Industria e sviluppo economico: grandi assenti nei programmi politici dei Partiti, con l’eccezione del Terzo Polo

di Filippo Astone e Marco De' Francesco ♦︎ Abbiamo letto i documenti riga per riga: quasi tutti concentrati sulla redistribuzione del capitale e non sulla sua creazione. Si parla solo di diminuzione delle tasse e di concessione di sussidi e aumenti vari, senza dire come finanziarli. Quasi niente sulla formazione Ict e tecnologie, dove ci sono un milione di posti lavoro vacanti. Questione produttiva in primo piano solo nei programmi di Calenda e Renzi

In un Paese che non ha ancora raggiunto i livelli di Pil del 2007, sarebbe normale attendersi Programmi elettorali concentrati sulla crescita dei fatturati e soprattutto della produttività, che è ai minimi di Europa da almeno 20 anni, ed è la causa principale dei bassi salari e della scarsa disponibilità di risorse. Si scopre invece che la lezione di Grillo ha fatto scuola: i documenti sono tutti concentrati sulla redistribuzione del capitale e non sulla sua creazione. Che si tratti della dote per i diciottenni e di un a valanga di assunzioni nella Pa (Pd), della Flat Tax (Fi e Fdi) o del salario minimo o della riduzione dell’orario di lavoro (M5S), il comune denominatore è lo stesso: le risorse sono date per scontate, e i partiti cercano di orientarle verso il proprio orticello di voti.

La parola industria non è quasi mai neppure citata. L’impresa ha invece due accezioni: la Pmi (da intendersi come micro-impresa) per le forze di centro-destra, e la fabbrica strumentale alla transizione green per il centro-sinistra. In entrambi i casi, prevale una visione messianica più che realista, da intendersi come entità creatrice del benessere in un caso e come veicolo per traghettare la società in un mondo verde e pulito nell’altro; e sempre, i programmi consistono per lo più in pallide enunciazioni di intenti. Alcune proposte, poi, mettono quasi tutti d’accordo, come l’abolizione dell’Irap: ma se sono quasi tutti d’accordo, perché questa tassa esiste ancora? I casi sono due: o è matematicamente impossibile abolirla; o non la si è voluta abolire.







Quasi nessuno parla di incremento della produttività (che richiederebbe maggiori investimenti in tecnologie), investimenti nell’Industria (che è il vero traino dell’economia italiana, non il turismo, non il food, non il “bello”) e formazione per i giovani in direzione Ict e automazione, settori che offrono un milione di posti di lavoro ancora non coperti, e che stanno costringendo le aziende a rivolgersi all’estero (prevalentemente Romania) per far venire qui professionalità che non ci sono e di cui hanno disperato bisogno.
Nulla si dice dell’impatto economico e sociale di una transizione energetica imposta dall’alto in tempi così stringenti. Eppure, tanto per fare solo un esempio, la filiera del diesel occupa in Italia quasi 150 mila persone.

Fa onestamente eccezione a tutto ciò il programma del Terzo Polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi, che pone la questione produttiva in primo piano.

Per il resto, l’esame dei Programmi è uno spettacolo piuttosto deludente, di cui Industria Italiana rende conto con l’articolo che state leggendo.

Il pil dell’Italia dagli anni 60 a oggi. Il dato più evidente è che il Bel Paese non è più riuscito a tornare al livello del 2008, quando è stato raggiunto l’apice

Fratelli d’Italia per la flat tax sull’incremento di reddito

Giorgia Meloni (Fonte: Wikipedia)

Stando ai sondaggi, è probabile che il centrodestra vinca le elezioni politiche, soprattutto grazie al contributo del partito di Giorgia Meloni, che sarebbe in testa alle classifiche delle intenzioni di voto. Industria Italiana è perfettamente neutra sul punto. Spiace però constatare che nell’ampio Programma di Fdi non solo non esista un capitolo specifico sull’industria, ma che anche le tematiche economiche generali segnino il passo rispetto ad argomenti-bandiera come il “sostegno alla natalità e alla famiglia”.

