Kpmg: un new deal con banche e istituzioni per salvare le imprese dal crash

di Marco Scotti ♦︎ Nonostante le misure messe in campo dal governo prevedano una leva fino al 30% del pil, si rischia che i soldi del Dl Liquidità finiscano alle aziende più virtuose che non ne avrebbero bisogno. La ricetta? Trovare un accordo con gli istituti di credito per prorogare le scadenze. E avviare strategie di covenant reset, rescheduling o restructuring delle proprie posizioni debitorie. Ne abbiamo parlato con il partner della società di consulenza Federico Bonanni

«Di nuova finanza per le aziende in bonis ce n’è poca, figurarsi per quelle che hanno qualche difficoltà pregressa in più. Il crollo del pil nel 2020 sarà di proporzioni significative e la speranza è che il 2021 possa invertire parzialmente il trend. Al momento le misure messe in campo rischiano di andare a beneficio solo delle aziende che ne avrebbero meno bisogno. Certo, qualcosa di buono c’è, ma la risposta dell’esecutivo non è parsa sufficiente». Federico Bonanni, partner Kpmg e Head of Restructuring, non lascia molto spazio alle speranze di chi, in questo momento, sta affollando gli sportelli bancari alla ricerca di iniezioni di liquidità per le imprese, fiaccate dalla più grave crisi economica dai tempi della Grande Depressione. I dati sul pil, ad esempio, sono stati costantemente rivisti al ribasso: l’ultimo, in ordine di tempo, è quello dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che certifica una contrazione della ricchezza prodotta nel primo semestre del 15%. Una proiezione che trova sponda nel Def che sta prendendo corpo e in cui ci si attende un crollo del 10% a fine anno, con un indebitamento che salirà fino al 160% del pil. Numeri che non si erano mai visti e che fanno tremare le vene all’Europa e agli investitori. Soltanto il 26 marzo – una vita fa se si pensa a tutto quello che è successo nel frattempo – Standard & Poor’s prevedeva una contrazione del 2,6% per il 2020 italiano. Testimonianza di come per la prima volta in 100 anni l’avvento di una pandemia abbia travolto qualsiasi certezza.

Una situazione che Kpmg ha cercato di raccontare in un recente paper dal titolo “Covid-19: come garantire sicurezza e continuità al business delle aziende industriali”. Perché il primo problema non medico è proprio quello di non ritrovarsi con un deserto di imprese quando si allenterà il lockdown. Se il Cerved prevedeva una fallibilità intorno al 10% del totale delle aziende, oggi questa cifra deve essere necessariamente rivista al rialzo, soprattutto in alcune filiere chiave del nostro tessuto economico come turismo, ristorazione e moda. E questo sia per quanto concerne la produzione interna, con un calo significativo della domanda, sia per quanto riguarda l’export. Lo stop della Cina – che pure ora sembra poter ripartire – è costata la paralisi ad alcune imprese manifatturiere che non avessero beneficiato di partner europei e che hanno registrato una carenza di alcuni componenti base. L’automotive italiano è crollato di oltre l’85% a marzo, il 96% dei Paesi impone limitazioni al turismo. Nei trasporti il livello dei passeggeri cinesi è calato del 90% mentre le vendite di auto a febbraio hanno fatto registrare un crollo dell’80%. Negli Usa le richieste di disoccupazione sono salite del 33% su base settimanale nel mese di marzo, ed i ristoranti hanno registrato perdite del 90% dei ricavi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Sono 22 milioni, attualmente, le persone rimaste senza lavoro in Usa. Negli Stati Uniti, inoltre, sono sotto pressione le fasce più deboli della società, quelle con lavori precari e bassi stipendi, che in molti casi non possono fronteggiare spese impreviste. Insomma, uno scenario catastrofico da qualunque parte lo si guardi.







