Dalla cultura alla strategia: le sette tappe del viaggio dell’innovazione

di Piero Formica* ♦︎ Nel ranking degli investimenti, l’Italia è in fondo alla classifica. Tra le cause, un deficit culturale che impedisce la condivisione di idee e risorse. Per superarla, è necessario creare ecosistemi di innovazione aperta. Come? Attraverso sette step: co-opetizione, steam, spazi di lavoro condivisi, sperimentazione, conversazione, cluster industriali, imprenditorialità

27 Novembre 2023, il Financial Times, pubblica una tavola che rispecchia lo stato degli investimenti in diversi paesi. L’Italia è in fondo classifica, spinta in basso da tante cause. Non ultima, un deficit culturale che impedisce o ritarda la navigazione nell’immenso mare della conoscenza, condividendo idee e risorse. L’Open Innovation Strategy and Policy Group dell’Unione Europea ha riunito gruppi industriali, università, governi e privati per sostenere le politiche dell’Innovazione Aperta presso la Commissione europea, abbracciando il paradigma Open Innovation 2.0: cioè, la creazione di ecosistemi di innovazione aperta in cui il processo di serendipità è riconosciuto a pieno titolo.

Dove si nasconde la cultura nel mare delle parole solcato da strategie e strutture, modelli e diagrammi d’Innovazione Aperta? Eppure, la cultura è la protagonista delle forme collaborative che nel tempo sono evolute. Dovrebbe allora far riflettere un commento attribuito a Peter Drucker, il grande pensatore della cultura manageriale che si definiva scrittore di storia: “La cultura mangia la strategia a colazione”; altri hanno poi aggiunto “…e la struttura a pranzo”. Grazie alla cultura, abbiamo l’opportunità di godere dei favori di Atena, la dea che, tra i suoi numerosi attributi, presiede la strategia. Perché perdere questa opportunità? Non è perché fare i conti con la cultura è tanto difficile da non osare avventurarsi? I conti sono difficili perché non osiamo azzardare – direbbe Lucio Anneo Seneca. Partendo da queste premesse, inoltriamoci lungo i sentieri culturali dell’Innovazione. Di seguito, le tappe principali di questo viaggio.







Prima tappa: altruismo

L’innovazione aperta è tale che ‘se io vinco, anche tu vinci’, e viceversa. Il serpente della concorrenza cede il passo all’’8 rovesciato’, segno del gioco infinito della co-opetizione (cooperare e competere insieme). La mano invisibile dell’Adam Smith della Ricchezza delle Nazioni si accompagna con una visibile stretta di mano dello Smith autore della Teoria dei Sentimenti Morali.

27 Novembre 2023, il Financial Times, pubblica una tavola che rispecchia lo stato degli investimenti in diversi paesi. L’Italia è in fondo classifica, spinta in basso da tante cause. Non ultima, un deficit culturale che impedisce o ritarda la navigazione nell’immenso mare della conoscenza, condividendo idee e risorse

Seconda tappa: da stem a steam

Nel perseguire il suo disegno imprenditoriale, Camillo Olivetti, fondatore nel 1908 della Ing. C. Olivetti, era così determinato da mettere sotto accusa la borghesia italiana pericolosamente sbilanciata sul versante della cultura umanistica, proprio quando l’industrializzazione avanzava a passo deciso. Camillo Olivetti così scrive in un suo articolo su “Lo spirito dell’industria meccanica” pubblicato nel 1937 dalla rivista “Tecnica ed Organizzazione”: L’istruzione della nostra borghesia ha un fondamento prettamente anti-industriale. Noi siamo ancora i figli dei latini, che lasciarono ai servi e ai liberti i lavori industriali e che in ben poco conto li ritennero, tanto che ci tramandarono i nomi dei più mediocri proconsoli, e dei poetucoli ed istrioni che dilettarono la decadenza romana, ma non ci ricordarono neppure i nomi di quei sommi ingegneri che costruirono le strade, gli acquedotti e i grandi monumenti dell’Impero Romano. L’imperativo di oggi è correre nel campo Stem vale a dire istruirsi nelle palestre intellettuali di Scienza, Tecnologia, Ingegneria (Engineering, in inglese) e Matematica (con l’aggiunta di Medicina, Stemm). Se non fosse che, come accadde con il vapore che spiazzò la navigazione a vela, l’ascesa dell’Intelligenza Artificiale e della Trasformazione Digitale mettono alle corde quel Saper Fare che nasce a nuova vita solo accoppiandosi con il Saper Pensare, Immaginare e Capire. Uno stare insieme che esige dimestichezza con l’Arte. Lo Stem muta in Steam, dove la ‘A’ è l’Arte che rompe con la tradizione dell’incrementalismo. Gli innovazionisti dal pensiero aperto subentrano agli incrementalisti chiusi nel recinto del far meglio ciò che già si sa fare. Nel corso della sua evoluzione, l’Olivetti si lascerà alle spalle il mondo Stem e farà suo il pensiero Steam con il manifesto politico Comunità promosso dal figlio del fondatore, Adriano Olivetti.

