Imprenditori! Siate pronti a Transizione 5.0! Senza gli errori di Industria 4.0. A Sps Italia con Anie Automazione

di Renzo Zonin ♦︎ Sull'Industria 4.0 l'Italia si è adeguata in ritardo, ma la transizione 5.0 è più nelle corde. Tre i pilastri: umanocentrismo, sostenibilità, resilienza. Il ruolo di Anie Automazione per le pmi. Il Position Paper 2 di Sps Italia. Bianchi: reshoring 5.0 per migliorare la resilienza. L'Open Innovation di Arduino. Il caso Morgan Tecnica. Se ne è parlato durante la quarta tappa di avvicinamento verso Sps Parma

Esiste una via italiana all’Industry 5.0? Sembra proprio di sì, almeno a sentire le testimonianze e i panel che si sono succeduti durante l’evento “I nuovi orizzonti dell’industria manifatturiera. Robotica, Automazione e Digitale per costruire un futuro più sostenibile”. Organizzata da Sps Italia nel quadro delle “tappe” di avvicinamento alla fiera Sps di Parma, quella di Torino (ospitata dal centro di competenza Cim4.0) è stata l’ultima data del tour, prima dell’evento parmense, previsto per il 28-30 maggio. Si è parlato di futuro e di 5.0, in modo molto concreto, presentando casi pratici e progetti già avviati e, spesso, completati con successo. Infatti, se le aziende italiane sono arrivate in ritardo all’Industry 4.0, pare proprio che non vogliano ripetere l’errore con la quinta rivoluzione industriale. Anche perché i suoi concetti sono molto più vicini al nostro modo di fare industria.

Ecco quindi che Anie Automazione annuncia la preparazione di documenti e risorse a disposizione dei soci per capire meglio i requisiti e le certificazioni richiesti dal recentissimo Decreto Legge sulla Transizione 5.0, e illustra un caso di studio che unisce ecosostenibilità e umanocentrismo. E lo stesso Sps preannuncia l’arrivo del Position Paper 2, che espande significativamente il documento dello scorso anno, aggiungendo tecnologie e piattaforme che sono cresciute d’importanza negli ultimi 12 mesi, e comprende ora sezioni su formazione, intelligenza artificiale e sulla visione strategica del ruolo delle tecnologie.







Luca Iuliano, presidente del Cim4.0.

Fra i casi di studio presentati, citiamo il reshoring in chiave 5.0 attuato da Bianchi, lo storico produttore di biciclette, e l’approccio Open Source/Open Innovation di Arduino, che ha cominciato a portare il suo hardware e il suo ambiente di sviluppo software al mondo industriale, al quale porta in dote anche circa 600mila giovani formati sulle sue tecnologie nella sola Italia. E ancora, l’innovazione “per necessità” di Morgan Tecnica, che innova per risolvere (o evitare) problemi di reperibilità dei componenti, costi di trasporto e consumi elettrici nelle sue macchine per il taglio dei tessuti, anche qui pienamente in linea con i principi di resilienza e sostenibilità del 5.0. L’azienda, tra parentesi, aveva realizzato già nel 2009 la prima macchina con controllo di manutenzione a distanza, per evitare al suo capotecnico di passare la vita in aereo, facendo la spola fra Malpensa e New Delhi (India) dove i primi esemplari erano stati venduti. Dal punto di vista tecnologico, erano i primi vagiti di Industria 4.0. Ma le finalità erano umanocentriche. Morgan Tecnica era già 5.0, e non lo sapeva. Per vedere tutti gli interventi della giornata, compresi molti altri casi di studio, potete collegarvi alla pagina LinkedIn di Sps Italia, ed entrare nella sezione “Post” a questo link.

Le aziende italiane sono in ritardo sulle tecnologie 4.0.

Dall’Industry 4.0 all’Industry 5.0. Origini e continuità fra le due rivoluzioni industriali

Sappiamo tutti che la rivoluzione di Industry 4.0 è partita dalla Germania, e almeno inizialmente non ha convinto del tutto l’industria italiana. Che infatti è partita in ritardo, arrancando fin da subito per svariati motivi: la mancanza di competenze, il sospetto che si trattasse di una “macchinazione” tedesca per danneggiare i concorrenti stranieri, e non ultimo l’onnipresente motto delle aziende italiane, “qui si è sempre fatto così”, vero macigno sulla strada di qualsiasi cambiamento. Ci sono voluti parecchi mesi, e robusti incentivi governativi, per convincere le aziende del Bel Paese ad abbracciare concetti quali trasformazione digitale e interconnessione IIoT, per non parlare della servitizzazione sulla quale siamo ancora in alto mare.

