Pmi: senza internazionalizzazione non si va da nessuna parte. È ora di migliorare le skill linguistiche. Con Babbel

di Laura Magna ♦︎ L'internazionalizzazione delle imprese italiane vale 1,2 miliardi di euro. Gli ostacoli per le pmi italiane: conoscenza insufficienze di lingua e mancanza di personale qualificato. La soluzione di Babbel: 6.700 corsi e 67mila lezioni in 14 lingue. Ne parliamo con Nicola Carboni

L’internazionalizzazione per le pmi, soprattutto quelle industriali, è un imperativo categorico. Ma è un processo complesso che comporta anche diverse sfide, di cui forse si dibatte meno. «Finché non si trovano nel bel mezzo del processo, molte aziende non sanno che a influenzare il potenziale successo del proprio business all’estero sono sostanzialmente due elementi fondamentali: comunicazione interna efficace e cultura aziendale innovativa», a dirlo a Industria Italiana è Nicola Carboni, team lead sales Italia di Babbel for Business, la divisione dedicata alle imprese del gruppo Babbel, noto per l’app di e-learning dedicata all’apprendimento delle lingue, una soft skill che spesso è carente e che pure è indispensabile in un contesto in cui il campo da gioco è globale.

«L’11% delle imprese a livello europeo ha perso opportunità commerciali a causa di scarse competenze linguistiche – spiega carboni – il 29% delle pmi italiane ha avuto rapporti commerciali con l’estero, tra queste il 12% ha esportato e il 17% ha importato. E le principali difficoltà che incontrano le nostre imprese nell’internazionalizzazione sono per il 29% trovare partner commerciali, per il 14% una conoscenza insufficienze di lingua e cultura del mercato di riferimento e per il 15% mancanza di personale qualificato in Italia: non conoscere la lingua estera vale quanto come non avere personale qualificato».







Internazionalizzazione delle imprese italiane: vale 1,2 miliardi di euro

Nicola Carboni, team lead sales Italia di Babbel for Business,

L’internazionalizzazione è un fenomeno complesso, ma che ha un valore rilevante per l’Italia. Valore stimabile in circa 1,2 miliardi di euro, ed è in forte crescita. La crisi pandemica non ha fermato il trend, anzi probabilmente lo ha rafforzato: perché le aziende hanno avuto maggior bisogno di diversificarsi, di presidiare i mercati di riferimento, di trovare nuovi mercati di sbocco o sinergie produttive e/o tecnologiche. Così è aumentato progressivamente sia l’export delle imprese italiane, sia la loro presenza internazionale. Istat segnala che nei primi undici mesi del 2023 l’export è aumentato dello 0,7%, cui contribuiscono in particolare le maggiori vendite di macchinari e apparecchi (+10,0%), autoveicoli (+23,7%), prodotti alimentari, bevande e tabacco (+6,5%), articoli farmaceutici, chimico-medicali e botanici (+4,2%) e mezzi di trasporto, autoveicoli esclusi (+5,4%).

Sace insieme stima che l’export italiano di beni nel 2023 crescerà del 6,8% superando i 660 miliardi di euro. Il ritmo rimarrà sostenuto nel 2024 al +4,6% per poi assestarsi al +3,8% medio annuo nel biennio successivo e toccare nel 2026 quota 700 miliardi. Quanto alla presenza internazionale, i numeri più affidabili sono contenuti nell’Annuario Istat-Ice (agosto 2022) “Commercio estero e attività internazionali delle imprese 2022”, secondo cui la presenza di imprese a controllo italiano all’estero, è “rilevante e geograficamente diffusa”.

Il 2024 sarà un anno in cui le esportazioni nel complesso registreranno un’accelerazione, con ritmi più omogenei tra le diverse aree geografiche. Ci sarà una tenuta del traino americano, un ritorno di quello europeo e una buona performance dell’Europa Emergente e Csi e dell’Africa Subsahariana

Le controllate italiane sono 24.765 in 174 Paesi, con 1,6 milioni di addetti e un fatturato di 567 miliardi di euro. Di queste, le imprese manifatturiere sono 6.916, impiegavano quasi 866mila addetti e un turnaround di 247 miliardi. «Le pmi che hanno respiro europeo crescono due volte più velocemente rispetto alle concorrenti che operano solo a livello nazionale e hanno il triplo delle probabilità di creare nuovi prodotti o servizi», dice Carboni.