Su questo scenario si è innestato il tentativo di una risposta italiana ed europea istituzionale, con l’annosa vicenda degli eurobond che ha preso il sopravvento sulla necessità di trovare rapidamente liquidità da consegnare alle aziende, con garanzia statale e senza più dover ricorrere al beneplacito delle banche. Il Dl liquidità, per il momento, nonostante il volume di fuoco promesso (una leva di garanzie fino al 30% del pil nostrano), sembra riscontrare alcune difficoltà e le aziende faticano più del previsto – e del dovuto – per ottenere sostegno. Prova ne sia la recente denuncia del sindacato dei bancari in cui si ammonisce come alcuni istituti di credito stiano mettendo in atto pratiche scorrette – come la richiesta di copertura dei fidi con le cifre erogate invece che come impieghi per l’economia reale – e di come questo meccanismo rischi di fiaccare le aziende già provate dalla crisi. «Da quello che vediamo – prosegue Bonanni – anche le aziende in bonis stanno facendo fatica, ovviamente alcune di più a seconda del settore. C’è chi non ha più incassato nulla fin dal primo giorno. A queste aziende ancora sane vanno affiancate quelle che arrivano zoppicanti, senza plafond di cassa, senza capienza di linee disponibile, che hanno meno forza per far fronte al blocco della produzione. Quindi ci troviamo in questo caso di fronte a due urgenze: stabilizzare l’azienda nel breve e supportarla nel traguardare questo periodo, indipendentemente dalla durata; supportare la ripresa e il rilancio che avverrà nel più breve tempo possibile».

 

Le azioni che si possono mettere in campo

Federico Bonanni, partner, Kpmg e Head of Restructuring

Il mantra delle aziende in questo momento è ridurre al massimo il cash out. Tutti infatti stanno elaborando budget di tesoreria con un outlook a tre mesi dove il concetto fondamentale è ‘pagare lo stretto necessario’: i fornitori per la continuità di base. Per il resto, bisogna utilizzare tutti gli ammortizzatori sociali e attivare le altre misure come lo spostamento degli impegni fiscali e la sospensione dei contratti. «Questo – chiosa Bonanni – lo stanno più o meno facendo tutti, ma non è sufficiente. È necessario mettere in campo una gestione delle linee di breve termine, chiedendo supporto agli istituti finanziari con nuovi strumenti. Gran parte delle aziende si trova ad affrontare masse di insoluti importanti: occorre trovare un accordo con le banche sulla proroga delle scadenze o, laddove necessario, anche sulla disponibilità a trasformare le linee, ad esempio da anticipo fatture ad anticipo ordini o linee per cassa. Ma è un tema che ha un’urgenza micidiale e che va affrontato nel più breve tempo possibile».

 

La finanza d’urgenza

Il reperimento di una finanza d’urgenza che garantisca alle imprese di superare la fase più violenta della crisi economica rimane il tema portante del dibattito politico. Ci sono voluti quasi 30 giorni per liquidare i famosi 600 euro a chi ne avesse diritto, ora la liquidità alle imprese rischia di avere un iter ancora più complesso. Ma il tempo stringe ed è per questo che il governo sembra intenzionato a partire con la Fase due dal 4 maggio: perché altrimenti si rischia l’implosione del tessuto economico. Anche perché il 40% delle aziende ha un qualche tipo di incaglio o esposizione e ha quindi consumato tutti gli strumenti ordinari a sua disposizione. «Di nuova finanza – aggiunge Bonanni – ce n’è davvero poca e soprattutto c’è un percorso a ostacoli che è già complicato per chi è in bonis, figuriamoci per le altre imprese. La tempistica di esecuzione, poi, non è compatibile con il fabbisogno enorme che c’è oggi: perché si rischia di vedere questi soldi dopo mesi, mentre l’emergenza è immediata. Ma rimane un momento magmatico, con grandi incertezze che rendono complicato capire quello che succederà e quali saranno le azioni più giuste da mettere in campo. Al momento non assistiamo a nessun tipo di effetto operativo delle misure disposte dal governo, al di là di una disponibilità economica significativa che è stata annunciata. Sarà importante chiarire il prima possibile il criterio di allocazione perché attualmente non c’è chiarezza e non vorrei che questi soldi finiscano alle aziende che ne hanno poco o nessun bisogno».

