Intelligenza artificiale ed etica: le chiavi del progresso industriale

di Piero Formica* ♦︎ Per usarle nel senso giusto, l’IA va addestrata affinché gli algoritmi non rispecchino i pregiudizi che danneggiano, discriminandole, persone e imprese. Vizi e virtù dello smart working e l’innovazione in sintonia con la sostenibilità ambientale

Nel campo dell’industria manifatturiera esistono ampi spazi per innovazioni che diversificano l’economia e le conferiscono maggiore complessità con prodotti non banali e non ripetitivi, per la loro esclusività in grado di attrarre l’interesse delle persone. Ancor prima dell’output, ad agire da attrattore è la creatività dei lavoratori della conoscenza che ha il potere di accesso alle opportunità. Talvolta può trattarsi di conoscenza appresa o riciclata che si traduce in prodotti e servizi che rispetto a quelli esistenti sono più semplici e meno costosi. Ciò che più conta è, però, la conoscenza del tutto nuova, originata da opinioni, intuizioni e progressi scientifici, che conduce a svolte radicali anziché a perfezionamenti incrementali. A sollecitare l’investimento è la conoscenza messa al lavoro, anche al lavoro su sé stessa, al fine di ottenere il cambiamento che è un abbandono delle pratiche consuetudinarie. Tra queste, la pratica di lavorare essendo presenti in azienda almeno sette ore al giorno lungo l’intera settimana lavorativa si confronta con innovazioni organizzative, sollecitate dalle tecnologie, che configurano il lavoro da remoto.

Viviamo nell’economia della conoscenza dell’età digitale. Questo è un tempo da affrontare con ottimismo dotandosi di buona salute mentale e fisica, e agendo affinché di altrettanta buona salute possano anche godere le altre specie viventi e la natura. Tanto saranno allora avvertiti i desideri di vitalità che si avvereranno rimuovendo gli ostacoli per affacciarsi alla porta delle opportunità. Essa si apre con le chiavi dell’etica e dell’intelligenza artificiale (IA) nella sua funzione di assistente di ricerca delle condizioni favorevoli al progresso umano in sintonia con la sostenibilità ambientale. Mancando o mal funzionando l’una e l’altra chiave, quella porta resta chiusa e si incontrano ostacoli contro cui si va a sbattere.







Diritti dell’intelligenza artificiale e comportamenti etici aprono la porta delle opportunità……..

Per usare le due chiavi nel senso giusto, l’IA va addestrata affinché gli algoritmi non rispecchino i pregiudizi che danneggiano, discriminandole, persone e imprese. A tal fine, riferisce il Financial Times, negli Stati Uniti la Casa Bianca sta proponendo una legge sui diritti dell’IA che emuli il Bill of Rights americano adottato nel 1791. L’etica, dal canto suo, presenta un interrogativo di tutta grandezza: decidere e quindi comportarsi affidandosi ai dati, oppure basarsi sulla decisione ritenuta giusta? Come mette in evidenza Callum Williams nel suo saggio The Classical School. The Birth of Economics in 20 Enlightened Lives. New York: PublicAffairs, 2020), i fondatori della scienza economica hanno messo a confronto «l’etica utilitaristica e l’etica deontologica. Essenzialmente la divisione riguarda ciò che produce i migliori risultati rispetto a ciò che è intrinsecamente un atto migliore». Dai valori e disvalori dell’IA agli enigmi etici difficili da risolvere, gli economisti sono chiamati ad esprimersi nel momento in cui i rivolgimenti in corso pongono problemi ed obiettivi etici, sociali ed ecologici. Ad oggi, il metro degli economisti è uno strumento che poco e per nulla è assestato e adoperato per misurare, per esempio, i tanti servizi resi dalla natura, e nelle statistiche economiche oltre a questi servizi e appena visibile la penetrazione ormai pervasiva dell’IA e delle tecnologie digitali nella vita quotidiana, a cominciare dal modo di lavorare.

Le nuove tecnologie stanno già offrendo soluzioni per aiutare le imprese a raggiungere i rispettivi obiettivi di sostenibilità: intelligenza artificiale, cloud, IoT e digital twin, per citarne solo alcune, hanno il potenziale di creare maggiore efficienza, di ridurre gli sprechi e il carbon footprint e, soprattutto, di riprogettare non solo i processi ma anche i prodotti, garantendo sostenibilità e innovazione per il futuro

tra ostacoli da superare…

Incontrano ostacoli i prodotti e servizi che richiedono basse competenze ripagate con bassi salari. Alte barriere sono erette dalla bassa produttività e dalle competenze inadeguate alla duplice rivoluzione della conoscenza e delle tecnologie. Il lavoro che muta e va riallocato e l’obsolescenza accelerata dello stock di capitale a seguito della decarbonizzazione comporteranno notevoli sacrifici per le persone e le imprese. Dal versante delle prime, si osserva che esse sono sempre meno agenti attivi e sempre più utenti passivi. Le superstar dei social network le penalizzano per dare priorità agli inserzionisti e, perciò, riducendo molto il controllo dei contenuti che le persone produciamo. Mentre si denunciano le strozzature delle catene d’offerta che limitano la crescita del Pil, si trascura la stragrande quantità di cose che possediamo. Nel mondo del ben-avere, dei “paesi ricchi”, c’è sazietà della domanda dopo un secolo che, per usare le parole dello scrittore italiano Daniele Del Giudice, «ha solidificato le fantasie in oggetti». Né si tiene conto delle lezioni della storia. Scrive Ronald Wright: «I cacciatori paleolitici che impararono a uccidere due mammut invece di uno migliorano la loro abilità nel cacciare. Quelli che impararono a ucciderne 200, facendo cadere un’intera mandria da una scogliera, fecero troppo. Vissero bene per un po’, poi morirono di fame».

