Alla scoperta di Rebecca Machinery, piattaforma per la servitizzazione di Mipu destinata ai produttori di macchinari

di Renzo Zonin ♦︎ Adottandola i costruttori potranno integrare nei loro prodotti servizi basati sull'Ia senza dover scrivere codici. Così si potranno gestire gli impianti per tutto il loro ciclo di vita. E sarà possibile controllare le performance e i consumi

Secondo Mipu, gruppo di quattro aziende che offre servizi di consulenza, tecnologie software e hardware e corsi di formazione, con un solido know-how nel settore dell’intelligenza artificiale, sarà proprio in quest’ultimo campo che si giocherà la sfida più importante per l’industria in generale, e per i produttori di macchinari in particolare. Queste aziende infatti hanno esigenze particolari, e si trovano a dover gestire un mercato che è cambiato rapidamente negli ultimi tempi, per via della concorrenza del far east che ha fatto diminuire la marginalità sul core business, ma anche per l’incremento delle esigenze dei clienti in tema di digitalizzazione e connettività.

I produttori di macchinari sono quindi alla ricerca di nuove linee di redditività, e secondo Mipu una risposta a questa esigenza è di andare verso una servitization assistita dall’intelligenza artificiale. Si tratta, in pratica, di trasformare le macchine in vere e proprie piattaforme di erogazione di servizi basati su Ia. Il problema dei costruttori è che, purtroppo, scrivere software non è il loro core business.







Mipu promette di risolvere il problema con la sua soluzione Rebecca Machinery: una piattaforma software modulare che permette a un costruttore di macchinari di integrare nei suoi prodotti una gamma di servizi basati su Ia, realizzandoli senza dover scrivere codice e senza dover disporre di data scientist. I servizi creati con Rebecca girano sull’edge o direttamente a bordo macchina, e richiedono una potenza di calcolo minima, evitando quindi di aumentare il costo dei macchinari a causa dell’aggiunta di hardware di calcolo dedicato.

Le funzionalità fornite dalla soluzione Rebecca Machinery

La soluzione Rebecca Machinery contiene tutto il necessario per connettere, raccogliere e integrare differenti sistemi, dati e processi, per costruire soluzioni di Ia per il controllo delle performance, per gestire tutto il ciclo manutentivo (ticket, ricambi…) e infine per monitorare i consumi energetici intercettando gli sprechi. La piattaforma è dotata anche degli strumenti necessari per tenere monitorati i modelli di Ia generati, in modo da poter gestire migliaia di Ia senza richiedere un controllo manuale difficilmente proponibile. Anche il problema del deterioramento dei modelli Ia è stato preso in considerazione e risolto con sistemi largamente automatizzati. Di tutto questo,e delle motivazioni che hanno portato Mipu a creare Rebecca Machinery, si è parlato durante il webinar “Gestione predittiva del post-vendita”, che ha visto la partecipazione, oltre che del cofondatore di Mipu, anche di Federico Adrodegari, ricercatore di UniBrescia con molti anni di esperienza nel settore.

Vendere macchine non basta più per fare margine

Federico Adrodegari – Rise UniBrescia

Le aziende che producono macchinari, che lavorano su commessa, hanno peculiarità ed esigenze diverse rispetto a chi lavora alla produzione di massa. La loro filiera è un po’ particolare, piuttosto rigida e soggetta alle turbolenze esterne. Da tempo il focus di queste aziende è concentrato sui processi e si danno per acquisiti alcuni aspetti che in realtà definiscono il vantaggio competitivo, legati al prodotto e alla grande competenza che in questo ambito l’industria italiana ha espresso in questo ambito. «Le peculiarità di questo settore sono state spesso ignorate dal mercato in senso lato, parliamo di provider, di soluzioni eccetera – spiega Federico Adrodegari, ricercatore del Laboratorio Rise (Research & Innovation for Smart Enterprises) di UniBrescia – Spesso i costruttori si sono trovati ad adattare modelli e strumenti pensati per altri contesti. Risulta da un progetto di ricerca che abbiamo condotto anni fa. Spesso hanno adottato soluzioni software adattate da altri contesti, ma questo non è stato percepito come un problema fino a che non ci si è scontrati con la problematica della gestione integrata delle informazioni». Queste realtà industriali sono spesso caratterizzate dalla maniacale attenzione al prodotto, mentre il focus su processi e servizi risulta secondario. Il servizio era visto come un male necessario, e il successo commerciale era costruito su quegli aspetti dove la marginalità allora era maggiore. Ma negli ultimi anni si sono accentuate le pressioni competitive, c’è stata una riduzione dei margini a causa della competizione nel Far East, ma anche per via di un cambiamento nelle necessità dei clienti, le cui aspettative sono cresciute, sia dal punto di vista del contenuto tecnologico sia da quello della ricerca di soluzioni. I cambiamenti sono stati rapidi e hanno fatto affiorare i problemi, perché queste aziende hanno tempi di reazione lunghi. Ora ci si trova a cercare strategie competitive per superarli, ma spesso queste aziende, essendo Pmi, hanno difficoltà ad accedere a risorse adeguate.