Le previsioni puntano su una ripresa del commercio internazionale di beni, la cui crescita nel 2024 tornerà in territorio positivo toccando il 2%, comunque inferiore rispetto alle attese di inizio anno; anche le previsioni sugli scambi mondiali di servizi sono state limate, attorno all’8%

L’importanza delle soft skill linguistiche in ogni fase dell’internazionalizzazione

«Quando le aziende si trovano a dover aprire uffici o stabilimenti all’estero – dice Carboni – si creano problematiche di comunicazione non solo per la scarsa conoscenza della lingua ma anche per un mismatch culturale. Noi aiutiamo le aziende anche in questo: la sfida non è tanto il linguaggio tecnico ma proprio il miglioramento delle relazioni e l’efficacia delle riunioni. L’obiettivo è fare in modo che non ci siamo riunione difficili, ma sintetiche e concrete, e che non si cada in cliché e atteggiamenti che possono apparire offensivi. Offriamo un supporto per entrare in una nuova cultura con rispetto e consapevolezza».
Babbel ha elaborato la sua sezione for Business – in Italia attiva dal 2019 ed estesa anche agli Usa dal 2022 – con corsi ad hoc dedicati ai dipendenti di aziende di ogni settore e di ogni dimensione: nel mondo sono già 1.500 quelle che si avvalgono del servizio.

La piattaforma di Babbel analizza continuamente i comportamenti degli utenti per modellare e modificare l’esperienza degli studenti

Sulla piattaforma Babbel sono disponibili 14 lingue (inglese, francese, tedesco, spagnolo, polacco, olandese, italiano, portoghese, danese, svedese, norvegese, turco, indonesiano, russo) e circa 6.700 corsi e 60.000 lezioni sviluppate da più di 200 esperti didattici, «adatte a tutti, dal principiante che si avvicina a una lingua per la prima volta, a chi vuole solamente rinfrescare le conoscenze già esistenti – dice Carboni – Create meticolosamente dal nostro team di esperti in didattica delle lingue, le nostre lezioni sono adattate specificamente alla lingua madre di chi le fruisce. Inoltre i contenuti sono progettati per adattarsi facilmente ai ritmi di lavoro quotidiani: lezioni brevi e coinvolgenti, condensate in piccole unità». Il sistema analizza continuamente i comportamenti degli utenti per modellare e modificare l’esperienza degli studenti. Ciò si traduce in un adattamento costante dei contenuti interattivi con lezioni dal vivo, giochi, podcast e video che facilitano la comprensione di una nuova lingua.

«L’obiettivo è che l’organizzazione che ne fruisce venga permeata dalla nuova cultura e dalla nuova lingua – continua il manager – non solo chi si occupa della nuova sede internazionale deve fare questo effort ma deve cambiare l’azienda nella sua interezza. Quella che si richiede è una rivoluzione culturale: non bisogna lasciare indietro nessun collega sul fronte delle competenze linguistiche e dunque si si deve allargare la formazione linguistica a più dipendenti, a tutti per evitare bias e conflitti». Così, le competenze linguistiche acquisite permetteranno di instaurare nuove relazioni commerciali di successo con partner internazionali, grazie a una comunicazione più fluida e precisa. E i clienti saranno gestiti con maggior efficacia, grazie all’apprendimento immersivo di usi e consuetudini legate al mercato di riferimento della lingua scelta. «Inoltre, un’azienda che adotta un approccio multilingue ha molte più possibilità di attrarre i migliori talenti a livello internazionale, i quali non vedranno l’eventuale mancata conoscenza dell’italiano come un ostacolo nell’entrare a far parte del team», aggiunge Carboni.

Questo genere di cultura aziendale internazionale è fondamentale, inoltre, per l’innovazione. «Le aziende con un team manageriale più eterogeneo della media fanno più innovazione – dice Carboni – il fatturato legato alla R&S è superiore del 19 % rispetto alla media. E chiaramente la capacità di innovare sarà fondamentale per mantenere il business competitivo sul mercato internazionale».

 














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