Sulla differenza tra Intelligenza Artificiale e umana. E sul futuro che ne seguirà…

di Piero Formica* ♦︎ L'IA? Secondo Noam Chomsky è motivo di preoccupazione e ottimismo. Il timore è che venga incorporata nella tecnologia una concezione errata del linguaggio e della conoscenza. I dati ci mostrano un nuovo modo di comprendere il mondo, ma gli algoritmi ragionano su base statistica: non comprendono. E non ci avvicinano alla perfezione, perché come sosteneva Richard Feynman, «non è sempre una buona idea essere troppo precisi»

Sarà la mente creativa e la mano ferma del Sapiens a manovrare il filo della tecnologia oppure l’evoluzione della specie non dipenderà dall’intelligenza umana bensì verrà eterodiretta dall’intelligenza artificiale? In questa seconda circostanza, una superintelligenza artificiale prevarrebbe sulle facoltà intellettive degli umani seppur potenziati dalla tecnologia. Questa rappresentazione più che dirsi vera o falsa non significa nulla, apparendo priva di realtà una volta che si consideri la coscienza. Organismi coscienti sono gli umani e anche animali come i polpi (che sembrano esprimere emozioni cambiando colore) e le api (che socializzano con altre api), non i robot che restano incoscienti per quanto dotati del software le cui funzioni si evolvono in modo da elaborare programmi di crescente complessità. La coscienza fa di noi dei soggetti pensanti, consapevoli del mondo esterno con cui ci rapportiamo, intenzionati a comprendere il significato dell’intelligenza artificiale e impedire che essa ci schiacci. È la consapevolezza del significato delle parole e degli eventi a rendere unica l’intelligenza umana. Non si può prescindere da questa caratteristica saliente dell’essere umano allorché si progetta l’avvenire dell’umanità ricorrendo a scelte tecnologiche vieppiù ambiziose.

Tra l’ottimismo e la preoccupazione per i progressi dell’intelligenza artificiale

Jorge Luis Borges ha affermato che vivere in un’epoca di grande pericolo e promesse significa sperimentare sia la tragedia che la commedia, con l’imminenza di una rivelazione nella comprensione di noi stessi e del mondo. Il filosofo e linguista Noam Chomsky avverte che «i nostri progressi apparentemente rivoluzionari nel campo dell’intelligenza artificiale sono in realtà motivo di preoccupazione e ottimismo. Ottimismo perché l’intelligenza è il modo in cui risolviamo i problemi. Preoccupazione perché temiamo che il ceppo più popolare e alla moda dell’intelligenza artificiale – l’apprendimento automatico – degraderà la nostra scienza e la nostra etica incorporando nella nostra tecnologia una concezione fondamentalmente errata del linguaggio e della conoscenza».







Gli esseri umani sono naturalmente creativi. Come afferma Chomsky, la mente umana «on cerca di inferire correlazioni brute tra dati ma di creare spiegazioni». Pur disponendo di poche informazioni, la mente umana avvalendosi del senso trova spiegazioni per il processo di generazione di idee creative produttrici di alto valore. Tra le motivazioni, i fallimenti che hanno preceduto il successo, dai quali, mediante il nostro senso, abbiamo tratto lezioni per continuare a provare dopo la caduta e puntare alla buona riuscita a più lungo termine. Non esistono sostituti dell’unica intelligenza accurata che conosciamo, la nostra, che fa congetture e crea idee completamente nuove che tengono sveglio il nostro cervello.

“I dati parlano da soli” (?)

Gary N. Smit sostiene che «prevedere che la parola ‘giù’ seguirà probabilmente la parola ‘cadere’ non richiede alcuna comprensione del significato di entrambe le parole, ma solo un calcolo statistico del fatto che queste parole vanno spesso insieme. Nessuna idea del significato delle parole».

È tale il volume di dati (informazioni espresse sotto forma di numeri) e tanto cresce che viene da dire che parlano da soli. Possiamo immaginarci un domani in cui la mappa della conoscenza sia un vasto spazio digitale occupato dalla divinità Big Data che ci mostra un modo del tutto nuovo di comprendere il mondo, con le macchine pensanti che muovono ed elaborano i dati trovando autonomamente delle correlazioni. Si potrà fare a meno dei modelli interpretativi disegnati dalla mente umana contemplativa. Sarà bandita quella specie di nostra visione che è la teoria. Tuttavia, un simile scenario è stroncato sul nascere riflettendo sulla capacità degli umani di teorizzare, così potendo arrivare a spiegare perché certe cose accadano ed a esporle con scritti (storie) o a viva voce. È l’Homo Narrans che salendo sulla mongolfiera delle narrazioni eleva i dati a una realtà superiore.