«Tra le strategie di risposta c’è la servitization – continua Adrodegari – È una trasformazione che sta coinvolgendo imprese in vari settori. Potremmo definirla l’affiancamento dell’offerta di prodotti con i servizi via via più avanzati, non solo a supporto del prodotto ma anche dei processi del cliente, fino a rivoluzionare il modello di business del costruttore di macchinari con i vari Pay per Use eccetera. È un percorso complesso, ma facilitato e accelerato sicuramente dalla digitalizzazione dei prodotti e dei processi. E qui veniamo ai temi della capacità delle aziende di connettere i prodotti, e di raccogliere i dati per accrescere l’importanza dei servizi nell’azienda generando ricavi ricorrenti e anticiclici rispetto alle vendite di prodotti. Abbiamo visto tra l’altro proprio nella prima fase del Covid come la resilienza del servizio fosse superiore a quella del business dei prodotti. Inoltre la redditività è più alta, e possiamo generare nuovi vantaggi competitivi basati non più sulla sola offerta del prodotto, ma sulla vendita della soluzione dove il servizio diventa il valore aggiunto, diventa una possibilità di trasmettere il know how con servizi consulenziali abilitati dalle nuove tecnologie, che possono far diventare più competitive anche le imprese di questi settori che di competenze e know how ne hanno molto. Quindi diventa rilevante il ruolo delle nuove tecnologie che stanno ridefinendo il confine fra manifattura e servizi. Molte aziende possono ripensare i loro servizi, il primo obiettivo è il miglioramento del processo interno, possono sviluppare nuovi modelli di business, e la gestione dei dati». Si tratta di una trasformazione che travalica il confine della mera tecnologia. «Ci sono tante sfide, culturali, organizzative, strategiche e di competenze. Certamente devono essere gestite, misurate e tenute in considerazione, la tecnologia è un fattore abilitante ma non il solo».

Le richieste dei produttori di macchinari

Le risposte di Mipu alle esigenze dei costruttori di macchine

Quelle appena descritte sono le esigenze che emergono dagli studi condotti dall’Università, ma quali sono nella pratica di tutti i giorni le richieste che i costruttori di macchine fanno a Mipu? «La prima esigenza che ho rilevato è quella di poter gestire le macchine e gli impianti, una volta installati presso il cliente finale, non solo durante il periodo di garanzia ma anche in tutto il ciclo di vita – racconta Giovanni Presti, head of product e cofounder di Mipu – L’obiettivo è di raccogliere i dati e definire il profilo di utilizzo di queste macchine, in modo che il costruttore abbia la capacità di proporre nuovi servizi all’utilizzatore della macchina. La seconda necessità è legata al fatto di immaginare dei servizi che possono essere “embeddati” nella macchina. Parliamo di manutenzione predittiva, previsione di guasti, gestione delle performance, individuazione di anomalie, ottimizzazione della manutenzione, oltre alla gestione e ottimizzazione delle parti di ricambio. Un’altra necessità che ho individuato è di poter usare la macchina come fosse una piattaforma di servizi. La vendita di una macchina, almeno all’inizio, non crea molti profitti. Quindi quello che si vuol fare è utilizzare la macchina come piattaforma di servizi da erogare attraverso la macchina stessa».

