Standardizzazione e industria: il matrimonio che fa nascere l’innovazione. Con Icim Group

di Chiara Volontè ♦︎Consapevolezza, coesistenza di vecchie e nuove macchine, open innovation, dati, sostenibilità. Questi i trend del manifatturiero secondo Paolo Gianoglio, direttore innovazione, sviluppo e relazioni associative del gruppo specializzato nella conformità di prodotti e processi. I test di Omeco su materiali e componenti. Le novità stampa 3D e idrogeno. E sulle competenze...

La standardizzazione? È un driver d’innovazione industriale! È lo strumento che permette alle imprese di portare i propri prodotti sul mercato, di inserirsi all’interno di un sistema. È la normazione che rende fruibile una nuova invenzione. «I container, che hanno dato il via alla globalizzazione del mercato, sono nati perché qualcuno ne ha standardizzato le misure. Nessun prodotto funziona autonomamente, deve inserirsi in un contesto d’uso e per questo sono necessarie delle regole. La conformità è un’esigenza industriale, necessaria per poter dialogare nei vari ambiti. Ma è al contempo un processo continuativo: ogni giorno ci sono nuove istanze a livello legislativo, nuovi rischi introdotti dal mutamento del contesto o inseriti dalla tecnologia».

Parola di Paolo Gianoglio, amministratore delegato Omeco e direttore Innovazione, Sviluppo e Relazioni Associative Icim Group, che aggrega al suo interno Icim Spa, Omeco, Consorzio Pascal, Tifq, Tifqlab. Federazione Anima (Associazioni Nazionali dell’Industria Meccanica Varia ed Affine) è il socio di maggioranza della holding, gli altri sono: Acimit (Associazione dei Costruttori Italiani di Macchinario per l’Industria Tessile); Ansaldo Energia; Asa (Azienda servizi Anima); Assistal (Associazione Nazionale Costruttori di impianti e dei Servizi di Efficienza Energetica e Facility Management); Confapi Unionmeccanica (Unione Nazionale della Piccola e Media Industria Metalmeccanica); Cti (Comitato Termotecnico Italiano); Ucimu Sistemi per produrre (Associazione Costruttori Italiani Macchine Utensili, Robot e Automazione). Icim Group si occupa di certificazione, prove, controlli, taratura, ispezioni, formazione e supporto tecnico finalizzato all’individuazione di soluzioni che contribuiscano alla sostenibilità del business delle aziende – con focus sul mondo dell’imprenditoria meccanica. In particolare, Omeco è un laboratorio accreditato specializzato in test meccanici, metallurgia e controlli non distruttivi, con oltre 50 anni di esperienza.







«La nostra mission è supportare le imprese che devono innanzitutto comprendere a quali requisiti devono rispondere per accedere a determinati mercati, filiere e Paesi – ci spiega Paolo Gianoglio – e successivamente effettuare tutte le valutazioni necessarie e produrre le evidenze richieste per legge o dal mercato. Qualifichiamo i fornitori, verifichiamo se la catena di supplier fornisce oggetti e materiali conformi. E, last but not least, cerchiamo di prevenire quello che sarà chiesto alle imprese nel futuro prossimo». E proprio sul domani della manifattura Gianoglio, dall’alto del suo osservatorio – Icim ha attestato oltre 2.500 progetti per iperammortamento e credito d’imposta I4.0, con più di 2 miliardi di investimenti sottostanti -, individua cinque trend: consapevolezza, coesistenza di vecchie e nuove macchine e impianti, open innovation, impiego dei dati, sostenibilità. «Trasversale a questi cinque punti, però, non sarà tanto la tecnologia in sé, quanto la capacità di gestione della stessa: le pmi devono iniziare ad assimilarla e a capire come sfruttarla per trarne profitto».