Donald Wich, ad di Messe Frankfurt Italia.

Le cose, però, potrebbero andare diversamente nel caso della prossima rivoluzione, l’Industry 5.0. Il concetto di Industry 5.0 è un po’ più complesso di quello che sottostava al 4.0, anche se si può ritenere in continuità con esso. Di fatto, la filosofia di Industry 5.0 si basa su tre pilastri: umanocentrismo, ovvero mettere al centro dello sviluppo le esigenze delle persone; sostenibilità, quindi riduzione dei consumi e dell’impatto ambientale; e resilienza, ovvero tutto ciò che consente di adattarsi a situazioni critiche mantenendo l’operatività delle aziende. Secondo molti osservatori, la 5.0 ha avuto i natali in Giappone, dove si sono coniugati gli aspetti tecnologici più avanzati (robotica, intelligenza artificiale eccetera) con elementi delle filosofie orientali che puntano a mettere l’uomo al centro, con robot e macchine che si adeguano al lavoratore; e che tengono in grande conto valori come equilibrio con la natura, sostenibilità e resilienza.

Il Decreto Legge sul 5.0 è stato approvato a marzo, i decreti attuativi sono previsti per l’inizio di maggio.

I pilastri di Industry 5.0? Nascono dalla presa di coscienza avvenuta anzitutto in Europa e Usa

Ma il fatto è che tutti questi elementi, umanocentricità, sostenibilità, resilienza, erano stati fatti propri dagli europei (e in parte dagli americani) già da qualche anno, e consolidati/formalizzati all’incirca nel periodo del Covid. L’umanocentricità ha cominciato a emergere negli Usa già prima del 2020: la bassa natalità stava già creando alle aziende problemi di reclutamento del personale. Da cui la necessità di garantire condizioni migliori di lavoro, adeguando gli ambienti, eliminando compiti noiosi e mansioni pericolose, offrendo percorsi di crescita e riqualificazione, e proponendo un diverso bilanciamento vita/lavoro. Anche l’imminente pensionamento di milioni di lavoratori nati nel periodo del baby boom sarà presto un problema, perché rappresenterà per le aziende la perdita secca di un enorme patrimonio di esperienza, mancando nuove leve e apprendisti cui trasmettere le conoscenze empiriche.

Le problematiche della resilienza invece sono esplose nella loro drammaticità proprio nel periodo del lock-down, quando l’Europa ha scoperto che merci fondamentali (in questo caso per la salute) non erano più prodotte localmente, e che le rotte del commercio estero potevano bloccarsi all’improvviso: per una pandemia, per una nave che si incaglia e blocca il Canale di Suez, o per una siccità prolungata che rallenta l’attività del Canale di Panama. Anche per quanto riguarda la sostenibilità, l’head-up è partito dall’Occidente. E non ci riferiamo ai rally pseudo-ecologisti di “friday for future” o similari. Piuttosto, al fatto che, acclarato un sentimento generale dell’opinione pubblica favorevole alla preservazione del pianeta, i fondi d’investimento hanno visto nel green una straordinaria opportunità di business, e hanno agito di conseguenza, indirizzando in quella direzione investimenti e attività legislativa.

Il piano d’azione di Anie Automazione sul 5.0.

La situazione italiana: il 5.0 delle aziende è più complesso del 5.0 del legislatore?

Sergio Vellante, consigliere Anie Automazione.