Spulciando qua e là, non mancano tuttavia proposte disrupitve con possibile impatto economico. Quella che ha fatto più discutere è volta alla rinegoziazione delle priorità del Pnrr per «destinare maggiori risorse all’approvvigionamento e alla sicurezza energetici, liberare l’Italia e l’Europa dalla dipendenza dal gas russo, e mettere al riparo la popolazione e il tessuto produttivo da razionamenti e aumenti dei prezzi». Ora, il Pnrr non è un totem; ma dalla Commissione europea hanno già fatto sapere che l’ente «non commenta gli sviluppi politici nazionali né specula su questioni ipotetiche». Insomma, la UE non è d’accordo. Oltre a questo, Fratelli d’Italia non spiega come farebbe a conciliare il cambiamento del Pnrr (che richiede tempo, discussioni, ri-approvazioni) con la tabella di marcia imposta da Bruxelles (che non ammette deroghe, pena la perdita dei finanziamenti) e soprattutto con la necessità di far arrivare rapidamente quei soldi sull’economia e sull’industria italiana, che in un momento come questo ne hanno enorme

Le proposte sul fisco sono in linea con l’idea generale del centro-destra di alleggerirne la pressione; ma sono meno radicali di quelle della Lega (che vedremo più avanti). Per il partito della Meloni si tratta di «riformare l’Irpef con progressiva introduzione del quoziente familiare; di estendere la Flat Tax per le partite Iva sino a 100mila euro di fatturato» e soprattutto di «introdurre una Flat Tax sull’incremento di reddito rispetto alle annualità precedenti, con la prospettiva di un ulteriore ampliamento per famiglie e imprese». Quest’ultima idea potrebbe favorire l’emersione di somme che altrimenti sarebbero probabilmente destinate al nero, e potrebbe spingere partite Iva e micro-aziende alla crescita.  Completano il quadro l’innalzamento del limite all’uso del contante, e l’estensione della cedolare secca al 21% anche per l’affitto di immobili commerciali in zone degradate. Il partito peraltro sottolinea la necessità di dire «basta alla miope politica dei bonus, da sostituire con misure stabili e durature».

Il capitolo “sostenere il sistema imprenditoriale italiano” contempla un insieme di vaghi proponimenti, non meglio specificati. Tipo puntare sulla “economia blu” e cioè «sull’eccezionale collocazione geografica dell’Italia, piattaforma naturale nel Mediterraneo», e tipo il classico refrain sulla delocalizzazione, da disincentivare anche sostenendo «la ricollocazione in Italia». E poi, si tratta di  «contrastare con determinazione la concorrenza sleale e le pratiche elusive del trasferimento delle sedi aziendali nei paradisi fiscali europei; potenziare gli strumenti per stimolare e incentivare la canalizzazione del risparmio privato verso il finanziamento dell’economia reale, in particolare nelle Pmi; favorire la partecipazione dei lavoratori agli utili e alla governance d’impresa; agevolare mediante incentivi e detassazioni la continuità d’impresa; favorire il ricambio generazionale dei Consigli d’Amministrazione delle aziende familiari». Di tutto ciò, non è dato sapere in che modo.

Il principale problema dell’Italia è la produttività

Non si parla di aumento di produttività, e non emerge neanche in una sillaba la consapevolezza del fatto che, in un Paese come l’Italia, la crescita economica si può raggiungere solo in due modi: investimenti per la crescita dell’industria e per un maggiore utilizzo delle tecnologie in azienda. Il tutto, formando le persone in settori che vanno dall’Ict all’automazione, settori che varie fonti stimano offrire fino a un milione di posti di lavoro mancanti. Le aziende hanno un disperato bisogno di queste professionalità, e se non le trovano in Italia le faranno venire dall’estero, soprattutto dalla Romania, paese UE (quindi senza complicazioni legate ai visti e ai permessi) dove ci sono molti giovani con queste caratteristiche.

Partito Democratico: cuneo fiscale, assunzioni nella Pa e transizione green

Enrico Letta (Fonte: Wikipedia)

Quasi al termine della campagna elettorale, non è mancato il coup de théâtre, che però è proposto dall’algido segretario Enrico Letta, e non da un qualsiasi e fumantino imbonitore di popolo: un piano di 900 mila assunzioni nella Pubblica Amministrazione. Si guarda al voto meridionale, lì dove la frustrazione rischia di tradursi in una massiccia astensione alle urne: infatti, 300mila posti sono “garantiti” al Sud. Per Letta, si tratta di «coprire il fabbisogno della PA fino al 2030, col rispetto delle clausole Pnrr su giovani e donne». Da dove trarre le risorse per pagarli, non si dice. È curioso notare come l’economista Carlo Cottarelli, alfiere nazionale dell’austerity, corra a Milano per il Partito Democratico.

