Manifattura, è ora di imparare la cultura della resilienza! Per una produzione antifragile, agile e…

di Piero Formica* ♦︎ Nell’industria, la produzione agile migliora la flessibilità e la reattività al cambiamento. Quella resiliente, invece, si adatta alle interruzioni e alle mutevoli circostanze. Il punto di strozzatura e quello di svolta: richiedono agilità. E sulle sfide future…

Agilità e Resilienza sono termini rilevanti nel contesto della manifattura. Tuttavia, hanno connotazioni diverse e sottolineano aspetti diversi della produzione. Contraddistinguono la produzione agile, le pratiche che mirano a migliorare la flessibilità della produzione e la reattività al cambiamento. Si abbattano barriere e si esce dai silos disciplinari per reagire prontamente all’imprevedibilità della domanda dei clienti e alla loro ricerca di prodotti personalizzati. La produzione resiliente è un sistema in grado di resistere e adattarsi alle interruzioni e alle mutevoli circostanze.

Nella rappresentazione dell’Agilità e della Resilienza si staglia al fondo della scena l’immagine della Curva Sigmoide il cui autore è Pierre Francois Verhulst (1804-1849), matematico belga. Il suo andamento ad ‘S’ rispecchia lo scorrere della vita nelle sue molteplici forme. Il passato è passato. Il presente è un momento. Il futuro non c’è ancora, è ignoto.







La cultura della Resilienza intesa come robusta resistenza

Flessibilità, agilità, resilienza sono fondamentali per rimanere competitivi e adattarsi velocemente a imprevisti e cambiamenti

Il tempo presente ci pone di fronte a delle sfide alle quali ci opponiamo con la forza di Robur il Conquistatore, personaggio ambizioso e prepotente nato dalla fantasia di Jules Verne. È nostra intenzione essere tanto robusti da resistere alle sfide e, dunque, essere resilienti nel senso di un rapido ritorno allo stato iniziale di una società e di un’economia che prosperano in una presunta età dell’oro. Se Resilienza significa resistere senza cambiare in profondità ed estensione, è irraggiungibile il traguardo dell’innovazione che crea nuovi valori. La Resilienza si tradurrà solo in ridondanza. La tirannide di questa cultura è tale da distruggerci avvalendosi della nostra volontà di essere suoi servi. È una servitù volontaria, direbbe il filosofo e politico Étienne de La Boétie. La Robustezza contraddistingue gli esperti. “Nella mente del principiante ci sono molte possibilità; nella mente dell’esperto ce ne sono poche”, affermava Shunryū Suzuki, monaco Zen. Albert Einstein riteneva che più si diventa esperti e famosi, più si è stupidi; “l’intelletto s’inceppa, ma il luccichio della fama ancora avvolge il guscio calcificato” – come riporta Walter Isaacson nella sua biografia sull’illustre fisico (Einstein. La sua vita e il suo pensiero, Mondadori, Milano, 2007). Ciò è la conseguenza del fatto che l’esperto scende nel buio più fondo del pozzo della conoscenza parcellizzata. La sindrome del pozzo funge da barriera alzata per impedire all’esperto la pratica dello sport del contatto tra discipline umanistiche e scientifiche. Una volta usciti dal pozzo, si intrecciano e con-fondono saperi i più disparati. Se ne traggono nuovi asset scientifici che gli stessi protagonisti volgono in imprenditorialità innovativa.

La sindrome della vela – un termine derivato dalla perseveranza dei costruttori di velieri nell’investire in una tecnologia da tempo in uso, nella convinzione che i battelli a vapore non fossero altro che un brutto anatroccolo (si fa qui riferimento a uno dei più noti storici economici Carlo Maria Cipolla nel suo saggio Guns, Sails, and Empires: Technological Inno- vation and the Early Phases of European Expansion, 1400-1700, London: Collins, 1965) – ha interessato un gran numero di esperti. La sindrome della vela è solo uno tra i tanti esempi di resistibile ascesa. All’ascesa al paradiso segue la caduta nell’inferno. Scorrendo le pagine della storia delle innovazioni, alla galea veneziana è subentrato il galeone spagnolo; alle barche a vela, la nave a vapore; al telegramma, la telefonata; alla commutazione manuale del telefono, la commutazione automatica; a Nokia e Blackberry, l’iPhone. Il fatto è che l’innovazione dirompente appare a prima vista come un brutto anatroccolo che crescendo si trasformerà in un meraviglioso ed elegante cigno bianco.

Come afferrare il futuro?

Si può seguire il consiglio che la Regina dà ad Alice, Se volete arrivare da un’altra parte, bisogna correre almeno il doppio!

Si può accompagnare questo consiglio con quest’altro, Se vuoi andare veloce, vai da solo; se vuoi andare lontano, vai insieme.