In tutto questo, le aziende italiane dov’erano? A quanto sembra, erano impegnate a trasformarsi. Ma prima di tutto a capire le trasformazioni in atto. E possiamo dire che molte aziende sono arrivate a una conclusione: per affrontare la concorrenza sui mercati mondiali post-pandemici, non basta la sola tecnologia. Perché puntando solo su quella, cinesi, americani, tedeschi, giapponesi, taiwanesi e altri sono difficilmente battibili. L’industria italiana è da sempre vincente per alcune peculiarità: creatività, genialità, artigianalità, flessibilità, e via discorrendo. Tutte caratteristiche legate strettamente al “materiale umano” che sta dietro ai prodotti. Così, negli ultimi anni, sono sempre di più le imprese italiane che hanno cominciato a rinnovarsi secondo piani che avremmo potuto definire “forme ibride” di Industry 4.0, in cui le tecnologie digitali venivano usate per alleggerire i compiti degli operai (robotica, cobot), per comprendere il know-how degli operatori esperti e codificarlo (intelligenza artificiale), per ridurre l’impronta ambientale (gestione dell’energia). Queste forme ibride sono state incluse, fra l’altro, in documenti come la “Roadmap per la ricerca e l’innovazione” del Cluster Fabbrica Intelligente (Cfi). E oggi possiamo dire che esse, di fatto, anticipavano la formalizzazione di Industry 5.0.

E la buona notizia è che sì, il governo ha varato il Piano Transizione 5.0 (con 6,3 miliardi di euro di dotazione) solo lo scorso 2 marzo (all’interno del Decreto Legge Pnrr n. 19), ma moltissime aziende sono, di fatto, già partite per il viaggio nel 5.0, magari sfruttando con lungimiranza bandi e fondi relativi al 4.0. La cattiva notizia, invece, è che il legislatore ha considerato, dei tre aspetti del 5.0, solo quello della sostenibilità, per cui gli incentivi sono dedicati fondamentalmente alle attività finalizzate a ridurre l’impatto ambientale tramite l’abbassamento dei consumi energetici.

Un progetto di ecosostenibilità partito dal basso, presentato da Sergio Vellante di Anie Automazione.

La posizione di Anie Automazione, fra le difficoltà del 4.0 e le prospettive del 5.0

Maria Chiara Franceschetti, vicepresidente Anie Automazione.

E proprio un ampio campione di queste aziende “precorritrici” era presente all’evento di Torino. Così, dopo i saluti istituzionali di Donald Wich, ad di Messe Frankfurt Italia, e del padrone di casa professor Luca Iuliano, presidente del Cim4.0, è toccato a Maria Chiara Franceschetti, in veste di vicepresidente di Anie Automazione, introdurre uno dei punti focali, ovvero le transizioni digitale e green nell’ottica della costruzione di un futuro sostenibile. Franceschetti ha mostrato alcuni dati riguardo la   che mostrano ancora un certo ritardo, non tanto sulla raccolta dei dati quanto sul loro utilizzo concreto, in particolare da parte delle pmi. Circa la metà delle piccole aziende infatti non usa i dati raccolti, cosa che nelle grandi aziende succede solo in un terzo dei casi. C’è però da segnalare come proprio nelle piccole aziende si riscontrino i maggiori segnali di interesse per il tema.

«La Commissione Europea ci ha dato uno spunto, perché incoraggia un’attività industriale che vada oltre gli elementi economici – ha detto Franceschetti, parlando del passaggio da Industria 4.0 a 5.0 – e qui parliamo di elementi umanocentrici, sostenibilità, resilienza. E scendendo nel concreto, noi abbiamo un Decreto Legge emesso lo scorso 2 marzo, con gli elementi attuativi attesi per l’inizio di maggio, che in continuità con Industria 4.0 mette a disposizione 6,3 miliardi di euro. Questi fondi non sono solo per i beni materiali e immateriali già coperti dal Piano Transizione 4.0, ma anche per il software di monitoraggio dei consumi energetici». Gli investimenti andranno fatti entro fine dicembre 2025, e dovranno produrre riduzioni dei consumi pari almeno al 5% per il processo o al 3% per la struttura produttiva. Raggiunto il target, si potrà accedere a ulteriori agevolazioni. «Il riconoscimento del contributo è subordinato alla certificazione ex ante emessa da un valutatore indipendente – continua Franceschetti – che è vero che è fonte di costi e di impegno, ma è un elemento che ci porta ad affermare che questi soldi vanno spesi bene. Quindi credo che questo sia un modo non per burocratizzarci, ma per agire in maniera concreta e reale rispetto ai soldi che ci vengono messi a disposizione».

La Bianchi, storico nome del ciclismo, ha realizzato a partire dal 2021 uno stabilimento all’avanguardia a Treviglio, seguendo i dettami di Industry 5.0.