Le proposte di economia generale puntano, più che sulla crescita, sulla perequazione. Ad esempio, la tassazione dei grandi patrimoni, (oltre i 5 milioni di euro) – che servirebbe ad ottenere una dote di almeno 10mila euro per i diciottenni (che non si dice come spendere) l’aumento degli stipendi netti fino a una mensilità in più, con l’introduzione progressiva di una franchigia da 1.000 euro sui contributi Inps a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati (che non si dice come finanziare); e l’idea di portare in cinque anni gli stipendi dei docenti italiani ai livelli Ue con un impegno per l’erario tra i 6 e gli 8 miliardi, con i soldi del Pnrr (forse sarebbe meglio spenderli in investimenti sull’industria e le tecnologie, che creerebbero la ricchezza necessaria a finanziare tale perequazione? prediche inutili…).

Ancora, si parla di salario minimo contrattuale («secondo il modello tedesco») e si accenna al cuneo fiscale. Il Programma tocca l’industria in alcuni punti. In generale, si parte dai grandi trend che la stanno attraversando: «Lo sviluppo sostenibile e le transizioni, digitale e verde»; ma lo si fa mettendo insieme aspetti sociali e imprenditoriali, circostanza che non aiuta a comprendere che cosa si voglia fare veramente.

Comunque sia, si legge negli allegati al Programma che il Pd intende «sostenere le imprese nella crisi energetica, attraverso il raddoppio e la proroga dei crediti d’imposta per i consumi di energia e gas e l’attivazione delle energy e gas release. E supportarle nella transizione ecologica», prevedendo, ad esempio, «la compensazione strutturale del caro energia; l’estensione a tutto il territorio nazionale del credito d’imposta per gli investimenti in efficienza energetica e l’autoconsumo da fonti rinnovabili» e altro.

Quanto alla transizione digitale, si intende «espandere il modello “Industria 4.0” al 2030, utilizzando a tal fine la leva fiscale per incentivare investimenti innovativi e sostenibili nei diversi settori (ad esempio attraverso il credito d’imposta, aumentando la quota di cofinanziamento e rendendolo cumulabile con altre forme di finanziamento)».

Fra le altre cose, ci si propone di estendere la detrazione Irpef del 50% a tutte le tipologie di startup di under-35 (e non solo alle “innovative”) per le persone fisiche che investono fino a 100 mila euro nel capitale di rischio; potenziare le misure per attirare gli investimenti diretti dall’estero e favorire il “reshoring” delle imprese; e attuare i progetti del Pnrr a sostegno di quest’ultime, a partire dalla riorganizzazione degli strumenti di sostegno dell’imprenditoria femminile, dal rafforzamento delle ZES e ZLS, e dal sostegno dell’internazionalizzazione. Peccato che il sistema delle start-up, finora, in Italia abbia creato poche migliaia di posti di lavoro totale, nemmeno il 5% di quelli dell’industria.

Infine, si vuole creare una Academy della New Space Economy, un’occasione di formazione per sviluppatori e programmatori con un focus sugli aspetti applicativi legati alla nuova economia dello spazio. Puntare su una politica industriale della space economy potrebbe essere un’idea eccellente, visto che è uno dei grandi trend industriali e tecnologici del futuro, e in Italia esiste un’ottima base di imprese e di capitale intellettuale per cavalcarla. Un punto di programma ambizioso avrebbe potuto essere di trasformarla in un pilastro dello sviluppo italiano per i prossimi anni. Ma non ci ha pensato nessuno.

Flat tax e pmi al centro delle proposte della Lega

Matteo Salvini (Fonte: Wikipedia)

Sotto il profilo dell’economia generale, il partito di Matteo Salvini ha rispolverato il cavallo di battaglia della Flat Tax al 15%, già illustrato anni fa e ampliato per le partite Iva ai tempi del governo Conte I (il provvedimento nasce però col Governo di Matteo Renzi). Secondo programma, il piano è articolato in tre fasi. Nella prima, si tratta di estendere fin da subito il tetto massimo da 65mila a 100mila euro, sempre per le partite Iva. Nella seconda, si prevede l’estensione di questo sistema fiscale a imprese e famiglie fino a 70 mila euro, tenendo conto del quoziente famigliare. Nella terza, entro cinque anni, si intende realizzare l’allargamento del modello a tutti. Per la Lega, un fisco chiaro, snello e semplice rilancerebbe l’economia del Paese.