Ascoltiamo Steve Jobs: Nel nostro dna c’è l’idea che la tecnologia da sola non sia sufficiente. Solo quando si sposa alle discipline umanistiche riesce a produrre risultati che fanno vibrare il cuore, da nessuna parte ciò è più vero che nei dispositivi post-PC. Un passo indietro lungo il corso della storia. L’intreccio tra discipline umanistiche, scienze sociali e scienze naturali che contraddistingue l’Università di Maynooth. Quest’università è nello stesso tempo la più giovane e la più anziana istituzione di alta istruzione in Irlanda. Fondata nel 1997, ha le sue radici nel Royal College of St Patrick che risale al 1795. È lì che Padre Nicholas Joseph Callan (1799- 1864), professore di filosofia naturale, dimostrò la trasmissione e la ricezione di energia elettrica senza fili con un dispositivo che oggi è conosciuto come trasformatore elettrico. Il professor Callan è noto per la sua ricerca sula bobina di induzione e per aver realizzato la più grande batteria elettrica del suo tempo. Il lavoro di Callan ha contribuito alla fertilità dell’imprenditorialità innovativa nel corso della rivoluzione industriale. Scoperte, invenzioni e innovazioni sono fioriti in contesti ibridi come il College di St Patrick dove un filo invisibile ha legato insieme teologia, filosofia, arte e scienza. Un lascito che l’Università di Maynooth ha rinnovato arricchendolo di nuovi contenuti.

L’imperativo di oggi è correre nel campo Stem vale a dire istruirsi nelle palestre intellettuali di Scienza, Tecnologia, Ingegneria (Engineering, in inglese) e Matematica (con l’aggiunta di Medicina, Stemm). L’ascesa dell’Intelligenza Artificiale e della Trasformazione Digitale mettono alle corde quel Saper Fare che nasce a nuova vita solo accoppiandosi con il Saper Pensare, Immaginare e Capire. Uno stare insieme che esige dimestichezza con l’Arte. Lo Stem muta in Steam, dove la ‘A’ è l’Arte che rompe con la tradizione dell’incrementalismo. Gli innovazionisti dal pensiero aperto subentrano agli incrementalisti chiusi nel recinto del far meglio ciò che già si sa fare.

Terza tappa: ritorno al futuro – la bottega rinascimentale

Tra le infrastrutture innovative dell’Innovazione Aperta troviamo gli spazi di lavoro condivisi. Questi spazi ci riportano alle botteghe rinascimentali. Tra le più famose c’era quella del fiorentino Andrea del Verrocchio, scultore, pittore e orafo. Tra pittura, scultura, ingegneria meccanica e architettura, gli allievi venivano formati nelle varie professioni artistiche e scientifiche e completavano gli studi dando vita alle loro imprese. La bottega del Verrocchio diede libero sfogo ad una nuova classe di artisti imprenditoriali ed eclettici come Leonardo e del calibro di Botticelli, del Perugino e del Ghirlandaio