Il ruolo di Anie Automazione nell’assistere le Pmi impegnate nella trasformazione 5.0

In tutto questo, il ruolo di Anie Automazione sarà principalmente quello di mettersi al servizio delle aziende, soprattutto quelle piccole, dando loro gli strumenti (che stanno rendendo disponibili sul sito dell’associazione) per valutare correttamente gli investimenti nella digitalizzazione come possibile apporto nell’area della sostenibilità, e nel contempo permettere di valorizzare i dati che sono già disponibili grazie ai precedenti investimenti in ottica 4.0. Si tratta quindi di creare consapevolezza sui temi della digitalizzazione e della sostenibilità, e sul fatto che questi temi devono essere obbligatoriamente ritenuti percorsi convergenti se si vuole assicurare maggiore competitività e resilienza al nostro tessuto produttivo. Franceschetti ha chiuso citando l’esperienza dell’azienda di famiglia, la Gefran di cui è presidente. Gefran, ha colto l’opportunità da due punti di vista: nei confronti dei clienti, perché aiutandoli a ottimizzare le loro macchine, processi, filiere, li aiuta a ridurre i loro consumi e impatto ambientale; e direttamente sui processi interni delle sue fabbriche, dove digitalizzazione e robotizzazione hanno prodotto evidenti miglioramenti di efficienza e produttività.

Un caso di successo: coniugare umanocentrismo, sostenibilità ed ecologia in un’attività partita dal basso

Sempre da Anie Automazione, e in particolare dal consigliere Sergio Vellante (amministratore delegato in Lenze fino a pochi mesi fa), arriva un case study in tema di “umanocentrismo”. È il caso di un’azienda di Anie che, raggiunto l’impatto zero per il suo stabilimento, ha voluto fare qualcosa di più. Per compensare anche le emissioni di CO2 dei veicoli dei dipendenti, l’azienda ha “adottato” un terreno abbandonato (40mila metri quadri), inizialmente per piantare degli ulivi – forti abbattitori di CO2. Poi però il progetto è cresciuto, su iniziativa partita dal basso in azienda, trasformandosi nella creazione di un parco agricolo paesaggistico. Con l’aiuto di esperti volontari, il lavoro quindi è proseguito, bonificando la zona acquitrinosa, pulendo il bosco, ricostruendo una antica fonte, creando un terreno agricolo e svolgendo altre attività che hanno valorizzato ogni zona del terreno, sempre tenendo presenti le esigenze di Agroecologia, Ecodesign, e Biodiversità. Nel progetto, oltre ai 120 dipendenti dell’azienda, sono stati coinvolti anche artisti e i ragazzi di alcune scuole.

«Parliamo di passione per il lavoro e amore per la natura – ha detto fra l’altro Vellante, riferendosi al caso presentato – Dobbiamo costruire aziende umanocentriche, e questo è un esempio di costruzione di un futuro più sostenibile, motivante e piacevole». Una chiara dimostrazione di come umanocentrismo e sostenibilità ambientale possano andare di pari passo. Ricordando, ha tenuto a precisare Vellante, che «La Terra non ci è stata donata dai nostri avi, ci è stata data in prestito dalle generazioni future».

Position Paper 2, il comitato scientifico di Sps Italia prepara uno strumento per capire la transizione 5.0

Se il Cluster Fabbrica Intelligente ha già inserito mesi fa tematiche 5.0 nella sua roadmap, e Anie Automazione comincia a pubblicare sul suo sito documenti e notiziari utili a comprendere il fenomeno, anche l’Sps non è da meno e, in occasione della fiera a Parma, presenterà la seconda edizione del suo Position Paper, frutto del lavoro del Comitato Scientifico. Rispetto al breve documento dello scorso anno, il Position Paper Seconda Edizione prende la forma di un volumetto che, oltre a espandere i contenuti della prima edizione, si prefigge di aggiungere nuove parti relative a tecnologie e modelli applicativi che in questi mesi si sono molto sviluppate e consolidate, assumendo quindi un’importanza molto maggiore rispetto a un anno fa. Contiene, inoltre, i risultati della survey sull’Intelligenza Artificiale.