 

Paolo Gianoglio ci spiega l’importanza di standardizzazione, normazione e certificazione per poter competere in ambito industriale

Che cosa vuol dire conformità nelle imprese? Il lavoro di Icim Group

Icim Group è una holding che si occupa di valutazione della conformità. È costituita da Icim Spa, che è l’organismo di certificazione nato a fine anni ‘80 su iniziativa della federazione Anima. Omeco, società di prove e testing acquisita a metà del 2019, è uno dei laboratori di prove più conosciuti nel settore meccanico. Tifq fornisce supporto e consulenza alle imprese negli ambiti di valutazione della conformità. TifqLab è un laboratorio che ha come socio minoritario l’Università della Calabria, tratta di materiali a contatto con alimenti e acqua potabile. «Le quattro società si occupano di certificazione, testing formazione e consulting nell’ambito della conformità di prodotti e processi – ci chiarisce Gianoglio – L’obiettivo è minimizzare i rischi per le imprese, che devono prestare attenzione a più fronti: non solo ci sono le certificazioni obbligatorie, ma anche quelle che non lo sono di diritto ma lo sono di fatto, che sono richieste dal mercato stesso. E se il produttore non le possiede non riesce a vendere. Infine, ci sono le certificazioni volontarie che stabiliscono un vantaggio competitivo. Negli anni ‘90 conformità voleva dire sicurezza per l’utilizzo del prodotto e qualità del prodotto, mentre ora significa anche garantire determinate prestazioni, il rispetto per l’ambiente, circolarità e sostenibilità sociale».

 

Icim Group: obiettivi e prossime sfide

Prove di resistenza alla pressione con sollecitazioni cicliche. Immagine presa da Icimgroup.com

L’obiettivo primario di Icim Group? Consolidare il posizionamento a supporto dell’impresa manifatturiera italiana, in particolare di quella metalmeccanica, che è una delle eccellenze nostrane nel mondo, di fondamentale importanza in termini di pil ed export. Ma la complessità dei vincoli di mercato e la velocità d’evoluzione dei contesti geopolitici rendono il lavoro del Gruppo sempre più complicato. Per non parlare dello sviluppo tecnologico sempre più dirompente, che ridefinisce la mappa dei rischi per le aziende. «Il nostro lavoro è seguire le imprese in questa evoluzione sempre più a elevate velocità e complessità – commenta Gianoglio – Soddisfare le loro esigenze significa precederle, essere in grado di rispondere alle loro necessità. Ma sono tante le sfide da affrontare».

Innanzitutto la difficoltà e varietà dei vincoli: ogni giorno ne emergono nuovi, di carattere normativo, legislativo, di mercato. «Ad esempio, la guerra in Ucraina ha imposto restrizioni su prodotti che possono avere il dual use (ossia ciò che può avere usi anche militari, ndr): in questo caso bisogna dare evidenza dell’utilizzo degli stessi. Pandemia e guerra hanno cambiato il contesto in maniera rapida, questo per le imprese significa gestire i processi in maniera differente. Inoltre può capitare che i vincoli siano contraddittori: ci sono le legislazioni italiana, europea, internazionale che si incrociano con le normative. Senza dimenticare che la transizione tecnologica che stiamo vivendo, che sta sicuramente agevolando il progresso industriale, sta però anche portando alla luce nuove criticità. «Basti pensare che il tema cybersecurity per la manifattura fino a cinque anni fa non era minimamente preso in considerazione perché le nostre fabbriche non erano interconnesse. Ma ora ogni processo aziendale – e non solo – è vincolato a un sistema informatizzato».

 

Che cosa vuol dire occuparsi di innovazione in un ente di certificazione?

Ogni giorno ci sono nuove istanze a livello legislativo, nuovi rischi introdotti dal mutamento del contesto o inseriti dalla tecnologia. E di conseguenza nuove norme che devono rispondere a queste esigenze che sono spesso eterogenee. «Occuparsi di innovazione in un ente di certificazione – commenta Paolo Gianoglio – vuol dire osservare e monitorare quello che sta succedendo, cercare di individuare i temi emergenti che saranno più rilevanti sul nostro mercato e sulla base di quelli definire una proposizione per i clienti che soddisfi le esigenze di qualità, tempistica, costi. Cercare di prevenire quello che sarà chiesto alle imprese domani». Nei prossimi anni un crescente numero di imprese non potrà prescindere dal regolamento europeo sulla tassonomia che stabilisce le condizioni generali che un’attività economica deve soddisfare per potersi qualificare come ecosostenibile e ha introdotto il criterio del Dnsh (Do No Significant Harm), secondo cui le imprese saranno portate a investire su progetti che non rappresentino un rischio significativo per l’ambiente. Si tratta di un tema recepito all’interno dei sistemi incentivanti e del Pnrr, che richiede evidenze oggettive, la presentazione di documenti che possano essere oggetto di valutazione da parte terza. Mai come in questo caso sarà necessario stilare nuove metodologie per soddisfare questo tipo di requisiti. «Sarà necessario trovare un metodo condiviso da tutte le parti, un sistema che sia sufficientemente snello e che garantisca la sostenibilità».

