Pnrr: la quinta rata è in arrivo, ma la maggior parte dei fondi non sono stati utilizzati. Ora bisogna accelerare sugli investimenti!

di Laura Magna ♦︎ Molto probabilmente anche la quinta rata dei fondi sarà approvata, ma ora è venuto il momento di scaricarli a terra. Cosa dovrebbe fare il Paese per cogliere l'opportunità? Quattro le strategie: R&S sull'innovazione tecnologica; transizione ecologica; digitalizzazione; formazione. Ne parliamo con Alessandro Rivolta, partner di Pirola Corporate Finance

Le sei missioni (digitalizzazione, innovazione e competitività, rivoluzione verde e transizione green, infrastrutture per la mobilità sostenibile, istruzione e ricerca, coesione sociale e salute) dovranno essere eseguite al 2026

Si discute della quinta tranche del Pnrr, ma a questo punto sono le aziende il possibile motore propulsivo del piano. Aziende che da un lato posso beneficiare delle risorse pubbliche a disposizione per fare investimenti e dunque sviluppo e dall’altro possono dare gas alla difficoltà di esecuzione che a oggi ha rallentato la capacità di spesa del nostro Paese. A patto di partecipare ai bandi in prima persona (finora lo ha fatto solo il 2%, secondo uno studio di Deloitte), attivando reti di imprese e partenariati pubblico-privato. «La domanda da porsi ora, al di là dell’ultima tranche ancora in discussione ma che probabilmente arriverà come è arrivata la quarta è: questo Paese vuole sfruttare e onorare questa opportunità? Secondo la Corte dei Conti, a marzo, solo la missione tre aveva speso più del 10% delle risorse incassate e le missioni 4, 5 e 6 non arrivavano neanche al 5%. A guardare questi numeri si direbbe di no».

Alessandro Rivolta, partner di Pirola Corporate Finance non ha dubbi: tutto si gioca da questo momento in poi sulla capacità di esecuzione, che sembra mancare in effetti alla PA ma che può essere abilitata da un intervento massiccio dei privati. Perché i fondi alla fine arrivano, ma non si ha idea di come metterli a terra non si trasformano in sviluppo. Una visione oggettiva che va al di là dei proclami del governo che si intesta qualche risultato positivo, come la promozione di Moodys’ che ha alzato le prospettive sul nostro Paese da stabili a positive, ma che in realtà ha le sue responsabilità nei ritardi accumulati.







«Tuttavia – commenta Rivolta – Lo slittamento della terza rata da 19 miliardi, che è arrivata con sei mesi di ritardo, è la testimonianza comunque del raggiungimento di una parte degli obiettivi. Nel complesso l’Italia ha ricevuto 85,4 miliardi, il 44% di quanto sarebbe messo a disposizione dal Pnrr. Potevamo fare meglio, essere più veloci, però comunque siamo a un buon livello… il tema adesso è spendere queste risorse e per farlo c’è bisogno di un metodo, di programmare i tempi e misurare i risultati». Su questo piano il nostro apparato pubblico si giocherà la faccia: ma in ballo c’è molto di più, c’è il futuro di questo stesso Paese». E mentre si ragione della quinta rata tra tentativi di aggiustamento e corse contro il tempo, è di questo che si sta parlando in realtà.

 

La quinta rata: in ballo c’è il futuro di un Paese

Alessandro Rivolta, partner di Pirola Corporate Finance

Intanto si attende il verdetto sulla quinta rata. Gli obiettivi sono da completare entro la fine dell’anno perché l’Italia abbia il via libero dalla Commissione. Al centro ci sono riforme chiave come la riduzione dei tempi di pagamento delle PA (la Commissione ha appena deferito l’Italia alla Corte di Giustizia insieme a Belgio e Grecia) e di quelli per l’aggiudicazione degli appalti, che devono scendere sotto i 100 giorni, ma anche l’implementazione di un sistema nazionale di e-procurement e la digitalizzazione della giustizia. Temi così grossi per cui sarà senza dubbio necessaria una nuova deroga o comunque qualche aggiustamento. Sul fronte degli investimenti invece, a inizio ottobre risultavano raggiunti solo dieci dei 69 obiettivi della quinta tranche. Ad aver completato quanto previsto è in particolare il Dipartimento della Trasformazione digitale che ha concluso il suo lavoro su fascicoli giudiziari, app Io e portale Inps.