E con un altro ancora, Festina lente (Affrettarsi lentamente), la prontezza dell’azione unita alla lentezza di un’attenta riflessione (raccomandazione dell’imperatore Augusto ai suoi ministri). Ci affrettiamo lentamente sperimentando, in modo che i frutti che crescono sull’albero dell’innovazione non maturino prematuramente.

Potremmo ritrarre l’innovazione nella forma di un delfino il cui si fondono insieme il sorvolare la superficie dell’acqua come una freccia e l’essere stabile guizzando intorno ad un’ancora.

Con l’Agilità si riconosce il punto di strozzatura e il punto di svolta

Nel punto di strozzatura, in cui il significato di un nuovo percorso precede il momento in cui si verifica, viene incubato qualcosa di nuovo. Al punto di svolta, l’inaspettato diventa atteso – vale a dire, il cambiamento radicale è più di una possibilità: contrariamente alle nostre aspettative, diviene una certezza. Per cogliere i due punti si richiede Agilità. L’Agilità è un processo creativo che va oltre il metodo centrato su un insieme di passi e regole. L’Agilità si rivolge alla creatività che consiste nella capacità di muoversi rapidamente e di cambiare rotta quando necessario, ricorrendo alla sperimentazione e alla collaborazione, ed allenando la propria mente a pensare non limitandosi all’apprendere fatti (così Einstein).

All’Agilità si accompagna il concetto di Antifragilità del saggista e matematico libanese Nassim Taleb (Antifragile: Prosperare nel disordine, pubblicato da Il Saggiatore) che ci proietta oltre la robustezza. Secondo Taleb, è possibile trarre vantaggio dagli shock amando il rischio e l’incertezza che ci espongono alla volatilità, alla casualità e al disordine. Opponendo la nostra forza a quella di Robur, la situazione rimane in stallo. Diversamente, affrontando con l’antifragilità l’ignoto rappresentato da Robur, miglioreremo il nostro stato.

La Missione 4 del Pnrr mira a rafforzare le condizioni per lo sviluppo di una economia ad alta intensità di
conoscenza, di competitività e di resilienza, partendo dal riconoscimento delle criticità del nostro
sistema di istruzione, formazione e ricerca

Le parole chiave nel Dizionario della Resilienza e Robustezza

Queste le parole chiave:

L’Esperto che cerca i fatti a conferma di ciò che sa di sapere e che rivolge domande quando sa di non sapere.

L’Incrementalismo per far meglio ciò che già si sa fare bene.

La Probabilità che è una misura della probabilità del verificarsi di un evento.

La Previsione con le sue metriche.

Il Tendenzialismo che riflette gli interessi e i valori di chi sa.

Il Dizionario mostra l’albero dell’imprenditorialismo con tanti frutti che pendono dai rami. È alta la propensione di cogliere i frutti che pendono dal basso: è più facile, si fa prima. Nella Silicon Valley gli “incrementalisti” sono chiamati “agricoltori”, ovvero coloro che lavorano quotidianamente raccogliendo i frutti che pendono dalla parte più bassa dell’albero, ovvero gli operatori di Wall Street concentrati sui risultati trimestrali prodotti dalle aziende.

Le parole chiave nel Dizionario dell’Agilità e dell’Antifragilità

Queste le parole chiave:

Curiosità: ‘il gatto fuori dal sacco’.

Incertezza che espone a volatilità, casualità e disordine.

Elementi sorprendenti.

Giustapposizioni inaspettate.

Possibilità, una misura soggettiva.

Trarre vantaggio dal disordine.

Il Dizionario mostra l’albero dell’imprenditorialismo rovesciato, per fare vedere le sue radici culturali.

Chi sfoglia i due Dizionari?

Albert Einstein riteneva che più si diventa esperti e famosi, più si è stupidi; “l’intelletto s’inceppa, ma il luccichio della fama ancora avvolge il guscio calcificato”

A sfogliare il Dizionario della Resilienza e della Robustezza sono i monomatici, conoscitori tolemaici. Sono esperti che conoscono attraverso la lente che li porta a vedere la conoscenza ricevuta come un sistema di riferimento immutabile. Tutto ruota intorno ad esso. Gli esperti scavano pozzi profondi che chiamiamo “specializzazione“. Gli specialisti sono “persone che sanno sempre di più su sempre meno, fino a sapere tutto su niente”. Più il pozzo è profondo, meno la luce vi penetra. I conoscitori tolemaici cercano percorsi all’interno dei confini delle loro mappe, innescando processi di scoperta o raccogliendo fatti attraverso lo studio e l’esperienza. In quanto esperti che mirano alla perfezione, sono abituati a disegnare mappe della conoscenza estremamente dettagliate, paragonabili alle mappe cartografiche descritte da Jorge Luis Borges nel suo racconto di un solo paragrafo Sull’esattezza nella scienza,