Un po’ come fa Tesla, che produce automobili connesse: dietro il pagamento di un canone aggiorna e aggiunge sempre nuovi servizi, che rendono l’automobile sempre più efficiente e sicura. Ma quindi Mipu ha risposto con delle soluzioni a queste esigenze? «Partirei da cosa vogliono gli utilizzatori delle macchine. Vogliono macchine semplici da usare, più flessibili e dotate di tool che consentano di prevenire fermi macchina non pianificati, di avere più qualità e meno scarti. E conseguentemente molti si stanno dotando internamente di risorse per conseguire tali obiettivi. Si va dalla raccolta dei dati all’Ia alla gestione della manutenzione, dall’ottimizzazione delle parti di ricambio alla possibilità di gestire dei ticket nonché di monitorare i consumi energetici. A fronte di questa necessità, i costruttori digitalizzano le macchine, implementano sistemi per raccogliere dati in tempo reale, e su questi realizzano servizi basati su Ia da vendere ai propri clienti. Quello che noi abbiamo realizzato, avendo come guida questa domanda, è una piattaforma, Rebecca, e abbiamo creato al suo interno una verticalizzazione che abbracciasse tutte queste funzionalità: connettere diversi sistemi, raccogliere tutti questi dati, da essi poter costruire delle Ia per fare predizioni che possono essere dalla performance alla predittiva, gestire tutto il ciclo manutentivo, i ticket, le parti di ricambio, nonché monitorare i consumi energetici e intercettare, utilizzando modellistica, anche la parte di sprechi».

Moduli della piattaforma Rebecca Machinery

La soluzione dunque è composta da varie componenti, ma c’è un denominatore comune: tutto gira intorno all’Intelligenza Artificiale. «Sono convinto che le sfide dei costruttori di macchine, e non solo, si giocheranno sul campo dell’Ia. La prima questione che si affronta quando si devono costruire dei modelli di Ia è come fare, come partire? E qui ci si ritrova davanti a tre sfide: la prima è capire chi deve costruire questi modelli di Ia. I più deputati sono i data scientist, che sanno leggere nei dati degli insight utili. L’handicap di questo approccio è che il data scientist non conosce la macchina, e non riesce a fare un’associazione fra l’anomalia del dato e il fault che è andato a determinare.

Esempio produttore Forni

Un caso che ci è capitato è quello di un costruttore di forni, dove il data scientist aveva rilevato un’anomalia ma non sapeva a cosa fosse dovuta. Il tecnico della casa costruttrice gli disse che secondo lui era la resistenza, e il data scientist chiese cosa fosse questa resistenza e a cosa servisse in un forno. Quindi, per costruire valide Ia è necessario avere una grande competenza di dominio, conoscere i propri impianti e le proprie macchine, e di conseguenza se ho a disposizione una piattaforma con un tool che mi consente di superare la componente di competenza legata al data scientist, posso costruire delle Ia che mi consentano di creare dei servizi che potrò poi vendere al cliente».

Fornire ai costruttori di macchine le risorse per progettare le Ia

Insomma, il know how sulle macchine appartiene a chi le fabbrica, che però non ha le competenze per creare le Ia necessarie; d’altro canto, i data scientist hanno le competenze per creare le Ia, ma manca loro la conoscenza del macchinario, e dei processi che esso è chiamato a svolgere. Per uscire da questo impasse, bisogna dare ai produttori gli strumenti per creare le proprie Ia. «Per la mia esperienza, l’azienda ha un know how che può travasare all’interno delle Ia, ed è la sua conoscenza delle macchine che crea un vantaggio competitivo rispetto ad altri. Quindi la mia idea è che l’azienda si debba dotare al suo interno di strumenti e competenze con cui costruire questo patrimonio di Ia».

Creazione e gestione delle intelligenze

La creazione di una Ia segue tipicamente un flusso di lavoro che potete vedere nella slide. Si va dalla componente di gestione del dato al preprocessing al modelling, al training, alla validazione e alla messa in esecuzione. Se consideriamo il tempo necessario. Il 70% è speso nella cura del dato, nel data cleaning e nel preprocessing. La scelta dell’algoritmo, il training, la validazione costano solo il 30% dello sforzo. «In una macchina ci sono da 5 a 20 intelligenze. Avere una piattaforma che mi permetta di ridurre il tempo di sviluppo mi consente di creare molti modelli di Ia, ma devo anche avere la possibilità di metterli in esecuzione, altrimenti essi non potranno produrre nessun valore. La piattaforma Rebecca Ia consente a chi ha il know how sulla macchina di creare le intelligenze senza scrivere codice, e senza avere competenze spinte di data science. La piattaforma mi guida in tutto questo flusso, come mi guida a tutta la parte relativa alla messa in produzione di queste intelligenze».