Massimo Lenti, vp engineering & Innovation di Gea-

«Nel Position Paper abbiamo parlato dei grandi vantaggi della digitalizzazione, ma anche degli aspetti critici – ha detto Massimo Lenti, vp engineering & Innovation di Gea, presentando il lavoro del Comitato Scientifico – inoltre, abbiamo anche cercato di dare una visione strategica, a medio/lungo termine, perché ci siamo accorti che spesso questi temi vengono trattati solo da un punto di vista più tattico, sul breve termine. È importante perché spesso la digitalizzazione viene a volte vista come un fattore isolato, mentre in realtà abbraccia tutta la vita dell’azienda, anche se a volte le due parti It e Ot si ritrovano in qualche modo separate». Altri punti che il Paper copre sono il rapporto fra tecnologia e business (in particolare, si punta ad abilitare la convergenza fra necessità e benefici) e il futuro, per dare una guida nell’identificare le tecnologie e la loro maturità, valutandone gli impatti e prevedendo la loro capacità di generare valore. Fra i temi interessanti del Paper, anche quello della formazione («l’uomo si mette al centro se c’è una parte formativa che gli consente di mettersi al centro» puntualizza Lenti) e quello di “fare di più con meno”, ovvero lo sviluppo del tema dell’efficienza. E Lenti fa un esempio in tema 5.0. «Nella nostra azienda, stiamo cercando di ridurre il numero di sensori che montiamo sulle macchine. Veniamo da Industry 4.0 che ci ha consentito una connettività altissima, oggi invece andiamo verso la 5.0 dove dovremo gestire il dato. Dopo averne accumulati a tonnellate, il problema oggi è come analizzarli e come farli usare bene dalle persone in azienda».

L’interno dello stabilimento, climatizzato a 23 gradi. Le linee e le postazioni sono tutte digitalizzate, sollevatori movimentano i pezzi, è possibile produrre 1000 biciclette al giorno con basso impatto ambientale.

Reshoring 5.0: l’esperienza Bianchi dimostra che si può fare produzione in Italia, migliorando la resilienza nel rispetto della natura e dell’uomo

Francesco Giuliano, chief operating officer F.I.V. E. Bianchi​.

Bianchi è uno storico produttore di biciclette, fondato nel 1885, che alcuni anni fa aveva portato la produzione da Milano e Treviglio a Taiwan. Ma nel 2021, lo storico stabilimento di Treviglio è stato ristrutturato, anzi trasformato, diventando una fabbrica “green”, dove innovazione, sostenibilità e benessere vanno a braccetto. «Il nostro nuovo stabilimento di Treviglio è assolutamente 5.0 – esordisce Francesco Giuliano, Coo Bianchi – e l’integrazione fra l’ambiente interno, l’ambiente esterno e la città è stata determinante per noi». Lo stabilimento prevede verde e spazi per attività all’aperto, idrogeotermia, sistemi fotovoltaici. Con i reparti di produzione, ospita anche magazzini e outlet aziendale, uffici e spazi espositivi, oltre al famoso museo storico aziendale dove sono conservati cimeli che hanno fatto la storia del ciclismo. «Quando nel 2021 ci siamo chiesti come avrebbe dovuto essere la Bianchi del futuro, abbiamo capito che dovevamo ricondurci all’entusiasmo per il ciclismo – ha spiegato Giuliano – e creare un ambiente piacevole per chi deve venire in azienda. E dovevamo farlo in Italia, incentrandolo sui tre principi di Industry 5.0: resiliente, sostenibile e incentrato sulle persone. È stato un investimento di 30 milioni di euro». Completato nel 2023, il nuovo stabilimento è totalmente green, ed è condizionato a 23 gradi perché si è voluto ottenere un ambiente dove si venisse a lavorare felicemente. Da maggio a novembre l’impianto funziona usando solo energia solare, e produce 1000 biciclette al giorno. Rispetto al 2022, sono state abbassate del 40% le Tep necessarie per produrre una bicicletta. La linea di montaggio è completamente digitalizzata, gli addetti dispongono di monitor che illustrano le lavorazioni da compiere, anche a lotto uno, e usano sollevatori per movimentare i pezzi senza fatica fisica. Qualche altro dato interessante: con il nuovo stabilimento, la produttività è aumentata del 20% senza aumentare la fatica per i dipendenti. I consumi energetici sono scesi del 40% grazie all’impianto fotovoltaico. Il condizionamento utilizza il sistema idrogeotermico, sfrutta cioè l’acqua di falda che viene prelevata, usata e reinserita in situ senza alterare l’ambiente. Per realizzare tutto ciò, Bianchi ha puntato sui giovani, che sono più vicini alla digitalizzazione. Per formarli, è stata istituita un’apposita academy interna. «Grazie ai giovani siamo riusciti a introdurre sistemi molto avanzati di controllo di tutto il ciclo produttivo – puntualizza Giuliano – in fabbrica abbiamo un’età media di 30 anni, ed è cresciuto del 20% il lavoro femminile, cosa prima impossibile perché i prodotti erano faticosi da movimentare. E questo percorso che abbiamo fatto in questi due anni e mezzo, che ci ha portato a questo risultato, sta tutto nella logica del 5.0. Logica che secondo noi è l’unica possibile per fare un investimento industriale oggi in Italia o in occidente, e per riuscire a inserire i giovani nei fatti e non a parole. Grazie a tutto questo, noi oggi siamo ancora al top nel mondo del ciclismo».