I sistemi di intelligenza artificiale agiscono in base ai loro dati di addestramento e agli algoritmi. Gli algoritmi possono autonomamente generare altri algoritmi, ma sempre in coerenza con l’insieme delle istruzioni ricevute per risolvere un dato problema. Secondo modelli statistici, gli algoritmi individuano sequenze probabili di parole, ma non sono in grado di valutare se i loro enunciati sono veri o falsi. Questo è il compito dell’intelligenza umana che è dotata di buon senso, saggezza e ragionamento logico. Scrive l’economista Gary N. Smith: «prevedere che la parola ‘giù’ seguirà probabilmente la parola ‘cadere’ non richiede alcuna comprensione del significato di entrambe le parole, ma solo un calcolo statistico del fatto che queste parole vanno spesso insieme. Nessuna idea del significato delle parole».

Raccogliendo dati qua e là, imbottiamo la memoria, ma la comprensione resta circoscritta. Non voliamo in cielo

Il metodo scientifico baconiano richiede di raggiungere la sacra riva della realtà stando sulla barca stabile dei dati. Ma, andando alla ricerca di dati, la barca è costantemente costretta a rallentare e a cambiare direzione. Il filosofo della scienza Otto Neurath argomentava che, forzati ad accettare la conoscenza esistente, «siamo come marinai costretti a ricostruire la loro nave in mare aperto, senza mai poterla smontare all’asciutto di una darsena o ricostruirla con i migliori materiali possibili». Navigando in acque molto agitate dal forte vento dell’innovazione, i dati ci servono per riparare il nostro bastimento seguendo le pratiche note. I dati riflettono la realtà, ci permettono di padroneggiarla meglio. Non servono, però, per ricostruire la nave in modo totalmente diverso allorché la forza travolgente del maestrale alza un’onda che la trascina in un mare ignoto. Per riprogettarla di sana pianta, i migliori materiali possibili, per quanto non ancora completamenti formati, sono nelle menti di chi si adopera affinché l’improbabile sia possibile. Ricercare con i dati la perfezione è ciò di cui diffidava il Premio Nobel per la fisica Richard Feynman. Ne “L’incertezza della scienza”, una delle sue conferenze tenute nel 1963 (John Danz Lecture Series), il padre delle nanotecnologie rimarcò che «non è sempre una buona idea essere troppo precisi». Altrimenti si arriva a una mappa grande come la cosa che si vuole mappare: perfettamente precisa e perfettamente inutile.

L’intelligenza umana detiene contemporaneamente idee opposte, mantenendo la capacità di funzionare

Noam Chomsky avverte che «i nostri progressi apparentemente rivoluzionari nel campo dell’intelligenza artificiale sono in realtà motivo di preoccupazione e ottimismo.

Le idee contradditorie sono due facce della stessa verità, a dispetto dell’improbabile, dell’implausibile e dell’impossibile. Gli umani di larghe vedute riuscendo a cogliere istintivamente tutti i lati contrastanti del problema arrivano al cambiamento inaspettato. Quest’obiettivo è alla portata di gruppi i cui componenti si fidano l’uno dell’altro, operano in concerto e seguono comportamenti altruistici.

Far cadere nell’oblio gli studi umanistici ed elevare al rango di consapevolezza l’intelligenza artificiale sono comportamenti di pura irrazionalità, destinati a combinare pasticci. Il pensiero umanista porta all’aver cura che gli esseri umani non precipitino nel baratro del non-umano e medita su come arricchire di valori umanistici la tecnologia. È questo il fine delle scienze umane e sociali impegnate nella comprensione dei nostri comportamenti. Chiedersi se valga la pena frequentare le discipline umanistiche vuol dire coltivare dubbi sul pensiero meditativo da cui deriva una visione del mondo non limitata alla materia. Invece, conviene essere affezionati a molte cose e idee soggette a venti contraddittori e mutevoli. È sulla mongolfiera delle narrazioni che il viaggio verso il futuro si svolge con disavventure, incontri casuali e incidenti felici. Coinvolge i protagonisti—gli scienziati e gli umanisti che cercano con tanto vigore la verità—e coloro che incontrano lungo il cammino, gli osservatori della loro ricerca. Il comportamento è influenzato da ciò che si vede, da ciò che si impara conversando con questi appassionati cercatori della verità. La riva della realtà ha, quindi, una forma narrativa: è la storia che raccontiamo a noi stessi della ricerca della verità.

*Piero Formica è Professore di Economia della conoscenza. È Senior Research Fellow e Thought Leader dell’Innovation Value Institute della Maynooth University in Irlanda. È inoltre Direttore Scientifico della Summer School del Contamination Lab per la sperimentazione di processi di ideazione imprenditoriale e docente del Master “Open Innovation Management” (MOIM) dell’Università di Padova. Nel 2017 ha ricevuto l’Innovation Luminary Award dall’Open Innovation Strategy and Policy Group, sotto l’egida dell’Unione Europea. Tra le sue pubblicazioniThe Role of Creative Ignorance: Profile of Pathfinders and Path Creators. London, UK: Palgrave Macmillan.














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