La bottega rinascimentale, antenata degli innovativi spazi di collaborazione di oggi, era, dunque, un crogiuolo di cultura aperta in cui i maestri artisti s’impegnavano ad insegnare ai nuovi artisti, si coltivavano talenti, si sviluppavano nuove tecniche e venivano alla luce nuove forme artistiche, con gli artisti in competizione tra loro ma anche pronti a collaborare tra loro. Qui pittori, scultori e altri artisti si incontravano e lavoravano con architetti, matematici, ingegneri, anatomisti e altri scienziati e ricchi mercanti che erano i loro mecenati. Tutti insieme hanno dato forma e vita a comunità aperte del Rinascimento, generando valori estetici ed espressivi, sociali ed economici. Ne è risultata una forma di imprenditorialità che ha concepito modi rivoluzionari di lavorare, di progettare e fornire prodotti e servizi, e anche di vedere il mondo. La bottega rinascimentale ha lezioni da offrire agli ambienti d’Innovazione Aperta del nostro tempo sul come trasformare le idee in azione, favorire il dialogo e facilitare la convergenza tra arte e scienza.

Il paradigma dell’innovazione per l’Open Innovation Strategy and Policy Group. Dalla condivisione e cooperazione si crea la soluzione

Quarta tappa: l’effetto Mozart

Una comunità d’innovazione è tanto più aperta quanto più persegue l’arte musicale. È stato definito “Effetto Mozart” (Campbell, D. The Mozart Effect: Tapping the Power of Music to Heal the Body, Strengthen the Mind, and Unlock the Creative Spirit, HarperCollins, 1997) la maggiore e migliore comprensione dell’orientamento e della distanza delle relazioni che si ottiene ascoltando la musica di quel grande compositore. L’esposizione all’arte musicale sarebbe dunque un’impagabile opportunità per gettare dei ponti tra comunità apparentemente distanti l’una dalle altre. Nel senso di ginnastica mentale, la sperimentazione deve riportare accuratamente tutto ciò che ha reso l’esercizio non valido, non solo ciò che si ritiene sia andato bene. Rubando le parole di Einstein, ci piace pensare che lo sperimentatore dica: “Non è che io sia così intelligente, è solo che mi soffermo più a lungo sui problemi”.

Quinta tappa: l’arte della conversazione

Per crescere bisogna abbracciare il paradigma Open Innovation 2.0: cioè, la creazione di ecosistemi di innovazione aperta in cui il processo di serendipità è riconosciuto a pieno titolo

I promotori dell‘innovazione aperta hanno molto da imparare dall’arte della conversazione che fiorì nei secoli XVII e XVIII, con dibattiti serendipici nei salotti che influenzarono il trasferimento verbale faccia a faccia di conoscenze tacite e non codificate. I filosofi dell’Illuminismo hanno esaltato l’arte della conversazione come cultura dell’immaginazione, dell’esplorazione, della sperimentazione e della creazione, in un equilibrio dinamico tra introspezione e apertura mentale, che tocca le corde più sensibili dell’inventiva umana proiettata su eventi futuri. Nel nuovo teatro dell’economia sottratto agli interdetti dei padri dogmatici, l’Homo Oeconomicus, l’individualista egoista che tende a massimizzare la propria utilità, non è più il protagonista assoluto. Irrompe sulla scena l’Homo Socialis la cui propensione all’altruismo e alla socializzazione spontanea è un valore aggiunto decisivo per il bene comune della società. S’inaugura così l’età di una rinnovata civiltà della conversazione che nel Seicento, come ha scritto mirabilmente Benedetta Craveri nel suo saggio La civiltà della conversazione, ebbe il suo luogo elettivo nell’Hotel de Rambouillet e come anfitrione la sua proprietaria, Madame de Rambouillet. Poi, nel secolo successivo, nei salotti di Madame de Tencin e Madame Geoffrin, dove il primato dell’intelligenza ha cercato di sradicare le differenze sociali. Nello spirito di Rambouillet e degli eventi evolutivi che ne sono seguiti, la conversazione è un mezzo di educazione per il mondo dell’innovazione aperta, un mondo che valorizza l’interazione e la complementarietà e la fusione di energie diverse in uno sforzo comune per sconvolgere le “certezze” insite nello status quo.