In quell’Impero, l’Arte della Cartografia raggiunse una tale perfezione che la mappa di una singola Provincia occupava l’intera città e la mappa dell’Impero l’intera Provincia. Col tempo, quelle Mappe inconcepibili non furono più ritenute sufficienti e le Gilde dei Cartografi elaborarono una Mappa dell’Impero le cui dimensioni erano quelle dell’Impero e che coincidevano punto per punto con esso. A sfogliare il Dizionario dell’Agilità e dell’Antifragilità sono i Polimatici. Un polimatico è una persona poliedrica e versatile che ha imparato molto per eccellere in diversi campi della conoscenza ed è in grado di combinarli per generare cambiamenti. I polimatici sono creatori di percorsi. Caratterizzati da ignoranza creativa, viaggiano con leggerezza, ignorano le regole e i modi prestabiliti di fare le cose. Si sentono pronti ad ideare senza il rischio di essere etichettati come falliti anche dopo aver fallito. Gli ignoranti creativi imparano il linguaggio degli estremi, dello straordinario. Le grandi deviazioni fanno la differenza. Si lasciano alle spalle l’isola del comfort e navigano verso l’isola dove accadono cose straordinarie.

La transizione dallo stato corrente dell’arte ad un nuovo stato esige Ignoranza creativa

L’Ignoranza creativa è quella che si apprende. È autentica, deviante, consapevole, intenzionale, perspicace (coglie la natura interiore o nascosta delle cose o la percepisce intuitivamente), percettiva (capace di vedere ciò che gli altri non possono vedere) e generatrice d›innovazione. In breve, è creativa. L’ignorante creativo sta in disparte, non abita nel castello della conoscenza ricevuta e accettata. Ne viola poteri e pretese. Con il coltello affilato dell’ignoranza creativa taglia gli ormeggi che lo tenevano legato alla tradizione. Rivoluzioni del pensiero scientifico, si pensi a Niccolò Copernico e ad Albert Einstein, si debbono proprio a quelle violazioni. È lunga la fila dei pensatori che nel corso dei secoli si sono ci-mentati con l’ignoranza creativa. Socrate parlava di decisioni creative. Sant’Agostino prima e Niccolò Cusano poi si soffermarono sull’ignoranza appresa, imparata. Johann Gottlieb Fichte a cavallo del Settecento e dell’Ottocento scriveva che il non sapere è un viaggio infinito. Il riformatore dell’istruzione negli Usa, John Dewey dette valore all’ignoranza genuina. Hans Magnus Enzensberger, tra i grandi pensatori del Novecento, sostiene che l’igno- ranza creativa si deve a gesti di rifiuto.

Corsi sull’ignoranza sono stati progettati e svolti dal chirurgo Marlys H. Witte (“Introduction to Medical and Other Ignorance”), dal sociologo Michael Smithson e dal neuroscienziato Stuart J. Firestein. Quest’ultimo, cattedratico del Dipartimento di Scienze Biologiche della Columbia University, sostiene che per superare i limiti del conosciuto è necessaria un’attitudine positiva verso l’ignoto, che, per adottare un detto di Confucio, può essere paragonato “a trovare un gatto nero in una stanza oscura, specialmente se non c’è un gatto”. Da qui la sua idea di un intero corso denominato “Ignoranza”. Così si è espresso Firestein: Ho cominciato a percepire che gli studenti devono aver avuto l’impressione che praticamente tutto è noto nel campo delle neuroscienze. Niente è più sbagliato di questo. Insegnando questo corso con diligenza, ho instillato in questi studenti l’idea che la scienza è un accumulo di fatti. Anche questo non è vero. Quando mi siedo con i colleghi davanti a una birra in uno dei nostri incontri, non torniamo sui fatti noti, ma parliamo di quello che vorremmo capire, di ciò che deve essere fatto. Quello sull’ignoranza è un corso di scienze in cui uno scienziato ospite parla per un paio d’ore a un gruppo di studenti di ciò che non conosce. Firestein esorta i suoi studenti a dotarsi della “capacità negativa di abitare nel mistero e nello sconosciuto”.

*Piero Formica è Professore di Economia della conoscenza. È Senior Research Fellow e Thought Leader dell’Innovation Value Institute della Maynooth University in Irlanda. È inoltre Direttore Scientifico della Summer School del Contamination Lab per la sperimentazione di processi di ideazione imprenditoriale e docente del Master “Open Innovation Management” (MOIM) dell’Università di Padova. Nel 2017 ha ricevuto l’Innovation Luminary Award dall’Open Innovation Strategy and Policy Group, sotto l’egida dell’Unione Europea. Tra le sue pubblicazioni, The Role of Creative Ignorance: Profile of Pathfinders and Path Creators. London, UK: Palgrave Macmillan.














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