Private equity, Bain: la digitalizzazione dell’industria è un’occasione di investimento

di Barbara Weisz ♦︎ Il numero degli investimenti 2022 è fortemente calato nella seconda metà dell'anno a livello globale, il private equity nel complesso registra comunque la seconda performance di sempre, boom di liquidità ancora da investire, 3,7 triliardi di dollari a livello global. Verso quali obiettivi si muoveranno? Fra i grandi target la trasformazione energetica. In Italia, il machinery fra i settori industriali più gettonati, unisce il valore It a quello del Made in Italy. Il Global private equity report di Bain, con Roberto Fiorello

Healthcare, settore tecnologico e machinery sono i tre settori industriali su cui si concentrano maggiormente gli investimenti del private equity. E trasversalmente, «le società che hanno software per automatizzare i processi di gestione e la mission di digitalizzare le attività produttive sono il miglior target possibile per i fondi di private equity»: lo sottolinea Roberto Fiorello, senior partner e responsabile italiano del private equity di Bain & Company, sentito da Industria Italiana a margine della presentazione del 2023 Global Private Equity Report. Dal quale emerge il seguente contesto internazionale: private equity in rallentamento nella seconda metà dello scorso anno (le variabili macro che incidono maggiormente sono inflazione e rialzo dei tassi), ma comunque il 2022 è stato il secondo anno migliore della storia. In Italia, invece, il 2022 è stato un anno record, con un valore di buyout pari a 64 miliardi di dollari, quasi il doppio rispetto ai 36 dell’anno precedente. A questo, si aggiunge l’interesse sempre più elevato (in Italia e in tutto il mondo), per la transizione energetica, un trend su cui c’è una forte pressione sui fondi da una molteplicità di soggetti (autorità di regolamentazione, clienti, investitori) per la decarbonizzazione (quindi, per gli investimenti green). L’altro focus per il prossimo decennio è rappresentato dal Web3 (blockchain, smart contract, token), e qui c’è una sfida nella sfida rappresentata dalla necessità di avere competenze adeguate anche all’interno del mondo del private equity. Infine, sul fronte della raccolta, c’è il nuovo potenziale volano di crescita rappresentato dagli investitori individuali con elevato patrimonio netto. Approfondiamo i dati e i trend che emergono dal rapporto di Bain, con particolare riferimento all’Italia e alle opportunità che riguardano l’Industria, con l’aiuto di Roberto Fiorello.

I dati sull’andamento del private equity globale

Il totale degli investimenti (buyout) a livello globale nel 2022 è sceso a 654 miliardi di dollari, dai mille miliardi dell’anno precedente. C’è un calo di oltre un terzo degli investimenti (-35%), che si è concentrato in particolare nel secondo semestre dell’anno. Le cause sono facilmente intuibili: nuove incertezze macroeconomiche, e soprattutto (per il settore finanziario), l’alta inflazione. Qui, c’è anche un problema di esperienza degli operatori del settore che nella maggior parte dei casi, sottolinea Fiorello, «non hanno mai lavorato in un contesto di alta inflazione». Al rialzo dei prezzi si aggiungono le conseguenti politiche restrittive delle banche centrali, con l’aumento del costo del denaro. E in generale un mercato che vede, per quanto riguarda il trasferimento della liquidità alle imprese, meno operazioni bancarie e una maggior incidenza del direct lending.







Roberto Fiorello, senior partner e responsabile italiano del private equity di Bain & Company

È calato anche il numero delle operazioni, -10% con circa 2mila 300 deal. L’area con il maggior rallentamento è stata l’Asia anche a causa delle misure di lockdown che invece nel resto del mondo si sono allentate se non concluse.

Comunque, escludendo il 2021 (che era stato un anno record anche in considerazione della ripresa post Covid), il livello di investimenti è il più alto dal 2008. E, nel complesso, per il settore del PE, il 2022 è stato il miglior anno di sempre. Il drypowder, ovvero la liquidità disponibile per nuovi investimenti, ha raggiunto il record assoluto di 3,7 triliardi.

Il 2023 si è aperto all’insegna della ripresa dei deal. Considerando l’alta potenza di fuoco a disposizione, le prospettive sono positive, tanto che «si attende una buona ripresa del mercato entro l’estate», sottolinea Fiorello. I multipli non sono scesi, e pur con il rallentamento 2022 siamo ancora in presenza di un seller market. Sul fronte della raccolta di capitali, Bain individua il trend degli high wealth individuals. Si tratta di investitori che detengono circa il 50% di tutti i patrimoni globali in gestione, solo il 16% dei quali in fondi di investimento alternativi. Un’occasione per il private equity, anche grazie a uno sforzo in questo senso che si potrebbe definire di filiera: consulenti, banche fintech si stanno adoperando per avvicinare i due mondi.Le operazioni 2022, oltre ad essere state inferiori per numero e valore medio (964 milioni, da 1,2 miliardi del 2021), sono state all’insegna di una maggior prudenza: il mercato si è concentrato sulla gestione dell’esistente e sulla riduzione del rischio. In uno scenario che, come detto, ha visto rallentare i prestiti delle banche, le grandi operazioni di leva finanziaria si sono dimezzate, fermandosi a quota 203 miliardi di dollari negli Usa e in Europa, con una conseguente maggior attrattiva di deal più contenuti e di operazioni di add-on: le acquisizioni effettuate da aziende a loro volta partecipate hanno sostanzialmente costituito il 72% dei buyout nordamericani.

Il totale degli investimenti a livello globale nel 2022 è sceso a 654 miliardi di dollari, dai mille miliardi dell’anno precedente. Il calo è concentrato in particolare nel secondo semestre dell’anno. Fra le cause le nuove incertezze macroeconomiche e ,soprattutto per il settore finanziario, l’alta inflazione.