Per gli innovatori aperti, l’eredità dell’Illuminismo ha la forza di un colpo di frusta, sollecitandoli ad apprendere le lezioni delle sue rivoluzionarie infrastrutture sociali – i salotti (come abbiamo già visto), i club, le società scientifiche e letterarie, i caffè (il prototipo è il Café Procope fondato nel 1686) – dove argomenti e problemi erano sottoposti ad un processo di mutazione e speciazione di idee, segnato dalla fusione della competizione aperta con la cooperazione e dell’ambizione personale con l’altruismo. Questa simbiosi era resa possibile dalla convinzione che lo scambio di idee ha la sua ragion d’essere in ciò che ogni innovatore aperto pensa del valore di un’idea, piuttosto che nella presunzione che gli interlocutori ne abbiano estremo bisogno. L’istruirsi a vicenda attraverso la conversazione era nelle corde di Franklin. Nel 1727, in giovane età, egli formò un gruppo di discussione, lo Junto Club, che perseguiva gli ideali di conoscenza e libertà che contraddistinguevano i più celebri salotti parigini di quel tempo. L’apprendere conversando coinvolgeva una dozzina di amici che s’incontravano il venerdì sera. Sullo spirito del team e gli obiettivi condivisi di reciproca collaborazione, così scriveva Franklin: Le regole da me stese richiedevano che ogni membro alternativamente proponesse un quesito o due su qualunque argomento di Morale, Politica o Filosofia Naturale, per venire discusso in seno alla compagnia, e ogni tre mesi presentasse e leggesse uno studio suo proprio su un soggetto di sua scelta. I nostri dibattiti dovevano svolgersi sotto la direzione di un Presidente ed essere animati da un sincero desiderio di ricerca della verità senza spirito litigioso o ambizione di vittoria. E perché non ci si scaldasse troppo, ogni espressione troppo assoluta di opinioni o contraddizioni dirette venne dopo qualche tempo messa al bando e punita con piccole multe.

Sesta tappa: andiamo incontro agli sperimentatori

A Bologna, una comunità informale di condivisione della conoscenza molto contribuì alla formazione del cluster industriale delle macchine confezionatrici. Macchina di Ima, il principale produttore di macchine per il packaging in Italia

Come racconta brillantemente Jenny Uglow (The Lunar Men: Five Friends Whose Curiosity Changed the World. Faber and Faber, London, 2002)
, nella seconda metà del XVIII secolo un gruppo informale di sperimentatori, tra cui dilettanti talentuosi, produttori provinciali, tipi pratici non accademici, pochi con formazione universitaria, fondò la Società Lunare di Birmingham, così chiamata perché i loro incontri, che si svolsero tra il 1765 e il 1813, avvenivano di lunedì, all’approssimarsi della luna piena. Provando curiosità per la comprensione del mondo naturale, i membri di quella Società sono stati responsabili di un’ondata di innovazione messa in moto dalla scoperta dell’ossigeno (Joseph Priestley), dalla messa a punto della macchina a vapore (James Watt) e dalla commercializzazione moderna della ceramica (Josiah Wedgwood). I loro successi si sono estesi alla classificazione fossile, alla fabbricazione di telescopi, e alla sperimentazione della corrente elettrica. Gli ‘uomini lunari’ hanno vissuto l’arte nel suo significato più ampio, comprensivo del mondo naturale. Uglow scrive: Al tempo degli ‘uomini lunari’ scienza e arte non erano separate: uno poteva essere, tutto in una volta, inventore e ideatore, sperimentatore e poeta, sognatore e imprenditore, senza che nessuno sgranasse gli occhi…….quando si parlava di ‘arti’ non si intendevano solo le belle arti ma anche le ‘arti meccaniche’, le competenze e le tecniche in agricoltura, ad esempio, o nella stampa.

