Manifattura additiva, un paradigm shift che impone di cambiare mentalità. Con HP, Caracol, Prima Additive e Stratasys

di Renzo Zonin ♦︎ Secondo articolo di un ciclo su tre sulla manifattura additiva. La stampa 3D non è ancora una tecnologia universale, ma sta facendo enormi passi avanti. La lentezza dei macchinari? Un ricordo del passato? Materiali disponibili? Si va dalla plastica al metallo, arrivando anche a rame e ottone. Dimensioni limitate delle parti stampate? Oggi si producono interi scafi di barche a vela. Ma sulle competenze… La parola a Daniele Grosso (Prima Additive), Francesco de Stefano (Caracol), Antonio Alliva (3DItaly), Enrico Annacondia (Aita), Fabio Boiocchi (Stratasys)

Il sogno proibito di ogni produttore di stampanti 3D (ma anche di ogni gestore di service per il 3D) è un cliente che arriva avendo già fatto i compiti a casa, che sa già cosa vuole, e che al massimo deve scegliere il modello di stampante in base alla produttività, o il service secondo i pezzi che è in grado di fornirgli. Purtroppo, l’approccio tipico è molto più generico: spesso il cliente si presenta al service con un campione e chiede se si può rifarlo in additive, e con quali costi. Oppure compra una stampante per fare i propri test, e poi iniziano le geremiadi: eh, ma è lenta, eh, ma il materiale costa caro, eh, ma il pezzo esce tutto a righine, e via di questo passo.

Parliamoci chiaro, l’additive manufacturing non è la panacea che risolve tutti i problemi di produzione e non può sostituire universalmente le tecnologie tradizionali, se non in specifici ambiti e per particolari utilizzi. Ambiti e utilizzi che certamente si stanno mano a mano espandendo, grazie alle nuove tecnologie di stampa, al miglioramento delle prestazioni, all’aumento dei materiali di consumo disponibili. Ma, ripetiamo, non è ancora una tecnologia universale; soprattutto, richiede un know-how ancora poco disponibile, un po’ perché la tecnologia è “relativamente” giovane, almeno rispetto alle tradizionali tecnologie a truciolo, e un po’ perché l’evoluzione nel settore è così rapida che tenere il ritmo richiede esperti dedicati full-time, che difficilmente l’utente finale ha in azienda.







Parlando con alcuni dei maggiori produttori di stampanti 3D industriali che operano in Italia, con alcuni service e altri player (associazioni e aziende che hanno già fatto il “grande salto” nell’additive) abbiamo cercato di farci un’idea di quali sono i più importanti punti critici segnalati dai clienti, e di quali siano le contromisure di produttori e operatori. Citiamo, fra gli altri, 3DItaly, Aita, Caracol, HP, Prima Additive, Stratasys.

In generale, possiamo dire che il primo problema segnalato (principalmente da chi vende stampanti od offre servizi di stampa) è la mancanza di conoscenza dell’additive da parte dei potenziali clienti. Questo fa sì che ogni vendita si trasformi di fatto in un lavoro di consulenza, in cui bisogna guidare il cliente nell’analisi del problema, ripartendo dal tavolo da disegno.

Ma non c’è solo il problema delle competenze: i clienti lamentano scarsa velocità delle stampanti, ristretta gamma di materiali di consumo disponibili (adesso meno, ma fino a qualche anno fa con ragione), problemi di ripetibilità e precisione del processo di stampa, necessità di operazioni di post-processing a volte complesse e/o costose.

La scarsa velocità riguarda principalmente i modelli a filamento, perché nelle macchine a letto di polvere e a sinterizzazione di resina la velocità è notevolmente maggiore, a patto di sfruttare le particolarità di questa soluzione tecnica.