Quanto invece all’industria, per la Lega si tratta di incentivare e supportare le pmi, che costituiscono «la vera e propria struttura portante del sistema produttivo italiano»; e che sono quelle che hanno ricevuto il colpo più duro con il Covid. La soluzione? «Una serie di misure a sostegno della liquidità e del credito, intervenendo sia sugli incentivi per gli investimenti produttivi che sull’occupazione e sul costo del lavoro». Il passaggio è un po’ generico.

Più particolareggiato il capitolo sulla crisi d’impresa. Qui si ricorda che il nuovo “Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza” è entrato in vigore nel 2022: è quello che ha previsto un sistema di allerta che consenta di rilevare tempestivamente la presenza di uno stato di crisi ed intervenire con il nuovo istituto della composizione negoziata. Ma si fanno proposte: rivedere le soglie di fallibilità e pignorabilità dei beni; aumentare quella di 20mila euro per debito scaduto e non versato relativo all’Iva per avviare la citata composizione; e ottimizzare lo strumento della compensazione crediti-debiti con le pubbliche amministrazioni.  Si propongono misure come ulteriori sospensioni dell’invio delle cartelle, nuova rottamazione a saldo e stralcio e altro.

Per la Lega, peraltro, un modo per sostenere la competitività delle imprese è di applicare un’imposta sostitutiva molto bassa, del 5%, ai premi aziendali di retribuzione a seguito del raggiungimento di particolari obiettivi e performance. Le Pmi, secondo il partito di Salvini, vanno poi sostenute nella transizione digitale, per migliorare l’efficienza dei processi, sviluppare l’e-commerce e altro. Le aliquote del credito di imposta introdotte con il piano Transizione 4.0 vanno potenziate; e i progetti di cooperazione europea vanno sburocratizzati, per consentire alle Pmi di parteciparvi. Le attività di ricerca vanno favorite con incentivi fiscali.

Forza Italia rispolvera i cavalli di battaglia per un fisco leggero, ma dice poco sull’industria

Silvio Berlusconi (Fonte: Wiipedia)

Anche nel programma del partito guidato dall’ex premier Silvio Berlusconi non mancano proposte di riforme flamboyant. A cominciare dal pacchetto fiscale, che mette insieme Flat Tax, Cuneo Fiscale e no tax area fino a 13mila euro.

Quanto alla Flat Tax, è anch’essa strutturata in tre fasi. Si distingue da quella della Lega perché nella seconda c’è la «ridefinizione delle aliquote Irpef al 15%, 23% e 33 % con quella al 23% al cui interno confluiranno i redditi tra i 25mila e i 65mila euro»; mentre nella terza, secondo programma, si assiste alla «tassa unica al 23% per famiglie e imprese». Quanto invece al Cuneo Fiscale, si intende sommare all’attuale 0,8% previsto dal decreto Aiuti un ulteriore 1,2% per redditi inferiori a 35mila euro e fino a dicembre; in via strutturale, invece, ci si propone di impegnare 16 miliardi di euro per ridurre il cuneo contributivo, sempre in riferimento a lavoratori con i citati redditi.

Sempre in termini di economia generale, si parla di abolizione dell’Irap, di incremento del limite del contante a 10mila euro e di eliminazione delle tasse di successione e donazione.

Il capitolo sull’industria è parco di particolari, e si sostanzia in una serie di impegni generici. Ad esempio si intende «definire una strategia di politica industriale di medio-lungo periodo per le filiere italiane, avendo come obiettivi la neutralità tecnologica e la sostenibilità industriale»; ma anche «creare uno strumento unico volto a favorire la trasformazione e la riconversione di tutte le imprese che decidono di investire nel nostro Paese»; e riformare sia «i contratti di sviluppo» che «gli accordi di innovazione». Si vuole inoltre «rivedere Industria 4.0» (come?), «destinare alle piccole e medie aziende una cospicua parte dei fondi garantiti dallo Stato attraverso Sace che le grandi imprese non utilizzano», e altro. Infine, per tutelare le imprese italiane «da aggressioni straniere», si intende «Istituire un Fondo sovrano italiano (Fondo dei Fondi) pubblico-privato».

