Che cosa deve fare il nuovo governo per risollevare l’economia italiana?

di Piero Formica* ♦︎ Debito pubblico e burocrazia aggravano il peso della tassazione e indeboliscono la prosperità misurata con il Pil pro capite. Che fare? Investimenti in ricerca e innovazione e nell’istruzione, che potenziano il capitale umano. Solo così eviteremo la “fuga dei cervelli” e diventeremo attrattivi per gli altri Paesi

Al nuovo governo del Regno Unito guidato da Liz Truss, Martin Wolf si rivolge scrivendo sul Financial Times che «Lo Stato deve fornire beni pubblici di prima qualità, nella consapevolezza che essi sono un beneficio sociale e non un costo. Deve esserci stabilità fiscale e monetaria. Devono essere aumentati gli investimenti in capitale fisico e umano, sia pubblici che privati». La stessa richiesta va avanzata al governo di Giorgia Meloni. Un confronto tra Italia, Francia e Germania ci dice quanto arduo sia il compito che il nostro Paese dovrà svolgere. Il debito pubblico italiano pari al 150,8% del Pil dovrebbe attestarsi nel 2022 intorno al 145%, secondo la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (Nadef). La Francia ha chiuso il 2021 con un debito pubblico del 112,9%; la Germania, del 69,3%. Rispetto ai governi francese e tedesco, il nostro ha margini di manovra parecchio più ristretti. Al divario quantitativo del debito si aggiunge la scarsa qualità della burocrazia a rendere parecchio più ardui gli interventi della mano pubblica. Secondo i dati della Commissione Europea elaborati dalla Cgia (la Confederazione Generale Italiana degli Artigiani), in un range da 0 a 100 l’indice di qualità della Pubblica Amministrazione italiana è 24,7 a fronte del 71,4 della Germania e del 58,3 della Francia.

Per contro, in rapporto al Pil pro capite, gli stipendi dei dipendenti pubblici in Italia erano nel 2015 significativamente più alti che negli altri due Paesi. Debito pubblico e burocrazia aggravano il peso della tassazione e indeboliscono la prosperità misurata con il Pil pro capite. Nel 2021, quest’ultimo valutato in parità di potere d’acquisto si è attestato sui 46mila euro con le entrate delle pubbliche amministrazioni al 48% del Pil come in Germania, dove però il Pil pro capite è nell’ordine dei 58mila euro. In Francia, circa 51% per il Pil pro capite e 52% per le entrate pubbliche. Per salire verso l’alto la mongolfiera Pil ha bisogno della spinta esercitata dagli investimenti. Non basta investire di più. Anzitutto, è da mettere in campo interventi che aumentino l’efficienza del capitale investito. Il confronto con la Germania porta a questa conclusione.







Un contributo prezioso è dato dagli investimenti in ricerca e innovazione e nell’istruzione che potenziano il capitale umano. Qui la spesa, particolarmente quella delle imprese, è al di sotto della media dell’Unione Europea e notevolmente inferiore alla Francia e Germania. Affrontare i problemi dell’istruzione confinandoli all’organizzazione scolastica e alla remunerazione dei docenti è limitativo. C’è da intervenire su contenuti dell’istruzione per ridurre drasticamente il numero di quanti non studiano e non lavorano (tra i 15 e i 29 anni di età, il 21% degli uomini e il 25% delle donne; in Francia, 12,5% e 13%; in Germania, 7,9% e 10,6%) e per alzare la quota della popolazione con titolo di studio terziario sul totale degli under-64 anni (in Italia, il 17,3%; in Germania, il 25,7%; in Francia il 33,4% nel 2018).

Investimenti e istruzione in sofferenza contribuiscono al raffreddamento dei salari: da noi, in calo del 2,9%; in Francia e Germania in aumento, rispettivamente, del 31,7% e del 33,1%. Se i salari diminuiscono, esplodono le remunerazioni dei dirigenti. Gli stipendi dei primi 10 top manager italiani che nel 2008 erano 418 volte più alti dello stipendio medio annuo di un operaio, nel 2020 lo sono per 649 volte: da 6,41 a 9,59 milioni di euro. È rovinosamente caduta la regola attribuita ad Adriano Olivetti: un dirigente non può guadagnare più di 10 volte della remunerazione più bassa. Questa tendenza a forbice, con salari in discesa e redditi dirigenziali in rapida salita, alimenta l’espatrio dei cittadini italiani. Tra le locomotive dell’economia italiana, il Veneto ha presentato saldi migratori negativi per i giovani tra i 18 e i 29 anni. I cittadini italiani residenti all’estero erano, in migliaia, 2353 nel 2000; nel 2021, 5652. Mentre persone di talento lasciano il Paese, è bassa l’attrattività italiana verso gli immigrati con alto livello di istruzione. Tra i migranti con master o dottorato, siamo uno dei Paesi meno attrattivi, distanti da Francia e Germania. Più in generale, nel 2022 l’indice di attrattività globale ci vede al diciannovesimo posto, la Francia all’ottavo e la Germania al primo.

Al tempo di Shakespeare, i prezzi dei generi alimentari aumentavano; i salari diminuivano; il divario tra ricchi e poveri si allargava; le Poor Laws, le leggi per i poveri inglesi, erano il sistema di assistenza. Oggi, da noi, un’onda alta di bonus e sussidi potrebbe travolgere i cittadini tanto da renderli asserviti al potere politico. Eppure, a quel tempo, pare che l’incertezza avesse alimentato la creatività e la confusione avesse reso l’epoca di Shakespeare una delle più culturalmente produttive della storia inglese. Sarà così anche in casa nostra dove, come nell’Inghilterra di allora, non è costante il governo ma l’incostanza del costume di coloro tanto benestanti da ambire a una varietà di modi per mostrare la propria fortuna, con il potere mediatico, abiti di lusso e molte altre cose costose come prima e unica scelta?

 

*Piero Formica è Professore di Economia della conoscenza. Senior Research Fellow dell’International Value Institute, Maynooth University, Irlanda. Docente e advisor, Cambridge Learning Gateway, Cambridge, UK. Presso il Contamination Lab dell’Università di Padova e la Business School Esam di Parigi svolge attività di laboratorio per la sperimentazione dei processi di ideazione imprenditoriale














Articolo precedenteOpenText aggiorna Cloud Editions con nuovi strumenti per le indagini forensi (e non solo)
Articolo successivoKpmg, M&a: nei primi 9 mesi del 2022 operazioni per 56 miliardi. Traina il private equity






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui