Maturità digitale: le imprese italiana sono a un buon livello. L’analisi di Confindustria

il livello di digitalizzazione aumenta al crescere delle dimensioni: per le imprese più piccole il processo di innovazione è più lento

Agostino Santoni, presidente di Confindustria Digitale

Le imprese italiane non sono così indietro sul digitale, anzi: secondo le analisi di Confindustria, la maturità digitale delle imprese è ad un buon livello. Tocca quasi la media di 3 (2,85) in una scala da 1 a 5 (massima maturità digitale). Tuttavia, la dimensione delle imprese valutate è una variabile molto importante: il livello di digitalizzazione, infatti, aumenta al crescere delle dimensioni e questo significa che per le imprese più piccole il processo di innovazione è più lento, soprattutto per carenza di competenze.

È tra i risultati emersi da un’analisi realizzata dai Digital Innovation Hub di Confindustria – la rete di 23 hub a livello regionale con sede presso le associazioni di Confindustria, che ha l’obiettivo di diffondere le competenze digitali alle imprese, con focus sulle pmi – attraverso un test del Politecnico di Milano su un campione composto per il 58% da micro-piccole imprese e per il 42% da medio-grandi. Più dei 2/3 delle realtà analizzate sono localizzate al nord, con una netta prevalenza nel Nord-Ovest, un quinto nel Sud e isole e il restante 11% al Centro. I primi tre comparti per numerosità delle imprese analizzate (meccatronica e meccanica, metallurgia, chimica, gomma e plastica) rappresentano la metà del campione considerato e quasi un quarto appartiene al settore della meccatronica e meccanica.







Se si osserva il livello di digitalizzazione delle imprese intervistate suddivise per settori emerge che, anche se con piccole differenze, i settori più avanzati (indice di poco superiore o prossimo a 3) sono:

  1. Mezzi di trasporto, mobilità e logistica
  2. Ict, servizi digitali e innovativi
  3. Meccatronica e metalmeccanica.

Seguono: Scienze della vita e farmaceutico, Chimica, gomma e plastica, agroalimentare, metallurgia, industria cartiera e del legno, tessile e moda, commercio, edilizia e costruzioni.
Le imprese di tutti i settori hanno digitalizzato soprattutto le fasi di produzione e di ricerca&innovazione.

Dall’analisi sulla strategia aziendale emergono alcune criticità che evidenziano come sia necessario implementare la cultura aziendale e le competenze per la transizione:
– Poco meno di 1/3 delle imprese considera Industria 4.0 parte delle proprie strategie aziendali;
– Solo 4 imprese su 10 riconoscono, sviluppano e premiano le competenze di Industria 4.0;
– Per 7 imprese su 10 Industria 4.0 non coinvolge gli attori della catena di fornitura interna ed esterna
– Poco meno del 50% delle imprese mappate ritiene matura la propria cultura aziendale su Industria 4.0
– Più di 6 imprese su 10 hanno sviluppato uno smart product
– Le strategie di Industry 4.0 sono definite da più della metà delle imprese dalla proprietà e per il 30% dalla direzione generale

Con riferimento ai vincoli che limitano l’avvio di processi di trasformazione digitale, le imprese segnalano: mancanza di competenze (43%), costo degli investimenti (42%), cultura aziendale (29%), conoscenza del mercato (24%), scarsa propensione della filiera a integrarsi (18%), individuazione partner esterni (18%), conoscenza incentivi (13%), rischio insuccesso (9%), scarsa maturità del mercato (8%), sicurezza (7%), aspetti legali (3%).

«Le imprese sono nel pieno della cosiddetta twin transition, green e digitale, che sono anche i due grandi driver che guidano gli investimenti e la competitività dell’Italia e dell’Europa e sono tra loro strettamente connesse», afferma Agostino Santoni, vicepresidente di Confindustria per il Digitale. «Per questo è essenziale accelerare sulla digitalizzazione e soprattutto puntare con decisione allo sviluppo di un’Economia dei Dati, che valorizzi l’enorme mole di informazioni raccolte da imprese e pubbliche amministrazioni attraverso l’Internet delle Cose, l’Intelligenza Artificiale e il Cloud. È l’evoluzione naturale del 4.0, ma va sostenuta con la creazione di adeguate competenze sia attraverso percorsi scolastici e universitari, sia con l’upskilling e il reskilling delle risorse umane già impiegate».

Secondo Maurizio Marchesini, vicepresidente di Confindustria per le Filiere e le Medie Imprese: «Lo scenario che emerge dall’enorme lavoro svolto dai Dih di Confindustria indica con molta chiarezza le traiettorie da seguire nella revisione del Piano 4.0 di cui si parla in queste settimane. I risultati raggiunti sono certamente l’effetto delle politiche per la trasformazione 4.0, che hanno attivato investimenti e che in assenza del Piano non sarebbero stati realizzati con la stessa intensità. Ma il coinvolgimento delle Pmi nei processi di innovazione, le competenze, gli investimenti in tecnologie 4.0, la creazione di una cultura digitale restano le priorità da affrontare. È poi evidente la necessità di accelerare sull’integrazione delle filiere che rappresentano la via italiana per la competitività e la transizione digitale ed ecologica del sistema produttivo: è proprio nelle filiere che tante piccole imprese trovano la strada per crescere. In questa cornice, vista la velocità dell’innovazione tecnologica, è fondamentale continuare a lavorare con una visione chiara, assicurando al sistema produttivo un Piano che ne supporti la competitività e un network di DIH che con il proprio know how continui ad affiancare le imprese in queste sfide».














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