Il M5s punta sul salario minimo e sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario

Giuseppe Conte (Fonte: Wikipedia)

Tra le proposte di economia generale, quella che per il garante del movimento, Beppe Grillo, «è una battaglia di civiltà ed una soglia di dignità»: l’introduzione di un salario minimo di 9 euro all’ora.  Questo per i dipendenti. Per i professionisti e lavoratori autonomi, invece, è prevista «una rete di protezione sociale dedicata e un equo compenso». Si intende peraltro «aggiornare il reddito di cittadinanza, tenendo conto anche dell’esigenza di modificare i parametri per le famiglie numerose e per le persone con disabilità, come pure le condizioni di accesso per i cittadini extracomunitari»; ma certamente non abolirlo, perché, dice il leader del M5S Giuseppe Conte, «così si rischia la guerra civile».  Si vuole inoltre sperimentare una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, soprattutto nei settori a più alta intensità tecnologica: «Le imprese che aderiscono al programma ottengono esoneri, crediti di imposta e incentivi aziendali per l’acquisto di nuove dotazioni tecnologiche e nuovi macchinari». Questo abbasserebbe la produttività, ma evidentemente non è ritenuto un dato di fatto importante.

Altre proposte sono il cashback fiscale (meccanismo che permetta l’immediato accredito su conto corrente delle spese detraibili sostenute con strumenti elettronici); la cancellazione dell’Irap (dove trovare le risorse però non si dice, chissà perchè…); il taglio del cuneo fiscale per imprese e lavoratori; la maxirateazione delle cartelle esattoriali e la stabilizzazione della cessione dei crediti fiscali, «il meccanismo che ha decretato il successo del Superbonus».

Quanto all’industria, secondo il programma «occorre potenziare gli investimenti in Transizione 4.0 dando alle imprese la certezza di fruirne e rendere cedibili i relativi crediti di imposta, con particolare riferimento alla Ricerca e Sviluppo. E servono misure specifiche da introdurre per il reshoring e al fine di attrarre talenti, imprese e capitali dall’estero».  Le imprese innovative vanno maggiormente incentivate con un credito di imposta del 30% a liquidazione trimestrale sul totale delle spese effettuate in ricerca e sviluppo.  

Azione – Italia Viva punta al potenziamento del piano industria 4.0 e strizza l’occhio al nucleare

Matteo Renzi (Fonte: Wikipedia)

È quasi commovente notare che almeno per il Terzo Polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi il tema “produttività e crescita” rappresenta il primo punto in assoluto del programma; rafforza questo sentimento l’assenza di proposte pittoresche, fantasiose e largamente inattuabili – di cui altre forze politiche fanno un uso proditorio e spregiudicato.

Sotto questo profilo, il programma è molto semplice. Anzitutto, niente tasse per i giovani che avviano una attività imprenditoriale: per gli under 35, gli adempimenti fiscali relativi ai primi tre anni vanno posticipati e rateizzati. Si pone subito, poi, il problema delle microimprese, che rappresentano il 95% delle aziende italiane e che però scontano una minore produttività. Bisogna innalzare la soglia dimensionale per l’applicazione di vincoli burocratici in materia di lavoro; occorre potenziare il credito di imposta per i costi di quotazione delle Pmi e rimodulare la defiscalizzazione già prevista per le Zone Economiche Speciali.

Il cavallo di battaglia, ovviamente, è il ripristino e il rafforzamento del Piano Industria 4.0, misura realizzata dal governo Renzi quando Carlo Calenda era ministro dello Sviluppo economico. A giudizio degli estensori del programma, è stata depotenziata dai governi Conte; invece, si tratta di rinvigorirla e consolidarla aggiornando la lista dei beni agevolati ed aumentando il tetto massimo degli investimenti. Questi ultimi possono riguardare anche la Transizione ecologica.

Carlo Calenda (Fonte: Wilipedia)

Per aiutare le imprese a trovare una forza lavoro qualificata occorre potenziare gli Its e coprire i costi che le imprese sostengono per organizzare corsi specialistici.

Quanto, infine, alla questione dell’energia, per arrivare ad emissioni zero nel 2050 occorre aggiungere il nucleare al mix produttivo. Secondo il Programma, infatti, «generare tutta l’elettricità necessaria con le sole rinnovabili richiederebbe impianti eolici e fotovoltaici, sistemi di accumulo di breve e lungo termine, reti e conseguente occupazione di suolo almeno tripla rispetto ad un mix ottimale con rinnovabili e nucleare. Inoltre, i costi del sistema sarebbero del 50% più elevati».

 














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