I materiali disponibili sono ormai moltissimi, e se è vero che il loro prezzo è ancora piuttosto alto, bisogna ricordare che non c’è, di fatto, scarto. Ripetibilità e precisione del processo di stampa stanno migliorando mano a mano che si affinano le tecnologie costruttive, meccaniche e di controllo, delle stampanti. E con il miglioramento della precisione si stanno ottenendo pezzi in uscita sempre più vicini all’obiettivo, riducendo sempre di più le necessità di post-processing. Insomma, le soluzioni tecnologiche ai vari punti critici sono arrivate e sono disponibili. Se si imposta correttamente il processo di produzione additiva in azienda, tutte queste difficoltà vengono superate prima ancora di installare la prima stampante nel capannone.

La cosa fondamentale, però, è di partire con il piede giusto, facendosi guidare da chi possiede le competenze necessarie, se non le si ha in azienda. E soprattutto, non pensare che sostituendo un tornio con una stampante 3D si possa ottenere il massimo dalla nuova macchina: ripartire dal progetto, ottimizzandolo “pensando additivo”, è il modo migliore per ottenere vantaggi consistenti da questa tecnologia produttiva.

Il brivido della velocità

Gamma di stampanti 3D di Stratasys. Quando si parla di macchine di grandi dimensioni, il vero vantaggio in termini di velocità è dato dal fatto che il loro volume di stampa è sufficientemente grande da permettere di produrre più componenti nello stesso “run” di esecuzione

Fino a che le stampanti 3D sono state usate prevalentemente per creare prototipi, la scarsa velocità non è stata un problema. Ma quando si tratta di passare alla produzione, anche in piccole serie, anche a “lotto uno”, l’aspetto della produttività della macchina diventa critico. Se nelle tecnologie a estrusione ci sono stati nel tempo miglioramenti limitati, ottenuti con estrusori capaci di emettere una maggior quantità di materiale nell’unità di tempo, e con meccaniche capaci di spostare l’estrusore stesso più velocemente, risultati molto migliori si sono avuti con altre tecnologie di stampa, che si sono rivelate ben più adatte alla produzione, in quanto non stampano “a punto” ma “a pagina”, se possiamo fare una analogia con le loro sorelle per la stampa su carta. Parliamo quindi delle macchine “a resina”, che stampano un livello alla volta cristallizzando un sottile strato di resina liquida, illuminandolo tramite uno schermo Lcd usato come otturatore. Questo sistema ha un netto vantaggio sulle vecchie macchine stereolitografiche, che usavano un raggio laser per disegnare ogni singolo livello punto per punto in successione.

E parliamo soprattutto delle macchine “a letto di polvere”, disponibili sia per polimeri che per metalli, in cui il materiale di consumo è una polvere che viene stesa uniformemente sul piano per essere poi sinterizzata da un laser o legata da una sostanza spruzzata a mo’ di inchiostro.

In tutte queste macchine, il vero vantaggio in termini di velocità è dato dal fatto che il loro volume di stampa è sufficientemente grande da permettere di produrre più componenti nello stesso “run” di esecuzione. «Per quanto riguarda i tempi di produzione, spesso non viene considerato che in un ciclo di stampa si possono stampare più pezzi o pezzi diversi in contemporanea non dovendosi occupare della realizzazione delle attrezzature – spiega Fabio Boiocchi, marketing manager Italy di Stratasys – mi riferisco per esempio alla creazione di uno stampo, con tutte le implicazioni del caso in termini di tempi e costi. Su questo aspetto il software che forniamo supporta l’utente nell’ottimizzazione dei cicli di stampa».

Fabio Boiocchi, marketing manager Italy di Stratasys

Parliamo, ovviamente, di oggetti di dimensioni limitate, ma il fatto di poter avere più pezzi in contemporanea consente in moltissime applicazioni di moltiplicare letteralmente la velocità di produzione, e nello stesso tempo di abbassarne i costi. E questo grazie anche ai software di “piazzamento”, che in modo automatico o guidato sono in grado di posizionare i singoli pezzi all’interno del volume di stampa in modo da massimizzare il numero di componenti prodotti in una singola passata.

