Le nozze tra Fca e Renault: un’ancora di salvataggio

Linea di assemblaggio in fabbrica Fca

di Marco Scotti ♦︎ Le due nobili dell’automotive sono rimaste indietro dal punto di vista tecnologico (Fca) e sempre più marginali nei mercati più ricchi della terra (Renault). Per questo alla base della fusione tra le due aziende c’è più la volontà di sopravvivere che non un progetto industriale futuribile. Parola di Ferdinand Dudenhöffer (università di Duisburg)

Dici matrimonio tra Fca e Renault – confermato dai diretti interessati e “benedetto” da Macron – e subito ci si immagina un colosso da oltre 16 milioni di veicoli venduti capace di dominare il mercato mondiale dell’automotive. Ma è davvero così? Non esattamente, secondo Ferdinand Dudenhöffer, fondatore e direttore del CarCenterAutomotiveResearch dell’Università di Duisburg. «Il rapporto tra Renault e il suo partner NissanMitsubishi – spiega a Industria Italiana – si è visibilmente raffreddato dopo la caduta del manager Carlos Ghosn. Quest’, infatti, voleva accelerare una fusione totale in modo da creare un colosso forte sia in Europa che in Asia». In realtà questo non è successo e l’accoppiata giapponese ha rapidamente preso il sopravvento su Renault. A dirlo i dati del 2018: l’alleanza nippo-francese è stata il terzo produttore mondiale nell’automotive con 10,75 milioni di veicoli venduti, di cui però solo il 36% direttamente riconducibili a Renault e il restante 64% a Nissan-Mitsubishi.







Thierry Bolloré, Ceo del Gruppo Renault

Se, quindi, Fca dovesse fondersi con Renault (e con gli altri marchi del gruppo, ovvero Dacia, Samsung e Lada), non si creerebbero grandi sinergie ma, anzi, si darebbe vita a un gigante dai piedi d’argilla, forte in Europa e Usa ma molto debole in Asia, il primo mercato mondiale. Renault, infatti, non è praticamente presente negli Usa e nel mercato nordamericano, mentre Fca realizza oltre il 90% dei suoi profitti nel Nafta e oltre la metà delle auto nuove sono state vendute nel Nord America. Renault, poi, vende direttamente in Asia solo 330.000 veicoli. «La Renault – prosegue Dudenhöffer – vende il 50% dei suoi veicoli in Europa e poco meno del 20% in Eurasia, cioè Russia, Turchia, Romania, Ucraina e altri mercati più piccoli. Poi ci sono ancora il Sud America, il Nord Africa, il Medio Oriente, l’India, mentre non è presente nei principali mercati come il Nord America e la Cina».

D’altro canto, anche Fca ha problemi non trascurabili: «Fiat-Chrysler – prosegue il direttore del Car – è debole in Europa, con una gamma di modelli obsoleti e senza auto elettriche in cantiere. La Fiat sta vivendo più o meno sulle spalle della vecchia Fiat 500. L’ex numero uno Sergio Marchionne ha ridotto gli investimenti in Europa, mentre ottimizzava le fabbriche americane. L’Europa è un’appendice costosa e la Cina è in perdita con un basso numero di vendite. Con innovazioni di prodotto gestibili, i profitti statunitensi sono generati dai marchi statunitensi Jeep, Ram, Dodge con Suv e pick-up. Ma sono tutti veicoli con “vecchia tecnologia”, quindi poco innovativi. Fca ha quindi un rischio considerevole nel portafoglio prodotti. Con 4,8 milioni di vendite è difficile entrare nell’era delle auto elettriche e, inoltre, guidare la transizione verso la guida autonoma».

Jeep Wrangler

Appare evidente dunque come l’alleanza tra Fca e Renault potrebbe funzionare esclusivamente se sullo sfondo rimanessero comunque i giapponesi, che consentirebbero alle due nobili europee di entrare in forza nel mercato asiatico e di programmare nuove tecnologie per la guida. Lo scorso anno, inoltre sia Fca che Renault hanno ottenuto risultati finanziari tutto sommato positivi, ma che cosa succederebbe se venissero abbassati i livelli di Co2 consentiti nell’Unione Europea? Recentemente Fca ha acquistato i “certificati verdi” da Tesla per abbassare la propria quota di emissione, ma per quanto ancora si potrà continuare senza una strategia sull’elettrico (o sull’idrogeno) degna di questo nome? Ferrari sta lanciando una vettura ibrida, ma gli altri brand del gruppo non sono ancora stati in grado di rinnovarsi.

John Elkann, presidente di Fiat Chrysler Automobiles

«Altro problema di Renault e Fca – prosegue Dudenhöffer – è la marginalità per ogni autovettura. Lo scorso anno, compreso il settore dei servizi finanziari, Renault aveva profitti per 930 euro per macchina ante-imposte; Fca era a 848 mentre Opel a 1.647 e il gruppo Volkswagen a 1.277». Da qui l’idea – per ora smentita in maniera categorica – che la partnership Fca-Renault con la creazione di una nuova azienda di diritto olandese potesse causare tagli di personale e riduzione del numero di stabilimenti per migliorare la produttività e incrementare le economie di scala. Un’ipotesi che rimane comunque tra le più accreditate da parte degli analisti nonostante le smentite di prammatica. Il rischio è che questa partnership si trasformi nell’ennesimo accordo sbilanciato con i cugini d’Oltralpe, ovviamente a favore di questi ultimi.

Volkswagen

In conclusione, dunque, la fusione tra Fca e Renault potrebbe essere plausibile e perfino sensata, ma è l’inizio di una nuova e definitiva ondata di m&a che dovrebbe ridurre ulteriormente il numero di player dell’automotive, complice l’introduzione di nuove forme di alimentazione e la possibilità che i veicoli “as a service” divengano sempre più preponderanti. «Secondo quanto ci risulta – conclude Dudenhöffer – l’accordo tra Fca e Renault avrebbe senso prima di tutto per la famiglia Agnelli, che potrebbe vendere o ricevere in cambio un interessante pacchetto azionario, magari quello di Nissan oggi in pancia a Renault. La fusione non sarà un percorso facile, ma il modello Psa-Opel potrebbe essere quello giusto: non c’è bisogno, ad esempio, di due centri di sviluppo a Parigi e Torino quando la quota di mercato in Europa d Fca è scesa al 4,6%. Inoltre sullo sfondo si agitano sempre nuove incognite: un presidente imprevedibile negli Usa, l’elettromobilità, guida semi-autonoma: Renault e Fca potrebbero posizionarsi meglio se si “nascondessero” proprio come ha fatto Opel con Psa. I produttori più piccoli in Europa, come Ford, sarebbero di nuovo sottoposti a forte pressione in attesa di nuove operazioni e joint venture. Cooperazioni e fusioni sono sempre più all’ordine del giorno, così come le attività congiunte e le joint venture sono già state mostrate da Bmw e Daimler con i Mobility Services. Jaguar Landrover è in una posizione difficile, i nuovi produttori cinesi come Geely e Great Wall si stanno rafforzando e stanno iniziando a emergere».














Articolo precedenteQuantum computing? Le aziende lo aspettano con impazienza
Articolo successivoSiemens: digitalizzazione e automazione per essere, oggi, le aziende del domani






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui