute centinaia di aziende di successo, soprattutto grazie al fatto che le persone che lì lavoravano erano abituate a cambiare spesso posto di lavoro, scambiando quindi idee e know-how. Questo e altri motivi hanno portato al successo la zona, mentre per esempio la “storica” enclave tecnologica di Boston, dove i lavoratori avevano una mentalità più legata allo “sposare” l’azienda per la quale lavoravano, ha finito per esaurire la sua spinta propulsiva.

Il secondo principio guida è la “serendipità”, che potremmo semplificare nell’essere fortunati – in realtà, il concetto è più profondo, e in qualche modo implica che assumendo un atteggiamento corretto, adeguato, “ottimista” è più facile che accadano cose “positive”. Le possibilità di creare nuove idee aumentano esponenzialmente con gli incontri “casuali” che un individuo può avere. Geoffrey West, del Santa Fe Institute, ha quantificato che il tipico residente di una città di 5 milioni di abitanti è in media tre volte più creativo di chi risiede in una città di 100.000 anime (curiosamente, nelle corporation succede il contrario: chi lavora in aziende grandi è meno innovativo di chi opera in piccole società). Tutto questo comunque ha fatto sì che alcune aziende progettino i loro uffici in modo da favorire gli incontri “casuali” fra i dipendenti. E questo porta automaticamente al terzo principio: il networking. I manager spesso traggono le loro idee dalle “personal network”, ovvero da quel complesso di conoscenze e frequentazioni che creano scambio di conoscenze e, in ultima analisi, mettono nuova energia nel sistema (vedi principio numero 1).

Come Google declina l’innovazione nei suoi team di lavoro

E sorprendentemente, come dimostrato dal sociologo Mark Granovetter, le connessioni che ci ispirano nuove idee e che creano innovazione sono quelle cosiddette “deboli”, ovvero quelle persone che sono fuori dal nostro cerchio di relazioni strette. Questo perché questi ultimi li conosciamo bene e non riescono a sorprenderci, come invece può accaderci parlando con persone con cui magari siamo solo in contatto su Facebook, o che incontriamo per caso a un evento.

Il quarto principio guida riguarda il fatto che tutti questi eventi casuali, questi scambi di idee, questo networking con legami deboli, vanno incanalati all’interno di una “guiding structure”. Che non vuol dire dare rigide disposizioni, burocratizzare e regolamentare ogni cosa. «Chi affronta seriamente l’innovazione deve essere sicuro di sapere perché vuole innovare, che cosa vuole innovare, qual è il problema che sta tentando di risolvere, quali sono le obiezioni che sta tentando di soddisfare – spiega Birkinshaw – e quindi la guiding structure serve a questo, a dare un semplice insieme di regole per arrivare allo scopo. Devono essere regole sufficienti a incanalare verso il focus, ma se sono troppe spengono la creatività».

Le nuove sfide della leadership nel post-lockdown

Il management quindi dovrà affrontare nuove sfide, e in particolare nuove modalità di interazione, che vadano possibilmente a compensare ciò che è stato perduto in termini di interazioni personali.

Oltre ai quattro principi guida, Birkinshaw in coda al suo intervento ha citato un “quinto principio”, se così lo possiamo definire. E cioè che spesso l’innovazione è il frutto di una persona che ritiene di avere un’idea migliore, e che è sufficientemente caparbia da continuare sulla sua strada nonostante la disapprovazione degli altri o gli inevitabili fallimenti iniziali. Emblematica, in ambito sportivo, la storia di Fosbury, che perfezionò nel tempo il suo stile di salto in alto fino a ottenere risultati migliori rispetto al vecchi ostile ventrale, cosicché alla fine tutti lo adottarono. Ma nella tecnologia, abbiamo decine di esempi: pensiamo ai fallimenti di Steve Jobs prima di arrivare al successo universale con iMac o iPhone, pensiamo a Jeff Bezos con Amazon che, prima di diventare un successo mondiale nell’e-commerce, ha bruciato capitali in anni di rosso, pensiamo a Elon Musk che fonda Space X con la bizzarra idea di mettersi a produrre missili capaci di tornare a terra per essere riutilizzati: se si fosse fermato alle prime esplosioni, ai primi insuccessi, come la ragione avrebbe consigliato, oggi non esisterebbe la maggiore società Usa di lanciatori spaziali. «Spesso il progresso dipende da persone poco ragionevoli» conclude Birkinshaw.

 

Cosa è la Liuc

Vittorio D’Amato, direttore del Centro sul Cambiamento, la Leadership e il People Management di Liuc Business School

L’Università Carlo Cattaneo, in breve Liuc, è un ateneo privato italiano a carattere manageriale, fondato a Castellanza nel 1989 ed entrato in funzione nel 1991. Si tratta di un’istituzione che nel suo percorso trentennale ha creato «un network di oltre 9000 alunni, 300 docenti, 6500 imprese partner, 9 centri di ricerca, 7 master universitari, un executive Mba part time e un International Mba full time in lingua inglese. L’ateneo comprende un’area Mba, un’area master, un’area formazione manageriale, corsi a catalogo su commessa, un’area rivolta alla ricerca – fondamentale per la nostra business school – e lo Smarter Action Toolkit, che è un percorso di assessment e corsi che abbiamo istituito anche per dare risposte in questo momento difficile» dice Vittorio D’Amato, direttore del Centro sul Cambiamento, la Leadership e il People Management di Liuc Business School.














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