Ma ci sono anche altri vantaggi “velocistici” spesso non considerati. Per esempio, Gino Rincicotti, direttore marketing Europa di HP divisione Additive, fa osservare che «le macchine a letto di polvere non richiedono i supporti in fase di produzione, quindi la post produzione è estremamente facilitata». La creazione dei supporti è in effetti ancora un tallone d’Achille per molte tecnologie additive, sia perché richiede un attento posizionamento per risolvere i sotto-squadri, sia perché si tratta comunque di parti che andranno rimosse in postproduzione, portando a sprechi di materiale – in particolare con le macchine a resina, che non possono usare un materiale più economico per i supporti rispetto a quello usato per il pezzo.

Disponibilità e costi dei materiali di consumo

Daniele Grosso, marketing manager di Prima Additive

La gamma dei materiali disponibili come filamenti, come resine o come polveri cresce di giorno in giorno, e sono ormai disponibili anche materiali particolari come ottone e rame, che erano complicati da stampare in 3D prima che arrivassero le stampanti a laser verde, meno sensibili all’alta riflettività di questi metalli.

«Sul fronte dei materiali ormai il catalogo è talmente ampio che per ogni campo di applicazione si può trovare il materiale adatto, con caratteristiche tecniche e ingegneristiche di altissimo livello e relative certificazioni, pensiamo per esempio al mondo aerospaziale o aeronautico, o al settore medicale – dice Boiocchi di Stratasys – Sottolineo inoltre che su 3 delle 5 tecnologie proposte da Stratasys è possibile lavorare con licenza Open AM e quindi con materiali di terze parti».

Risolto o quasi il problema della disponibilità dei materiali, rimane in piedi il problema costi. Ma ne siamo sicuri? «Una delle principali obiezioni dei clienti è appunto il costo di consumabili, che al momento è alto – conferma Daniele Grosso, marketing manager Italy di Prima Additive – Però bisogna ricordarsi che se si lavora in sottrattiva partendo da un blocco di un chilo d’alluminio, e poi il pezzo finito magari pesa un etto perché il resto devo scartarlo, alla fine non è che ci sia una grandissima differenza».

Precisione e postprocessing

Nel mondo dell’additive manufacturing, molte problematiche sono collegate fra loro a doppio filo, e spesso bisogna cercare di bilanciare fra loro esigenze conflittuali. Per esempio, per incrementare la risoluzione e la precisione di una stampante a filamento bisogna montare un estrusore di piccolo diametro, ridurre la velocità di spostamento dell’estrusore stesso, e magari dimezzare il passo del piano verticale. Ovviamente, la qualità aumenta ma la velocità crolla. In compenso, è possibile che la maggiore precisione del pezzo riduca la necessità di postprocessamento, facendomi guadagnare un po’ di tempo.

Paolo Calefati, ceo di Prima Additive, ci spiega il funzionamento di Ianus, stampante 3D. Fra i vantaggi di questo modello, l’elevata flessibilità e la semplicità di configurazione.

Nella maggior parte dei casi, tuttavia, eliminare del tutto il postprocessing è al momento impossibile. Le resine, per esempio, sono sensibili alla luce ultravioletta e quindi i pezzi prodotti con esse vanno esposti a una sorgente intensa appena usciti dalla macchina, per evitare che inizino subito a deteriorarsi. Per queste macchine c’è anche un problema di rimozione dei sostegni, che per forza di cose sono creati con la stessa resina che costituisce il pezzo. In altre tecnologie di stampa, è possibile usare materiali diversi, e in altre ancora non servono proprio i sostegni, tanto che in alcuni casi, se le specifiche del pezzo non richiedono superfici perfettamente lisce, è possibile impiegare il componente appena uscito dalla stampante.