La famiglia di elettroniche Arduino Pro per utilizzo industriale condivide l’ambiente di sviluppo software con i prodotti della diffusissima linea consumer.

Open Innovation e 5.0 con Arduino, una piattaforma italiana che ha 30 milioni di utenti nel mondo

Adriano Chinello business unit leader di Arduino.

Arduino è un nome ben noto nel mondo dei maker, nelle scuole, fra gli hobbisti. Negli anni, i prodotti dell’azienda sono diventati sinonimo di hardware e software economico con cui creare cose ma, soprattutto, imparare. «Negli anni siamo andati oltre il software e hardware iniziale e oggi offriamo tecnologie come connettività IoT, Wi-fi, Bluetooth, cellulare, facilmente utilizzabili tramite le nostre librerie software – spiega Adriano Chinello business unit leader di Arduino – Siamo arrivati anche alla connettività cloud, non solo per l’accesso ai dati ma anche per la gestione dei dispositivi, che è sempre più importante». In tutto questo, Arduino ha svolto e continua a svolgere un ruolo importante per la diffusione e la “democraticizzazione” del know-how relativo a questi sistemi. Know-how che mette a disposizione di scuole, hobbisti e, sempre più spesso, anche delle aziende, soprattutto quelle medio piccole che hanno difficoltà ad accedere alle informazioni su argomenti delicati come il controllo dei macchinari, la cybersecurity eccetera. «Per fare questo, abbiamo scelto l’approccio Open Source al software e all’hardware. Ci siamo cioè aperti per far sì che altri collaborassero allo sviluppo delle nostre stesse piattaforme – continua Chinello – Noi misuriamo la “community” di Arduino sulla base del numero di utilizzatori attivi, e possiamo dire che nell’ultimo anno, in Italia, gli ambienti di sviluppo Arduino sono stati scaricati circa 600mila volte».

Arduino, nasce in Italia il successo mondiale della piattaforma

Tra parentesi, anche se Arduino è nato in Italia, la community italiana rappresenta “solo” il 2% di quella globale, che si aggira su 30 milioni di persone. Tutto questo cosa significa? Beh, significa che se un’azienda implementa tecnologie Arduino, ha a disposizione una enorme base di persone che già conoscono l’ambiente di sviluppo e le modalità operative del sistema. E di converso, significa invogliare i giovani a lavorare per l’azienda, dato che al suo interno troveranno tecnologie con le quali hanno familiarità e che ritengono valide e attraenti. Naturalmente, nessuna azienda installerebbe sulle proprie linee di produzione controllori nati per uso hobbistico. Ma proprio per questo, Arduino dispone da tempo di linee di prodotti (per esempio Optra e Portenta) pensati proprio per l’ambiente di fabbrica, sistemi ad alte prestazioni e alta resistenza, veri e propri plc e sistemi modulari che però si programmano tramite la stessa piattaforma e lo stesso linguaggio (basato su C) dei modelli amatoriali. E che portano dunque con sé le librerie software che possono mettere in grado un’azienda di realizzare in autonomia progetti anche complessi, che richiedono magari connettività wireless sofisticata, edge to cloud, edge machine learning, crittografia sulle trasmissioni, e via discorrendo.