In materia di garanzie, lo strumento che soddisfa in modo più preciso le attese di sostenibilità è il Life Cycle Assessment, l’etichetta di prodotto (Epd); per fare un LCA servono mesi e per alcuni prodotti diverse migliaia di euro. Spesso le imprese, soprattutto le pmi, non ha le forze economiche per registrare un LCA. «Le piccole e medie imprese non hanno la stessa forza che può avere una grande corp, ma in Italia esiste un sistema associativo che partecipa attivamente ai tavoli, che mette sul piatto le priorità delle aziende e cerca di farle rispettare. Essere parte di questo ecosistema è fondamentale, significa sedere ai tavoli in cui si discutono le regole del gioco, partecipare alla normazione italiana ed europea. È un modo di presidiare le regole che mi arriveranno nei prossimi anni».

I numeri di Icim Group

 

Testing nel settore meccanico? Niente paura, ci pensa Omeco

Omeco, guidata da Paolo Gianoglio, si occupa di testing, prevalentemente nel settore meccanico: materiali e componenti di tipo meccanico – prevalentemente metallo e strutture edilizie, cementi precompressi. «Proviamo prodotti, componenti e materiali un po’ in tutti i contesti: ricerca e sviluppo, collaudo della produzione, identificazione del motivo dei guasti e dei malfunzionamenti del prodotto già immesso nel mercato – prosegue Gianoglio – Qualifichiamo anche i materiali in ingresso, che provengono dai fornitori». Anche gli impianti – come caldaie, apparecchi di sollevamento, funivie – devono essere esaminati, periodicamente, per verificarne la sicurezza in fase d’esercizio. «In questo caso svolgiamo controlli non distruttivi, con tecnologia a ultrasuoni, radiologiche, tramite tomografie o con liquidi penetranti. Facciamo questi test anche su strutture di carattere edilizio come edifici e ponti».

Omeco in numeri

 

Dall’idrogeno all’additive manufacturing: tutte le novità per i testing

Per rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione imposti dalla Ue, l’idrogeno sarà cruciale e diventerà un nuovo vettore energetico green, tanto che il Pnrr ha messo sul piatto 3,6 miliardi di euro proprio per progetti che vedano l’H2 protagonista. Si parla di blend di gas per uso domestico che conterrà anche idrogeno, ma si prospettano anche soluzioni in cui l’H2 verrà utilizzato come unico vettore energetico. «L’idrogeno – ci spiega Gianoglio – presenta alcune caratteristiche che lo rendono critico da utilizzare con gli acciai. Infatti, questo elemento provoca l’infragilimento di questi materiali, di conseguenza i componenti che andranno a contatto con l’idrogeno dovranno essere riqualificati e rivalutati. Sarà fondamentale procedere con un’analisi accurata della struttura preesistente». Un’altro tema caldo in termini di innovazione sia manifatturiera che per i testing riguarda l’additive manufacturing. «Soprattutto in certi settori la stampa 3D sta portando vantaggi importanti, però il medesimo prodotto costruito per estrusione o tornitura e fresatura di un componente, potrebbe presentare una resistenza diversa. Si tratta di due modi di produzioni differenti, che impattano sulla risposta del prodotto alle sollecitazioni».

 

I quattro trend della manifattura italiana…

Paolo Gianoglio, amministratore delegato Omeco e direttore Innovazione, Sviluppo e Relazioni Associative Icim Group

Dall’inizio degli investimenti in Industria 4.0 ad oggi, nelle imprese e nelle fabbriche italiane è stata immessa tantissima tecnologia. Ma siamo sicuri che le nostre imprese siano in grado di sfruttarla appieno, per trarne profitto e competitività? Risposta affermativa per le grandi corp, che possono avvalersi di personale qualificato e magari di un innovation manager che ha disegnato la roadmap dell’innovazione aziendale. Ma le pmi, meno strutturate, spesso faticano a portare avanti un percorso 4.0. E la gestione della tecnologia, secondo Paolo Gianoglio, è il fil rouge che unisce i trend della manifattura dei prossimi anni: consapevolezza, creazione di un modello di fabbrica ibrido, collaborazione tra imprese e utilizzo dei dati.