Anche il ministero dell’Ambiente ha portato a termine il piano di riduzione delle discariche abusive mentre il ministero dell’Università ha raggiunto i numeri previsti dal programma nazionale di ricerca (Pnr) e dai progetti di significativo interesse nazionale (Prin). Altri interventi sono in dirittura di arrivo: si tratta più che altro, ancora di interventi di digitalizzazione, dal potenziamento di PagoPa alla ristrutturazione dei processi di Inps e Inail e ministero della Difesa, fino alla formazione del personale pubblico su appalti e informatica. Ma sono molte di più le partite ancora aperte. Degli obiettivi non ancora conseguiti le amministrazioni ne hanno definito dieci a difficotà alta, 21 a media difficoltà e 28 a bassa difficoltà. Gli investimenti comunali nelle piccole opere o nella riqualificazione energetica sono, per esempio, a elevata difficoltà: per cui Roma chiederà alla Commissione di escluderli dal finanziamento con il Next Generation Eu. Come pure il governo punta a escludere altri interventi, considerati a bassa difficoltà, contro il rischio idrogeologico. La ragione è che molti progetti sono così vecchi (fino a 15 anni) che non possono in alcun modo essere compliant rispetto ai requisiti ambientali richiesti dal Pnrr. Insomma, la partita è ancora tutta da giocare.

Il Pnrr “Italia Domani” si articola in 6 Missioni, ovvero aree tematiche principali su cui intervenire, individuate in coerenza e continuità con i 6 pilastri costituenti del programma Ngeu. Fonte Deloitte

Pnrr: uno sguardo al passato

A luglio scorso, il governo ha chiesto di modificare il Pnrr facendo appello a circostanze oggettive che stavano mettendo a rischio pertinenza, efficacia ed efficienza del piano: il riferimento è all’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime che sono state la ragion per cui la Commissione ha dato il proprio benestare. Il 19 settembre è arrivato il via libera ufficiale per la quarta rata.

«L’Italia ha modificato dieci misure tra cui i bonus energetici e ha incassato l’ok dall’Ue, che però ha lanciato un alert sul crescente rischio di ritardi. Se i ritardi si stratificano, la macchina si inceppa. Bisogna procedere rapidamente perché siamo in un regime temporaneo in vigore fino al 2026. La capacità dell’Italia di recuperare il tempo perso e scadenziare l’esecuzione del piano, con una macchina statale che impari a lavorare in maniera diversa e che sia dotata delle giuste professionalità, ora farà la differenza. Gli investimenti complessivamente hanno trovato una più equilibrata definizione programmatica, anche grazie alla revisione e alla diversa temporalità dell’esecuzione dei vari obiettivi, ma è altresì vero che ora il negoziato è alla stretta finale e la Commissione dovrebbe dare il verdetto definitivo per la quinta rata da completare entro fine anno. Ci sono tematiche come i tempi di pagamento della PA su cui la commissione ha bacchettato anche Belgio e Grecia perché bisognava essere più solerti, così come bisognava essere solerti nelle tempistiche medie di aggiudicazione degli appalti».

I fondi Ngeu, quindi, potrebbero trasformare molte sfide che le aziende stanno affrontando in nuove opportunità in grado di produrre innovazione digitale all’interno e al di fuori dei confini aziendali, generando ricadute ed esternalità positive per il nostro Paese e indirettamente per l’intera UE. Circa il 30% di tali risorse è destinato a rafforzare le capacità del nostro sistema Paese nelle nuove tecnologie digitali. Fonte Deloitte

Il Pnrr: all’origine del Piano che avrebbe dovuto salvare l’Italia (vizi e virtù)