Pensare in grande

Francesco De Stefano, ceo e cofondatore di Caracol

Un’altra lamentela comune riguarda le dimensioni piuttosto limitate dei volumi di stampa per la maggior parte delle macchine. Generalmente, parliamo infatti di superfici pari a uno o due fogli A4, e altezze massime di qualche decina di centimetri. Negli ultimi mesi hanno cominciato ad apparire stampanti di dimensioni intermedie, con volumi utili che si avvicinavano al metro cubo. Ma per chi deve produrre pezzi di dimensioni veramente grandi, come può accadere nell’industria aerospaziale, automotive, ferroviaria, nautica, anche queste dimensioni sono troppo ridotte. Da qualche anno, è arrivata la soluzione anche a questo tipo di problema: si tratta fondamentalmente di realizzare un estrusore ad alta capacità e di montarlo su un robot antropomorfo, corredato di un adeguato software. È quello che ha fatto Caracol, azienda brianzola nata come service di stampa che ha poi allargato le sue operazioni alla creazione di macchine da stampa capaci di produrre pezzi in tecnologia additiva lunghi parecchi metri. Parti di yacht, carrozzerie di motrici ferroviarie e intere barche a vela escono dagli estrusori “Heron” di Caracol, capaci di arrivare fino a circa 30 kg/ora di stampato. Con produzioni così specialistiche, le complicazioni sono di un livello superiore.

La Beluga è una barca a vela stampata in un singolo pezzo con le stampanti 3D Caracol di grande formato

«Sicuramente implementare tecnologie additive per la produzione di componenti che vanno dal metro fino ai 15-20 metri non è un processo facile, e a complicare le cose ci sono le barriere all’adozione di queste tecnologie, che diventano ancora più alte vista la complessità delle parti in questione – spiega Francesco De Stefano, ceo e cofondatore di Caracol – Le difficoltà più comuni si incontrano di fronte alla necessità da parte degli utilizzatori finali di avere lo stesso storico d’informazioni tecniche sul comportamento di materiali, tecnologie e parametri a cui sono abituati con tecnologie tradizionali, che spesso usano materiali e macchine consolidate da decenni, e con dati statistici significativi che ne consolidino le prestazioni. Queste invece, sono spesso tecnologie nuove, che seppur studiate e adottate in vari campi, non sempre possono fornire lo stesso livello di storico di dati tecnici, anche solo per un tema appunto di relativa “giovinezza” della tecnologia. Un ulteriore ostacolo è dovuto all’approccio al design dei componenti, spesso ormai consolidato da anni ed ingegnerizzato per tecnologie tradizionali». E infatti una delle obiezioni più importanti che viene fatta in merito è proprio dovuta alla scarsa propensione delle aziende a operare processi di cosiddetto “Design for Additive Manufacturing” che permetta veramente di sfruttare a pieno le potenzialità di queste tecnologie.

L’annoso problema delle competenze

Antonio Alliva, cofounder 3DItaly

Sembra essere una costante: quando chiediamo agli operatori quali sono i maggiori problemi di un settore, puntano tutti il dito sulla mancanza di know-how. Competenze, skill, chiamatele come volete, ma di fatto vuol dire che ci sono poche persone esperte in materia. E la mancanza di esperti impatta, in modo significativo, l’adozione di una tecnologia. L’additive manufacturing nasce più o meno negli anni ‘80, dunque non è proprio recentissima; tuttavia, il suo sviluppo per molto tempo è rimasto sottotraccia e solo con le iniziative dell’Industry 4.0 si è iniziato ad assistere a una serie di progressi consistenti, che hanno allargato notevolmente, negli ultimi 5 o 10 anni, le possibilità di impiego di queste macchine.