E qui si introduce un’ulteriore complessità. Un costruttore medio costruisce 100 macchine l’anno con in media 10 intelligenze ciascuna, e questo significa avere 1000 intelligenze da gestire durante l’esercizio della macchina. «L’intelligenza artificiale non è come il software di automazione, che essendo un’entità deterministica farà sempre quello per cui è stato costruito. Un’intelligenza artificiale ha invece un comportamento probabilistico, legato all’ambiente in cui opera che è sempre diverso. Quindi la sua risposta è imprevista rispetto al come è stata addestrata. Gestire quotidianamente migliaia di intelligenze che hanno questo comportamento probabilistico, se non ho uno strumento che mi consente di fare il monitoraggio dei modelli, la loro governance e la loro gestione, è una grossa barriera all’adozione delle Ia da mettere a bordo delle macchine».

L’Ia si comporta in modo simile a un organismo

Giovanni Presti, head of product e cofounder di Mipu

Il fatto che l’Ia esibisca un comportamento di tipo probabilistico comporta tutta una serie di interessanti conseguenze. Per esempio, se la piattaforma permette di clonare un modello di Ia, bisogna farlo con attenzione, perché lo stesso modello innestato anche in macchine uguali avrà comportamenti diversi in base al luogo e a chi esercisce la macchina. Non si esclude che l’operatività della macchina possa determinare una modifica del modello, perché introduce dei fattori che nel modello padre non erano stati previsti e che variano da cliente a cliente, in funzione di come viene gestita la macchina, di dove è localizzata, eccetera. Con la piattaforma di Mipu, gli strumenti danno la possibilità di partire da uno “stampo” e personalizzarlo in modo molto semplice.

Sempre collegato al discorso del comportamento probabilistico dell’Ia, un tema che sarà molto dibattuto è il perché l’Ia mostra un dato risultato. «È un bel tema, viene discusso anche a livello europeo. Dare evidenza di certi risultati, di quali siano le variabili che determinano un fuori controllo. Ma anche in fase di creazione bisogna acquisire una sorta di fiducia che quello è lo strumento giusto, e che il risultato che mi ha dato in fase di costruzione è la migliore soluzione che si poteva determinare con i fattori che ho in carico come input. Quindi la parte di trust sarà un elemento che nei prossimi anni verrà discusso moltissimo e verrà normato. Sicuramente nella parte di model ops questo sarà più facile. Nella parte di costruzione del modello sarà un po’ più complicato, perché la macchina riesce a fare migliaia di elaborazioni e per controllarle tutte bisognerebbe farlo manualmente, cosa che richiederebbe risorse infinite».

La necessità di fidarsi dell’Ia, ma anche di avere un modo per controllarla, deriva dal fatto che la sua natura “probabilistica” fa sì che essa possa, in qualche modo, “deteriorarsi” nell’utilizzo quotidiano. Ma come può succedere? È possibile prendere precauzioni per evitare il problema? «Questa è una situazione inevitabile. L’Ia deve essere considerata un essere vivente, non una tecnologia inanimata. Quindi l’apprendimento, il miglioramento continuo dell’Ia è un’attività più impegnativa e onerosa della sua creazione. Per questo occorre un post vendita dell’Ia, occorre avere una piattaforma che me la gestisce. Perché come dicevo prima l’Ia non ha sempre la stessa risposta, la sua risposta è determinata dai dati che gli arrivano, i quali possono essere qualitativamente buoni oppure bisogna guarirli già alla sorgente. Quindi serve un sistema che mi dia la possibilità di monitorare tutta questa catena, dalla sorgente del dato fino a quando entra nel modello. Di conseguenza, queste migliaia di modelli devono essere monitorati, devono essere gestiti e nello stesso tempo devono essere sottoposti a una governance. Pensare di fare tutto questo con delle persone è possibile, forse, se ho 100 modelli. Se ne ho 1000, dovrei avere una struttura di persone che tutti i giorni guardano i modelli, cercano di capire cosa è successo, perché un modello è andato fuori controllo. Non essendo deterministico ma probabilistico è una follia. Di fatto, uno strumento che fa questo in automatico è imprescindibile. Se non ho questo tipo di strumento non posso pensare di aggiungere servizi di Ia all’interno delle macchine, diventa un problema gestire migliaia di modelli. Ripeto: è un’entità vivente a tutti gli effetti. In funzione dei dati che gli arrivano lei risponde. e la stessa Ia con diversi dati risponde in modo diverso. È assolutamente necessaria una tecnologia che mi consenta di automatizzare questo processo, di avere le risorse per dare veramente valore quando serve all’utilizzatore della macchina. Perché se faccio l’Ia per predire un guasto e poi ci metto tre giorni per capire cosa è successo, il guasto sarà già avvenuto e il servizio non ha senso».

[Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 15/7/2021]














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