Osserviamo lo spazio-tempo di tre grandi protagonisti di cambiamenti rivoluzionari: Harrison nello Yorkshire, Arkwright lungo il Debyshire, il Lancashire e il Nottinghamshire, e Watt nell’’East-Central Scotland. John Harrison era un falegname appassionato della meccanica degli orologi di cui si occupava nel tempo libero. Richard Arkwright inizia a lavorare come barbiere e fabbricante di parrucche, ma mostra grande interesse per le macchine di filatura e cardatura atte a trasformare il cotone grezzo in filo. James Watt costruiva di strumenti presso l’Università di Glasgow. Tre personalità dallo spiccato senso pratico, accomunate dalla passione per la scoperta di sentieri nuovi da battere. Il loro agire tracciò una scorciatoia che permise all’innovazione di viaggiare più velocemente da un punto a un altro. Nei quattordici anni tra il 1761 e il 1775, il cronometro marittimo di Harrison (testato con successo nel 1761), il brevetto del primo filatoio automatico di Arkwright (1769) e lo sviluppo della macchina a vapore di Watt (1763-1775) contribuirono a mutare configurazioni e prestazioni di industrie portanti del tempo, e dischiusero le porte a quel fenomeno che si vuole sia stato per primo l’economista francese Adolphe Blanqui, poi seguito dallo storico ed economista inglese Arnold Toynbee , a dare il nome di Rivoluzione Industriale. A Bologna, una comunità informale di condivisione della conoscenza molto contribuì alla formazione del cluster industriale delle macchine confezionatrici. Operai e tecnici si riunivano nei caffè dove, giocando a carte ai tavolini, s’impegnavano con passione in discussioni sui progressi tecnici e sui nuovi modelli di business che potevano essere adottati nelle loro aziende. Quelle interazioni dettero vita a nuove aziende in nuove nicchie di mercato.

Settima e ultima tappa: il possibilista

L’innovazione aperta richiede “Possibilisti“. Nei precedenti interventi, abbiamo avuto modo di rimarcare che il Possibilista si chiede come le cose potrebbero andare diversamente da come sono andate finora. Il Possibilista percepisce il seme dell’idea che emerge attraverso la superficie sporca dell’impossibilità ed auspica un’impresa liberata, con abiti facili da indossare come quelli designati da Coco Chanel. Aggiungiamo l’essere focalizzato sull’osservazione e la curiosità per il cambiamento. Egli indica strade mai battute per l’invenzione, l’innovazione o l’imprenditorialità. Il Possibilista è un fanatico che viene proiettato nel futuro perché pensa di sapere cosa potrebbe essere il domani, mentre il Realista vive nel presente percependo solo ciò che è oggi. Se il Realista è Homo sapiens, quindi capace di pensare intelligentemente al presente, il Possibilista è anche Homo sentiens, data la sua predisposizione emotiva ad apprezzare esperienze soggettive che la proiettano in un futuro imprevedibile, che può essere costruito con la determinazione di agire straordinariamente.

In definitiva, il Possibilista apre panorami che non hanno precedenti, essendo altrove rispetto alla prospettiva che si sviluppa dal tempo presente. Il Possibilista pratica la serendipità, una parola coniata dallo storico, uomo di lettere e Whig politico Horace Walpole, e la ‘sciatteria controllata’, sostenuta dal microbiologo e premio Nobel Salvador Luria. Agendo in una comunità d’Innovazione Aperta, il Possibilista fornisce utili spunti su come trovare cose interessanti, raccogliere benefici inaspettati mentre si ricerca qualcosa di completamente diverso e sviluppare la consapevolezza che il processo di innovazione non può essere pianificato minuziosamente e che elusività e impalpabilità ne sono parte integrante. La cultura per affermarsi prende tempo. La sua grandezza si misura a grandi intervalli. Nonostante l’affermazione di Seneca secondo cui Nec est mirum ex intervallo magna generari (“E non sorprende, inoltre, che la grandezza si sviluppi solo a lunghi intervalli”), il tempo di gestazione di idee altamente trasformative è accorciato dalla qualità della conversazione nello spazio psicologico dell’innovazione aperta.

 

*Piero Formica è Professore di Economia della conoscenza. Senior Research Fellow dell’International Value Institute, Maynooth University, Irlanda. Docente e advisor, Cambridge Learning Gateway, Cambridge, UK. Presso il Contamination Lab dell’Università di Padova e la Business School Esam di Parigi svolge attività di laboratorio per la sperimentazione dei processi di ideazione imprenditoriale. Innovation Value Institute, Maynooth University, Ireland. Contamination Lab, Università di Padova














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