«Il muro da abbattere è la conoscenza dei software, e il pensiero diffuso che con una stampante 3D qualsiasi si possa fare tutto – ci ha detto Antonio Alliva, cofondatore di 3DItaly, fra i maggiori service di stampa 3D del nostro Paese – Un uso generalista per qualsiasi applicazione delle stampanti 3D è impossibile, e il nostro obiettivo è quello di far comprendere ai manager che solo una consulenza fatta da professionisti sulla scelta corretta da adottare per la propria necessità produttiva può far implementare un uso corretto delle stampanti 3D senza fare un buco nell’acqua».

Il fatto è che il caso d’uso più frequente negli ultimi anni era quello che potremmo definire del “reverse engineering”: il potenziale cliente arriva al service di stampa (o dal venditore di macchine da stampa) con in mano un campione del suo prodotto, e chiede se si può fare in additive, in che tempi, a quali costi. Ora, questo approccio non è proibito, e anzi in alcuni casi ha senso. Per esempio, quando si tratta di costruire rapidamente un pezzo di ricambio di cui non si hanno i file Cad originali. O, come è successo all’inizio della pandemia, per ricreare migliaia di esemplari di una valvolina per respiratori le cui scorte erano azzerate in tutto il mondo. Ma qui ci fermiamo.

L’approccio migliore dovrebbe essere quello di riprogettare il prodotto finale tenendo conto dall’inizio della produzione in additive, parziale o totale.

Enrico Annacondia – Coordinatore AITA Associazione Italiana Tecnologie Additive

Quando si lavora con l’additive, bisogna ricordarsi che «certi ragionamenti, sia in progettazione sia anche per quanto riguarda la salute dei lavoratori, sono completamente diversi – ci ha detto Enrico Annacondia di Aita, Associazione Italiana Tecnologie Additive – c’è uno slogan che usiamo spesso che è “Think Additive”. Bisogna pensare in maniera diversa, progettare in maniera diversa, con strumenti che lavorano in maniera diversa. Pensiamo a come progettiamo di solito con un Cad. Creiamo un cubo, un volume, poi iniziamo a togliere, ad aggiungere, facciamo i fori, le cave, simulo in un certo senso quello che sarà il lavoro della fresa o del tornio. Nell’additive, invece, sta prendendo sempre più piede la progettazione generativa, che in un certo senso è un processo al contrario: diamo il volume, indichiamo quali saranno i carichi o quali saranno le prestazioni che vogliamo ottenere, e il software comincia a togliere tutto ciò che non serve, fino ad arrivare a strutture quasi biologiche, somigliano a ossa o scheletri». Questo metodo funziona perché con l’additive, la complessità è gratis. E anzi, si potrebbe dire che è controproducente fare forme semplici: quelle si fanno probabilmente con minori costi in tecnologia tradizionale.

A questo punto, i potenziali utilizzatori delle tecnologie additive potrebbero domandarsi come accedere alle competenze necessarie. Ma, fortunatamente, c’è solo l’imbarazzo della scelta: la maggior parte dei fornitori di stampanti, ma anche dei service di stampa, dispongono di consulenti specializzati in grado di accompagnare le aziende nell’impostazione di un piano operativo tagliato su misura per le loro esigenze. Un altro canale interessante è quello dei Centri di Competenza, come (per citarne giusto un paio) il Made di Milano o il Bi-Rex di Bologna. E ancora, non dimentichiamo le fiere di settore, ottime per un primo contatto. Anche qui ne segnaliamo un paio: alla Bi-Mu di Milano, 9-12 ottobre 2024, l’Ucimu e in particolare Aita organizzano “piùAdditive”, una vera e propria “fiera nella fiera” dedicata a tutto il mondo delle tecnologie additive. Il patrocinio di Aita, che raggruppa circa 120 aziende del settore, dovrebbe assicurare la presenza di tutti i principali player del mercato Additive italiano. A brevissimo invece (6-8 marzo) a Bologna si terrà MecSpe, con una sezione dedicata all’additive cui parteciperanno fra gli altri HP e Stratasys.

(Ripubblicazione dell’articolo del 13 febbraio 2023)














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