Vale la pena ricordare che il Pnrr ha una dimensione monstre: innestato all’interno di un progetto europeo da 750 miliardi (il Next Gen Ue), il programma ha raccolto per l’Italia 191 miliardi di euro diretti di cui un terzo come contributo a fondo perduto e il resto in finanziamenti, più altri 30 miliardi di finanziamenti indiretti. «L’Italia ha la quota maggiore perché negli ultimi venti anni ha il Pil che è cresciuto di meno. Tra il 1999 e il 2019 il nostro Paese era cresciuto del 7,9% mentre la Germania de 30,2%, la Spagna del 43%, e la Francia del 32,4% – ricorda Rivolta – Noi avevamo una soglia di povertà del 3,3%, aumentata fino al 9,4% nel 2020 con il Covid, questo ha portato a fare dell’Italia la maggior beneficiaria dei fondi. Quindi è un’opportunità imperdibile, per sviluppo e investimenti e per le riforme. Il sottostante è innescare un circolo virtuoso che possa permettere di fare riforme che generano un’espressione di valore grazie a investimenti che si scaricano a terra».

Le sei missioni (digitalizzazione, innovazione e competitività, rivoluzione verde e transizione green, infrastrutture per la mobilità sostenibile, istruzione e ricerca, coesione sociale e salute) dovranno essere eseguite al 2026 e produrre un aumento del Pil del 3,6% più alto rispetto all’andamento tendenziale; e una crescita occupazione del +3,2%. Oltre al riallineamento dei divari regionali, dell’occupazione femminile e giovanile, con un miglioramento tendenziale del contesto economico e sociale. «Se andiamo nel dettaglio ci rendiamo conto che il legislatore aveva la volontà di affrontare queste debolezze dell’economia italiana – dice Rivolta – È stata accordata importanza a investimenti in digitalizzazione e innovazione tecnologica, reti ferroviarie, energie rinnovabili, idrogeno, mobilità sostenibile, istruzione e educazione. Per colmare lacune strutturali del nostro Paese. Lacune che non possono che passare da progetti che devono coinvolgere la pubblica amministrazione e che vanno dalla lentezza della giustizia, ai ritardi abnormi nei pagamenti fatti ai fornitori della PA, a tutto il tema della semplificazione e concorrenza, nonché alla fiscalità e alla facilitazione della natalità e a sostegno della famiglia e delle politiche del lavoro».

L’ottimismo dei leader aziendali va oltre la mera dimensione macroeconomica e
si estende alla performance della propria azienda. Infatti, 9 intervistati su 10
guardano con fiducia alle prospettive di crescita della propria azienda anche nel
breve termine. Fonte Deloitte

L’Italia: una lumaca capacissima nel gestire le emergenze

Perché stiamo andando così a rilento? Le problematiche sono diverse, ma la cosa positiva è che l’Italia è riuscita a gestire l’emergenza in maniera brillante, sfruttando la prima delle 4 possibilità che qualsiasi stato membro può attivare per richiedere una revisione del piano e degli obiettivi: ovvero quella delle circostanze oggettive. Circostanze oggettive che sono rappresentate da costi e scarsità dei materiali, squilibri tra domanda e offerta del sistema produttivo e che hanno avuto impatti diretti e indiretti su alcune linee di investimento. Ma i rischi continuano a essere sul tappeto. «La Corte dei Conti in ogni caso già nel marzo dello scorso anno aveva alzato un warning sull’avanzamento del Pnrr perché avevamo speso solo 23 miliardi dei 66 incassati. Anche nella nota di aggiornamento del Def di settembre veniva evidenziato un ritardo nella spesa. In alcuni casi perché i progetti sono criticabili, ma soprattutto perché le procedure sono farraginose e i costi sono in aumento vertiginoso. Anche le opere private sono state sospese perché hanno ritenuto essere una grande bolla, quindi direi che sotto questo punto di vista i ritardi hanno un senso». Cosa succederà dopo è difficile dirlo: a fronte di un’inflazione che gli istituti di statistica continuano a vedere in rallentamento infatti ci sono fattori in campo che potrebbero correggere nuovamente il tiro.