08 Morgan Tecnica produce macchinari per la stesura e il taglio di tessuti, e software per il piazzamento. La sua ultima macchina è “China free”, ovvero contiene meno dell’1% di componenti cinesi.

Innovazione e resilienza: il caso di Morgan Tecnica, che progettava in 5.0 prima che arrivasse il 5.0

Fabrizio Giachetti, ceo e fondatore di Gea.

Azienda lombarda attiva nella produzione di macchine per la stesura, il piazzamento e il taglio dei tessuti, Morgan Tecnica è un caso da manuale sia per l’innovazione, sia per la resilienza. Nata nel 2009, conta 160 dipendenti e punta fin dall’inizio su macchine con forte carica innovativa: già il primo macchinario prodotto aveva a bordo tutto il necessario per la compatibilità Industry 4.0 – connessione a Internet, manutenzione remota, algoritmi di manutenzione preventiva eccetera. «Eravamo innovativi per necessità – confessa Fabrizio Giachetti, ceo e cofondatore dell’azienda – il fatto è che abbiamo venduto le nostre prime macchine in India, e avevo un unico tecnico manutentore che non poteva certo fare la spola con l’Asia. Così abbiamo avuto l’idea di fare in modo di poter controllare le macchine via rete. In India finimmo sul giornale, eravamo l’azienda italiana che “muoveva le macchine a distanza”. Oggi è la norma, allora sembrava fantascienza». Il racconto di Giachetti sembra confermare un’opinione molto diffusa all’estero, cioè che le aziende italiane non subiscono il fascino della tecnologia per la tecnologia e dell’innovare per innovare. La tecnologia si usa quando porta valore. L’innovazione si fa quando serve. Un sano pragmatismo che spesso ha evitato disastri, ma a volte rallenta la corsa delle aziende e mette a rischio produttività e competitività. «Noi facciamo molta R&D, ho diversi ingegneri giovani,e uno dei miei compiti è far loro capire che ogni ricerca che facciamo, ogni spesa di R&D, deve avere un ritorno, perché noi ci autofinanziamo».

Progettare in 5.0 per necessità di risolvere problematiche di logistica e di ridurre i consumi

Morgan Tecnica esce con un nuovo modello tipicamente ogni 3 o 4 anni. Per progettare l’ultimo, sono state date all’R&D alcune indicazioni specifiche. «Negli ultimi anni, abbiamo scoperto quanto siamo dipendenti dalla Cina, e molte aziende sono andate gambe all’aria perché non trovavano più determinati componenti. Un altro problema che abbiamo registrato è stata l’impennata dei costi di trasporto dei macchinari via nave. Trasportare un container è passato da circa 2.000 a oltre 15.000 dollari. Quindi, bisognava trovare un modo per superare i problemi “logistici”, di reperibilità dei componenti e di trasporto. Poi volevamo una macchina più sostenibile, adatta alle nuove regole “green”, e maggiori performance». Il problema della componentistica è stata la vera sfida, ed è stato risolto realizzando una macchina “China-free”, con meno dell’1% dei componenti di provenienza cinese. L’80% delle parti nasce in Europa, il 10% negli Usa, mentre il 7% e il 2% arriva rispettivamente da Giappone e Taiwan. «Trovare i componenti è stata una sorta di caccia al tesoro, due anni e mezzo di lavoro con un team dedicato, ma ora possiamo dire che è possibile, e che non è vero che costa di più» commenta Giachetti. Il problema del trasporto, invece, è stato risolto osservando che le spedizioni per via aerea erano aumentate molto meno di quelle via nave. Ma la macchina precedente, per la sua lunghezza, richiedeva un aereo speciale, con lunghi tempi di attesa e alti costi. Quindi la nuova macchina è stata studiata per essere scomponibile in due parti, che possono essere caricate nei container standard degli aerei cargo. «Le due parti sono premontate e precollaudate, si agganciano come un Lego e quindi all’arrivo abbiamo la stessa qualità della partenza. E possiamo spedirla a Medellin con 4.000 dollari, contando su tre voli a settimana. Infine, un paio di brevetti ci hanno permesso di ridurre i consumi fino al 50%». Anche in questo caso, dunque, l’innovazione ha permesso di ottenere risultati in linea con i principi del 5.0, in termini di resilienza e di sostenibilità.














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