 

La fase due

Superata la fase di stabilizzazione e di contenimento dell’epidemia, diventa quanto mai di attualità cercare di capire come ripartire. Partendo dai numeri. Quando profonda sarà la diminuzione della ricchezza? Quante imprese avranno chiuso? Come saranno i consumi? Per quanto tempo si dovranno tenere le distanze? «In questa seconda fase – aggiunge Bonanni – sarà fondamentale lavorare sul working capital, rimodellare i modelli operativi e minimizzare i fabbisogni della ripresa. Questa fase potrebbe essere vista da molte imprese come una opportunità di rimettere in discussione la propria struttura finanziaria attraverso nuovi piani industriali e operazioni di covenant reset, rescheduling o restructuring delle proprie posizioni debitorie. Non va dimenticato che si stanno facendo delle stime di ripresa che comunque partiranno da percentuali ampiamente negative, il gradiente di calo sarà ampio e ci attendiamo una ripresa lenta, con un profondo calo nel 2020 e la speranza che nel 2021 si possa invertire, seppur parzialmente, questa tendenza».

Gli impatti più gravi del Covid-19 saranno sui Paesi ad alto. Fonte Kpmg indebitamento privato

 

I provvedimenti positivi vanno estesi a tutti

Tutto da buttare, dunque, quanto messo in campo dal governo? Non esattamente, perché secondo Bonanni alcune cose buone ci sono. «Mi sembrano valide – conclude – le misure relative alla sospensione degli obblighi di ripatrimonializzazione e la non postergazione dei finanziamenti soci. Anche le modifiche riguardanti i bilanci e le disposizioni in termini di allungamento delle scadenze delle operazioni concorsuali funzionano. Per quanto riguarda l’erogazione della nuova finanza quello che manca è la chiarezza sul processo da seguire, un processo che deve essere molto rapido, chiaro e soprattutto esteso alle aziende deteriorate che oggi sono escluse. Se queste imprese dovessero essere tagliate fuori sarebbe un vero disastro, perché sono tantissime».

 

Una nuova era della managerialità

«I ceo – si legge nella survey di Kpmg – devono essere consapevoli che questa crisi rappresenta un radicale cambiamento di scenario. Si profila un’epoca di ‘distanziamento sociale’ che avrà ripercussioni profonde negli stili di vita delle persone e nella struttura sociale ed economica. Le persone e le aziende da una parte chiederanno sempre più sicurezza, dall’altra vivranno in una dimensione di rischio permanente e invisibile, per certi aspetti fuori controllo».

Gli impatti più gravi del Covid-19 saranno sui Paesi ad alto indebitamento privato e con maggiore invecchiamento della popolazione. Fonte Kpmg

D’altronde, è probabile immaginare una prima fase ‘post emergenza’ che vedrà un rallentamento della globalizzazione. Le supply chain globali, capaci di servire i clienti in tutto il mondo, rischiano infatti di esporre le aziende multinazionali a nuove tipologie di rischio sistemico. Si aprono scenari di re-shoring produttivo e di riconfigurazione delle catene di fornitura, con impatti significativi per molte aziende italiane produttrici di beni intermedi. Servono nuove competenze e nuove capacità di intelligence strategica per anticipare questi fenomeni e per rimanere competitivi. In particolare, assumerà una nuova valenza la gestione del rischio, che non potrà più essere visto solo in ottica di compliance regolamentare. Nella ‘società del rischio’ questa funzione assumerà una dimensione sempre più strategica con impatti rilevanti sui business model delle imprese di ogni dimensione. Questo implicherà l’adozione di strumenti innovativi di foresight, di scenario planning, tecnologie D&A in grado di fornire elementi di tipo predittivo. Il rischio dovrà essere preso in considerazione come un fattore strutturale dei business model e non più come una variabile episodica, con il ricorso a competenze innovative e nuove prassi manageriali nei processi di decision making.














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