Come il private equity investe nell’industria italiana

Nel sopra descritto quadro di rallentamento globale avvenuto nel 2022, spicca la performance italiana: come detto gli investimenti sono praticamente raddoppiati, a 64 miliardi di dollari, e i deal, come negli anni precedenti, «hanno riflettuto l’ampio spettro di settori economici del Paese: «oltre ai trasporti – spiega Fiorello -, tra i settori spiccano tech, healthcare, comparto consumer e industriali». Analizziamo più precisamente questi trend.

Fra i trend individuati da Bain: transizione energetica, retail e Web3, che si fonda su tecnologie come blockchain e smart contract

Il focus sull’healthcare «è molto evidente negli ultimi due-tre anni, gli investimenti riguardano tutto ciò che fa riferimento al mondo dei farmaci, in termini di sviluppo, produzione, servizi». E’ un settore consolidato, evidentemente la spinta fondamentale è arrivata dalla pandemia. Per quanto riguarda il settore tecnologico, gli investimenti si concentrano prevalentemente «sulla parte software. E’ un segmento su cui c’è sempre stato buon volume di investimenti, ma negli ultimi anni si rileva un forte aumento, nei portafogli ormai pesa il 30 per cento del totale». Infine, l’industria, soprattutto nel «confezionamento alimentare, e nella produzione di alimenti», quindi packaging e food, «ma anche tutti i macchinari a servizio dell’industria», quindi il machinery in senso stretto. «L’importantissima rilevanza c’è da sempre, i macchinari sono tradizionalmente un’eccellenza italiana su cui vengono fatti investimenti. Ma il trend ha una maggiore intensità negli ultimi due o tre anni. I fondi più bravi a fare investimenti in questi settori sono quelli che hanno maggior facilità sia di raccolta di capitale sia di loro impiego, perché c’è un numero di deal piu elevato». Fra i segmenti più investiti, «i macchinari per l’industria agricola e alimentare». Infine, sempre per quanto riguarda il mercato italiano, «tutta la supply chain del food ha un’enorme attività».

Qui, il Paese si inserisce in un trend globale, che vede un grande interesse sull’agritech (sembra che sia una delle parole magiche per gli investitori), facendo leva sulla tradizione del Made in Italy.

Trasversalmente ai tre macro settore sopra indicati (healthcare, tecnologie e industriali), «i fenomeni che fanno riferimento all’automazione delle attività, alla digitalizzazione dei processi, rappresentano gli incroci ideali. Quindi, le società che hanno software per automatizzare i processi di gestione e la mission di digitalizzare le attività, sono il migliore target possibile per i fondi di private equity, perché combinano il trend di settore e il modo nuovo di lavorare relativo alla parte digital».

La trasformazione green, ci vogliono nuove competenze anche per investire

Un trend globale ormai prioritario è rappresentato dalla transizione digitale. Qui c’è anche una forte pressione regolatoria, con il raggiungimento dei target di decorbinazzazione, sostenibilità, economia circolare, previsti per esempio dall’Unione Europea piuttosto che dalle Nazioni Unite. Secondo il report di Bain, la transizione energetica avrà sempre più peso nei portafogli, in fase di preparazione del deal ormai è prassi fare la due diligence Esg. L’interesse si concentra su fornitori di tecnologia per l’energia green, prodotti, e servizi legati alle nuove fonti di energia. Sono tutte aziende che, segnala il report, «avranno bisogno di trilioni di nuovo capitale mentre il mondo si sforza di scongiurare il peggio del cambiamento climatico».

Secondo il report di Bain, la transizione energetica avrà sempre più peso nei portafogli. L’interesse si concentra su fornitori di tecnologia per l’energia green, prodotti, e servizi legati alle nuove fonti di energia

I problema è che per fare gli investimenti giusti bisogna capire in che modo si muove l’industria (o forse sarebbe meglio dire in che modo si muove il mondo, vista la trasversalità della materia). In altri termini, bisogna agganciare i trend corretti in un mare magnum in forte evoluzione. Trovare l’investimento giusto è da sempre la mission del private equity. Ma la complessità del settore delle energia pulite richiede, secondo Bain, lo sviluppo di nuove competenze e di network. Lo stesso discorso vale per il Web3, ovvero l’ultima frontiera dello sviluppo del web (dopo l’era di internet e quella del social). Le tecnologie portanti sono blockchain, smart contract, token. Che direzione prende questa nuova realtà virtuale che consente, per esempio, di fare pagamenti digitali, transazioni sicure a distanza, metaverso). Una delle grandi sfide dei prossimi dieci anni, per chi deve scegliere in cosa investire.

Come sta cambiando il private equity in Italia

Un po’ come sta avvenendo all’interno dell’industria, con il management alle prese con l’esigenza di digitalizzare l’impianti usando le miglior tecnologie possibili senza perdere di vista la propria specificità, anche i grandi investitori sono alle prese con le sfide legate alle competenze nel mondo che cambia velocemente. Una delle notizie positive, riguarda la crescita avvenuta negli ultimi anni del mercato italiano del private equity. Che attira anche fondi stranieri: una decina i nuovi ingressi negli ultimi anni, da parte di operatori stranieri che sono specializzati nel segmento delle piccole e medie imprese. Spesso, anch’essi di medie dimensioni, con un’esperienza specifica nella gestione del rapporto con questa tipologia di aziende. Per esempio, abbinando le competenze del deal team, che interviene anche dopo l’investimento, con un operation team, che continua poi a seguire l’impresa investita, anche in ottica di crescita post acquisizione.














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