«Il primo trend riguarda la consapevolezza. Non essendoci una politica industriale di ampio corso, ma solo incentivi di breve respiro, le imprese non sono in grado di stilare progetti di digital transformation. Per esempio l’iperammortamento del 2017 è durato un anno con delle proroghe e modifiche alla regolamentazione. E anche l’ultima tornata di incentivi 2021/2022 è stata ridotta di un anno, con cambio di quota. Non è stato dato un orizzonte temporale sufficiente per fare delle valutazioni oggettive: è questa la critica più forte sorta dal mondo imprenditoriale. Le misure di certo sono servite, la tecnologia è stata acquistata, ma sembra che la maggior parte delle imprese stia iniziando a ragionarci ora. Le aziende hanno capito che cosa significa industria 4.0 e che cosa si può ottenere con un approccio più strutturato alla digitalizzazione. Ma adesso è il momento di portare le soluzioni in un contesto reale, della fabbrica italiana».

Gli incentivi per industria 4.0 hanno portato nei plant nuove macchine e impianti, talvolta più performanti e in grado di comunicare tra loro, che hanno dato vita a un ambiente interconnesso. E che farne di tutto l’installato, che ancora svolge egregiamente il proprio lavoro? È necessario trovare un modello di factory ibrido, in grado di far convivere vecchio e nuovo. «Con la legge della rivalutazione dei cespiti abbiamo ricevuto richieste da diverse aziende che avevano macchinari comprati negli anni ‘80 e tuttora in uso. La manifattura italiana sta cercando di trovare un modello che metta insieme la tradizione con l’innovazione, che sia digitale ma centrato anche sull’artigianalità: l’ibridizzazione è il secondo trend».

La digital transformation e il 4.0 sono stati un propulsore fortissimo per il mondo manifatturiero: circolano sempre più dati, il sistema ora è a tutti gli effetti phygital, fisico e reale si intersecano. Se vogliamo rimanere la seconda manifattura in Europa e la settima al mondo, dobbiamo creare un ecosistema composto da tutti gli attori dell’industria, in grado di sviluppare soluzioni sempre più avanzate che ci permettano di essere competitivi a livello globale. «Il terzo trend lo stiamo intravedendo, consiste in una maggiore capacità e volontà di trovare meccanismi di collaborazione, di fare rete. Sta emergendo un modello in cui le imprese, di ogni dimensione, vogliono crescere anche attraverso l’open innovation e l’integrazione con la ricerca».

Il quarto trend riguarda l’utilizzo dei dati in relazione alla sostenibilità. Le imprese sono tenute a rispettare determinati standard green, che possono essere dimostrati solo collezionando insight relativi, ad esempio, al consumo energetico. «Raccogliere dati legati non a fattori meramente economici o produttivi, ma che diventeranno significativi per fare indagini sull’impatto ambientale, sarà uno degli elementi più rivoluzionari della manifattura dei prossimi anni».

28 miliardi per la manifattura sul digitale

… Più uno

Fase di remanufacturing nel settore automotive. Fonte Indra

Sostenibilità: è il tema trasversale a tutti e quattro i trend futuri della manifattura, quello che più di tutti sta influendo sulla creazione di nuovi modelli di business. «La sostenibilità è un’esigenza e al contempo un dovere – afferma Gianoglio – E presuppone un cambiamento radicale nelle imprese, che dovranno seguire i dettami dell’economia circolare. E affrontare un nuovo modo di produrre, che comprenda anche il demanufacturing e il remanufacturing».

 

Competenze e fare sistema: il futuro della manifattura

Nell’ambito dell’industria 4.0, per completare il percorso di digitalizzazione iniziato nel 2017 con l’acquisizione delle macchine connesse e dei relativi software, è arrivato il momento di investire in formazione. Sono necessarie non solo competenze digitali, ma anche interdisciplinari, che sappiano colmare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro. «In tema di skill manca una regia, il governo ha istituito il credito di imposta Formazione 4.0 ma il modello non ha avuto molto riscontro. Dobbiamo pensare che le imprese hanno bisogno di un approccio sul life long learning, ci si deve aggiornare costantemente: l’industria deve poter investire in maniera continuativa sulla formazione, che andrebbe defiscalizzata riconoscendo che l’azienda riveste un ruolo sociale perché sta formando una persona».

 

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato l’8 settembre 2022)














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