Smart working
I numeri dello smart working nel post Covid. Fonte: Polimi

e il lavoro sospeso tra presenza in azienda e attività da remoto

Satya Nadella, Ceo di Microsoft

È un’opportunità in equilibrio su di una corda sospesa il lavorare insieme in presenza e il lavorare da soli da remoto e con altri negli incontri digitali. Innescata dalla tecnologia del vapore, la rivoluzione industriale spinse contadini e artigiani fuori dalle case, dai campi e dalle botteghe. Popolata da una massa di lavoratori e macchine, la fabbrica assurse a nuovo luogo di lavoro. «Tutto ciò che non è macchina a vapore è una fantasticheria» e la specie umana diventa «una specie meccanica, che agirà necessariamente, in ogni circostanza, secondo schemi codificati di comportamento», scriveva ai primi dell’Ottocento l’attivista politico Benjamin Constant. Oggi, il lavoro a distanza che è smart quando riguarda una persona il cui grado di abilità mentale è tale da non essere sottomessa alla tecnologia relega in soffitta il modello della presenza in azienda dalle sette alle otto e più ore al giorno nell’intera settimana lavorativa. Al pari dell’attività produttiva che si decentralizza geograficamente, l’attività lavorativa può essere svolta fuori dall’ufficio tradizionale. Peraltro, è da tempo in atto negli uffici il processo di abbattimento di muri e cubicoli costruiti dalle vecchie gerarchie. Si lavora a pianta aperta e in squadra, ricorrendo a strumenti digitali (e-mail, videoconferenze, lavagne virtuali e canali social) grazie ai quali non è più imprescindibile la presenza in sede. L’innovazione esige innovatori intelligenti e stravaganti. Ciò che conta è chiedersi dove costoro è meglio che stiano.

È in presenza o in distanza che si pensa più ai dispositivi utilizzati e meno alle idee da generare? Satya Nadella, amministratore delegato di Microsoft, ritiene che il lavoro creativo vuole capitale sociale che inserisce la conoscenza individuale in un contesto più ampio. Quel capitale, afferma Nadella, si accumula lavorando in presenza di altri e si esaurisce durante le interazioni virtuali. A produrre scintille creative non sarebbe Zoom, ma il faccia a faccia che con le parole e il linguaggio del corpo dà luogo a tensioni, attriti e disaccordi inimmaginabili sullo schermo. Questi conflitti sono fonti di innovazione. All’opposto, secondo altri il luogo fisico impedisce la spontaneità del dialogo, essendo i partecipanti sottoposti alla regola dell’anzianità che li induce a tendere verso il parere del capo. Diversamente, nelle riunioni a distanza in videoconferenza tutti sono propensi ad esprimersi liberamente. Il lavoro da remoto è un grande esperimento sociale che reca con sé uno sciame di virtù che, però, potrebbero volgersi in vizi. Navigando nell’Oceano Internet, il lavoratore è in grado di raggiungere tanti luoghi. La sperimentazione dirà quanto efficace possano essere i team di lavoro virtuali, digitalmente ben abilitati, che attingono alle conoscenze padroneggiate dai loro membri.

Non è, però, in gioco solo la velocità e la produttività del lavoro. In ballo c’è anche l’innovazione. Nel mondo che sta nascendo è tutta da scoprire la rotta da seguire per innovare. Lo smart working contribuisce a tracciare il percorso verso il Nuovo Mondo. Ciò che fa la differenza non è il lavorare da remoto, ma il farlo in collaborazione con tribù diverse dalla nostra. È indispensabile l’impresa che premi la creatività dei dipendenti e organizzi il lavoro per obiettivi e risultati. Altrettanto lo è la passione e la capacità del lavoratore di proporsi come ideatore che promuove e partecipa a incontri casuali, a conversazioni libere. Non solo grazie a Internet, ma anche incrociando il virtuale con il reale (il faccia a faccia). Il mondo di fronte a noi ci impone di pensare a nuove combinazioni del sapere e delle idee. La locomotiva dell’industria dovrà attrezzarsi per far correre vagoni dove non sono più ammassati tanti lavoratori e tante macchine. La quantità della crescita del Pil non deve più trascurare la qualità del progresso. Il miglior uso che può farsi dello smart working è il coltivare una generazione di ideatori inquieti che vogliono continuare a muoversi, perché «non ho mai sentito di nessuno che inciampi in qualcosa seduto. Il cane che gironzola trova sempre un osso». Questo pensiero di Charles Kettering, rinomato ingegnere automobilistico statunitense, non può che essere apprezzato e tradotto in azione dalle nostre imprese.

Smart working, Covid e new normal. Fonte Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano

 

*Piero Formica è Professore di Economia della conoscenza. Senior Research Fellow dell’International Value Institute, Maynooth University, Irlanda. Docente e advisor, Cambridge Learning Gateway, Cambridge, UK. Presso il Contamination Lab dell’Università di Padova e la Business School Esam di Parigi svolge attività di laboratorio per la sperimentazione dei processi di ideazione imprenditoriale














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