«Con lo sgonfiarsi dei prezzi del gas, tutti ci aspettavamo un ridimensionamento dei prezzi che alla produzione sono calati dalla fine dello scorso anno, mentre quelli al consumo hanno continuato ad aumentare – il problema è qui che non siamo di fronte a uno stop inflazionistico come tanti auspicano perché per talune industrie, per esempio food e prodotti stagionati a bassa marginalità, se da un lato i costi energetici si sono ridotti, dall’altro è salito il costo del credito, per cui tutte le industrie che hanno bisogno di grandi fonti di finanziamento perché hanno capitali investiti significativi avranno, nel bilancio 23-24, un grande impatto degli oneri finanziari e per pareggiare il risultato netto inevitabilmente dovranno affrontare una riduzione dei costi, a volte poco comprimibili, e/o incrementare i prezzi». Si tratterà secondo Rivolta di una questione di sopravvivenza per molte aziende, anche in virtù del fatto che dalla metà di quest’anno sono andati a regime tutti i rimborsi dei finanziamenti garantiti da Sace e il 2024 sarà l’anno dei rifinanziamenti a tassi elevati e in molti casi insostenibili. Un altro grande scoglio è quello della burocrazia, che determina la lentezza della macchina e delle procedure di gestione dei fondi del Pnrr. «Sarà indispensabile riorganizzare la macchina pubblica per affrontare le scadenze del piano – dice Rivolta – Il piano ci aiuta a rafforzare il ruolo di governo strategico del Pnrr che è in capo alla presidenza del consiglio dei ministri mentre il ruolo tecnico-operativo è in capo al Mef. Dal 2020 sono stati fatti tantissimi interventi di semplificazione, come il codice degli appalti ma nella sostanza non sono stati pochi i risultati perché l’ostacolo principale è la burocrazia. Opere pubbliche che dovevano partire anni fa sono oggi coerenti con la transizione digitale e con la logica che ci aspettiamo? Sicuramente avranno bisogno di revisione». Ma certamente per far ripartire la macchina pubblica c’è bisogno anche di tecnici, ingegneri, personale altamente qualificato, che però non viene attratto se una parte significativa dei contratti offerti ai professionisti scadrà nel 2026. «Anche questo tema è stato sollevato dalla Corte dei Conti, ed è per tutte queste ragioni che è determinante il ruolo delle aziende private». Ovvero, come detto all’inizio, sono i privati che possono ora fare la differenza e possono farla percorrendo diverse strategie.

Sono molte le sfide percepite dalle aziende italiane nel momento in cui si apprestano a partecipare ad uno dei bandi di gara del Pnrr. In primo luogo, le organizzazioni sono tenute a rispettare i criteri di ammissibilità e i requisiti amministrativi/qualitativi previsti dalle gare, coerenti con il quadro normativo di riferimento del piano, che risultano essere talvolta troppo specifici o poco chiari. Fonte Deloitte

«La prima strategia riguarda la R&S, ovvero i progetti che contengono innovazione tecnologica che possono migliorare la competitività, così come prodotti e servizi che siano a valore aggiunto. La seconda strategia è legata alla transizione ecologica, ovvero le imprese beneficiano di finanziamenti/contributi per adottare soluzioni legate all’efficienza energetica, l’utilizzo di energie rinnovabili o alla mobilità sostenibile. La terza strategia è relativa alla digitalizzazione, che significa sfruttare tecnologie moderne come la connettività ultraveloce, l’intelligenza artificiale e l’automazione dei processi per creare valore. La quarta strategia riguarda la formazione, e il Pnrr può promuovere investimenti nella formazione e nello sviluppo delle competenze dei dipendenti, che poi è il vero vantaggio competitivo delle aziende. Quinta ed ultima strategia riguarda l’attivazione di collaborazioni e di reti di aziende, al fine di creare partenariati strategici per promuovere l’innovazione». Ma ad oggi solo il 2% delle aziende italiane ha presentato domanda di partecipazione ai bandi del Pnrr, anche se due imprese su tre sarebbero interessate a farlo e il 22% ha individuato il progetto specifico al quale vorrebbero aderire (lo rileva un’indagine di Deloitte). «Questo nonostante siamo in un clima di incertezza – conclude Rivolta – Un dirigente su due è fiducioso sul futuro e un’azienda su 4 vuole assumersi nuovi rischi e questo è correlato anche al fatto che vedono negli incentivi dei bandi pubblici una forma di sostegno che in qualche modo può mitigare questo rischio. Il 50% considera il Pnrr come uno strumento in grado di avere un impatto sulle performance delle aziende nel medio-lungo termine». Bisogna solo rimuovere gli ostacoli affinché le aziende possano in effetti perseguire questo obiettivo importante per il Paese.

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 28 novembre 2023)














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